Tutela del software: diritto d’autore, brevetto e principio dell’esaurimento

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Ph. Anuar Arebi / strada

Il Software costituisce ormai, anche in ambito societario e associazionistico, elemento nevralgico della innovazione. È, pertanto, quanto mai attuale il complesso tema della tutela giuridica ad essi connessa.

Occorre anzitutto chiarire che, inizialmente al software non veniva riconosciuta autonoma importanza, poiché le imprese investivano principalmente sull’hardware e gli elaboratori venivano forniti già completi della componente software (in formato sorgente, in modo da permettere all’utente di adattarlo alle proprie esigenze).

Intorno agli anni Settanta si comincia, invece, a capire che il software è uno strumento fondamentale nell’aumento della velocità di elaborazione. Nascono, pertanto, aziende produttrici esclusivamente di software e si rende necessario, anche sul piano giuridico, un maggiore sforzo per garantire la migliore tutela.

Inizia, dunque, in quegli anni il dibattito giuridico sulla natura del software e, quindi, su quale particolare forma di protezione dovesse essere garantita.

In quanto bene immateriale, lo strumento di tutela del software ricade necessariamente nell’ambito della proprietà intellettuale, tuttavia, accanto a chi sosteneva che il software avesse una natura tecnica e che potesse, quindi, essere protetto come un’invenzione, vi era chi lo considerava come una particolare forma di scrittura.

Fu questa seconda soluzione a prevalere e ciò principalmente perché si temeva che la protezione offerta dal brevetto fosse troppo forte e potesse in qualche modo ostacolare la competizione.

Nel nostro ordinamento, i programmi per elaboratore sono tutelati dalla Legge d’Autore (Legge 22 Aprile 1941, N. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) come opere letterarie, “in qualsiasi forma espressi, purché originali quale risultato della creazione intellettuale dell’autore”.

Secondo quanto disposto dall’articoli 2, n. 8, l.d.a., oggetto della tutela non è solo il programma (e, dunque, il suo codice sorgente e codice oggetto), ma anche “il materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso”. Sempre in quest’articolo si stabilisce che “restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce”. Pertanto, con il diritto d’autore viene tutelato il codice sorgente nel linguaggio in cui è scritto e nello stesso modo è tutelato anche il codice oggetto (ossia la traduzione del linguaggio del programma in bit o linguaggio macchina) e il materiale preparatorio, ma non le idee ed i principi alla base del codice sorgente od oggetto di un programma.

Passando ora alla controversa questione della possibilità di tutelare i programmi per elaboratore mediante il sistema brevettuale, occorre preliminarmente ricordare che l’articoli 52, comma 2, della Convenzione sulla concessione di brevetti europei (CBE) annovera, tra ciò che non è considerato come invenzione, anche i programmi per elaboratori “in quanto tali”. Stesso concetto è riportato anche nella Legge Invenzioni (R. D. 29 giugno 1939, n. 1127) all’articolo 12, lettera b, e questo perché si ritiene che i programmi non possano essere dotati in sé di un carattere tecnico.

Ciò nonostante, sono stati migliaia i brevetti per invenzioni attuate per mezzo di programmi per elaboratore concessi dall’Ufficio Europeo Brevetti (EPO) e dai vari uffici nazionali. L’orientamento giuridico dell’EPO è, infatti, cambiato nel tempo. In tal senso si veda la decisione T 1173/97, in cui la commissione di ricorso ha affermato che, se un software presenta “effetti tecnici ulteriori o che vadano al di là della normale interazione software – hardware”, tale programma non deve essere escluso dalla brevettabilità.

Per superare l’ambigua situazione giuridica attuale, la Commissione Europea aveva pubblicato una proposta di direttiva relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, costituita da 11 articoli e 19 “considerando”, con la quale definiva cosa si intende per “invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici” e per “contributo tecnico” (articolo 2) e stabiliva (all’articolo 3) che un’invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici deve essere considerata appartenente ad un settore della tecnologia. Tale proposta, però, è stata bocciata dal Parlamento Europeo il 06.07.2005.

In ogni caso, avendo la Commissione di ricorso dell’EPO affermato che è fondamentale che tutte le invenzioni siano caratterizzate da un “carattere tecnico” e stabilendo l’articoli 27 dei TRIPS la brevettabilità delle invenzioni in tutti i campi della tecnologia, è di tutta evidenza come debba riconoscersi la brevettabilità anche di quelle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici che possiedano un carattere tecnico, ossia che appartengano a un settore della tecnologia.

Affinché possano verificarsi le condizioni di brevettabilità è necessario, quindi, che l’invenzione attuata per mezzo degli elaboratori elettronici costituisca un contributo tecnico, ovvero un contributo allo stato dell’arte in un settore tecnico, giudicato non ovvio da una persona competente nella materia.

Resta inteso, che qualora il software non soddisfi tale requisito, e non sia quindi brevettabile, può essere in ogni caso protetto mediante il diritto d’autore.

Tuttavia, mentre il brevetto permette lo sfruttamento della creazione con riguardo al suo contenuto (e, quindi, offre a chi lo detiene la possibilità di impedire lo sviluppo indipendente di un programma dotato di funzionalità identiche o analoghe), il diritto d’autore, invece, protegge la forma dell’espressione creativa, a prescindere dal contenuto in essa racchiuso (ne deriva che colui il quale ha creato il software potrà vietare la duplicazione del codice, ma non quella dell’idea o della funzionalità cui si riferisce quel codice).

Approfondiamo ora un altro aspetto legato alla tutela dei software ed in particolare al relativo diritto di distribuzione. Secondo il principio di esaurimento comunitario, infatti, una volta messo in commercio un bene nel territorio dell’Unione europea, il titolare di uno o più diritti di proprietà industriale su quel bene specifico perde le relative facoltà di privativa.

In particolare, l’articolo 4 della direttiva 2001/29, testo di primaria importanza in tema di armonizzazione del diritto di autore e dei diritti connessi nella c.d. “società dell’informazione”, prevede che: “Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi forma di distribuzione al pubblico dell’originale delle loro opere o di loro copie, attraverso la vendita o in altro modo. Il diritto di distribuzione dell’originale o di copie dell’opera non si esaurisce nella Comunità, tranne nel caso in cui la prima vendita o il primo altro trasferimento di proprietà nella Comunità di detto oggetto sia effettuata dal titolare del diritto o con il suo consenso”.

Il principio di esaurimento ha, quindi, efficacia esclusivamente nel caso in cui l’immissione del bene nel commercio sia effettuata direttamente dal titolare del diritto, o comunque, nel caso in cui essa avvenga con il suo consenso.

Tale principio trova applicazione anche in materia di software. Infatti, ai sensi dell’articoli 4, comma 2, della direttiva 2009/24/CE del 23 aprile 2009, relativa alla “tutela giuridica dei programmi per elaboratore”: “La prima vendita della copia di un programma nella Comunità da parte del titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di distribuzione della copia all'interno della Comunità, ad eccezione del diritto di controllare l’ulteriore locazione del programma o di una copia dello stesso.”.

Peraltro, alla luce del principio della parità di trattamento, l’esaurimento del diritto di distribuzione previsto da tale disposizione deve considerarsi efficace indipendentemente dal fatto che la vendita riguardi una copia tangibile o intangibile del programma stesso (al riguardo si veda, in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia nella causa C128/11 che ha equiparato dal punto di vista economico, la vendita di un programma per elaboratore su CD-ROM o DVD alla vendita di un programma per elaboratore mediante download via Internet. Infatti, la modalità di trasmissione online è l’equivalente funzionale della fornitura di un supporto informatico tangibile).

Nel 2012, anche la Corte di Giustizia Europea ha avuto modo di pronunciarsi sul principio dell’esaurimento applicato ai software.

Con sentenza del 3 Luglio 2012, C-128/11 (caso Oracle) la Corte ha, infatti, stabilito che “il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare del diritto d’autore che abbia autorizzato, foss’anche a titolo gratuito, il download della copia su un supporto informatico via Internet abbia parimenti conferito, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentirgli l’ottenimento di una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario, il diritto di utilizzare la copia stessa, senza limitazioni di durata”.

Ne deriva che a nulla rilevi quale sia il modo di distribuzione del software, dovendo, invece, analizzarsi il contenuto del contratto nel suo complesso, cercando di recuperare la reale volontà delle parti.

Qualora, quindi,  il titolare dei diritti conceda una licenza senza limitazione di durata, “l’acquirente” ben potrà trasmettere a terzi la sua copia, avvalendosi dell’esaurimento del diritto di distribuzione previsto dall’articoli 4, paragrafo 2 della direttiva 2009/24/CE.

Tale operazione consentirà, anche ad ogni legittimo acquirente successivo, di essere considerato “legittimo acquirente” a tutti gli effetti, beneficiando di tutti i diritti attribuitigli dalle norme in materia.

Nonostante le evidenti problematiche per le aziende produttrici di software determinate dal sopra descritto principio di esaurimento, mantenere il controllo dei propri software dopo la prima vendita è ancora possibile. La soluzione risiede necessariamente nella formulazione del contratto: che si tratti di un contratto di licenza d’uso del software o che si tratti di un contratto di sviluppo software, infatti, l’importante è regolare con attenzione la cessione dei diritti.

Come sopra ampiamente chiarito, secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore si esaurisce qualora il titolare del diritto d’autore conferisca il diritto di utilizzare la copia stessa, senza limitazioni di durata.

Dirimente è proprio tale ultima espressione “senza limitazioni di durata”.

Sarà opportuno, pertanto, disciplinare dettagliatamente il contenuto dei diritti ceduti, limitando nel tempo il diritto d’uso, di modo da assimilare il relativo contratto di licenza non ad una vendita, ma ad una locazione.

Altra possibilità, sempre più utilizzata dai vari produttori di software, è il cloud-computing. Tale strumento consente alle software house di “distribuire” i propri software senza bisogno di cederne delle copie. I contratti di licenza diventano così degli abbonamenti, che permettono agli utenti di accedere ad un servizio online per un periodo limitato di tempo. In questo modo le software house mantengono un controllo assoluto sui propri software, evitando la cessione sia del codice sorgente che del codice oggetto.

Bibliografia:

  • R. Borruso, La tutela giuridica del software. Diritto d’autore e brevettabilità, Giuffrè, 1999;
  • L. Chimienti, La tutela del software nel diritto d’autore, Giuffrè, 2000;
  • A. Sirotti Gaudenzi, “Il nuovo diritto d’Autore, La tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione”, Maggioli editore, 2018;
  • decisione n. T1173/97, del 1.7.1998 - Boards of Appeal of the European Patent Office;
  • sentenza n. C128/11, del 3 Luglio 2012 - Corte di Giustizia Europea.