Undici milioni di matite
"Forse la verità più straordinaria dell'età moderna è che certi tipi di tecnologia avanzano non in modo lineare, ma su curve esponenziali. Ogni anno una parte sempre più ampia del mondo della tecnica viene risucchiato in queste curve esponenziali. A grandi linee, ciò significa che ogni anno vede più innovazione rispetto a tutti gli anni prima messi insieme. Ciò implica che i prossimi vent'anni presenteranno cambiamenti tecnologici così profondi da rendere quasi irrilevante tutto ciò che è venuto prima. Questa velocità ci interroga e lo scenario diviene così complesso che sfida la nostra capacità di comprendere la tecnologia e i suoi prodigi."
Queste sono le parole di Paolo Benanti, padre francescano del Terzo Ordine Regolare nel suo straordinario libro "Oracoli, Tra Algoretica e algocrazia", una riflessione sull’incredibile accelerazione che le tecnologie digitali stanno raggiungendo in questi ultimi anni, e le problematiche etiche che solleva.
Non v'è dubbio che fra queste, Intelligenza artificiale e realtà virtuale siano fra quelle più promettenti e dunque più difficili da armonizzare con la società umana e le sue istanze, di cui l'innovazione è solo una e neanche la prima, delle sue esigenze.
E non è tanto l'ennesimo scandalo di Facebook, rilevato da Frances Haugen, l’ingegnere informatico di 37 anni che ha accusato il colosso dei social di aver ridotto la censura sull’odio e le fake news pur di aumentare i profitti a preoccuparmi, al massimo posso indignarmi.
Quello su cui riflettere è, tornando alle parole di Benanti sui cambiamenti indotti nella società dalle tecnologie, che:
"nonostante i limiti teorici del caso, se la nostra capacità tecnologica continuasse a crescere in futuro con lo stesso ritmo con cui è cresciuta sinora, tra due decenni ci sarà almeno un milione di persone tecnologicamente più capaci di noi oggi. Un milione di volte in una generazione. È un po' come passare dall'invenzione della scrittura all'invenzione del computer in una singola generazione.
Gli esseri umani come li conosciamo attualmente non hanno la minima idea di come fare per adattarsi a tale velocità e a una simile portata del cambiamento. Dimentichiamo le auto senza conducente, le stampanti 3D e i droni autonomi. Cosa saremo capaci di fare?".
E chi non sarà o avrà avuto la possibilità di essere esposto a questa accelerazione, cosa farà?
Risposte non ne ho, ma ho cercato di pormi la domanda giusta, capace di rendere a me, chiara la contraddizione.
E mi sono domandato: Undici milioni di matite fanno undici milioni di letterati?
No. Ma molto probabilmente fanno undici milioni di alfabetizzati da cui emergeranno un certo numero di poeti, saggisti, narratori. Questo grazie ad una tecnologia, chiamata matita?
Ovviamente no.
La tecnologia Matita (hardware) non è sottoposta alla necessità di istruzioni (software) sulla poesia, o narrativa per funzionare.
Per fare un poeta ci vuole una conoscenza, una formazione che prescinde dalla Matita, e non necessita della matita per funzionare.
Questo però ha dato alla Matita quattro pregi per il suo successo.
1. È a basso prezzo perché non necessita di istruzioni da implementare nella matita per farla funzionare (e relativi costi e proprietà intellettuali);
2. L'accesso al suo uso è molto semplice, praticamente tutti, subito, sono in grado di comprendere come funziona;
3. Ha una bassissima obsolescenza, è una tecnologia le cui funzioni e relative prestazioni, rimangono stabili ed efficaci/efficienti nel tempo pur avendo una progressiva evoluzione formale;
4. Per svolgere le sue funzioni, la matita non ha bisogno di infrastrutture necessarie al suo uso: è perfettamente indifferente e indipendente dal contesto in cui opera;
Questo ha fatto sì che l'azione che la matita svolgesse nell'alfabetizzazione della gente, grazie al suo basso costo e alla sua facilità di accesso, abbia dato la possibilità a milioni di persone di passare dalla base in orbite via via superiori di accesso, creazione e consumo di conoscenza.
Metti una matita e un foglio di carta (in forma di quaderno, tecnologia companion della matita con le medesime caratteristiche) in mano a una persona analfabeta e da subito può iniziare a usarli per la sua formazione.
Ok, ora prediamo undici milioni di visori per la realtà virtuale.
Poniamoci la stessa domanda.
Undici milioni di visori fanno undici milioni di utenti digital literate?
No. Benché vi sia la stessa risposta, ben diverse sono le cause. E soprattutto ben diverse sono le opportunità disponibili derivate da questa tecnologia.
Prima di tutto a differenza della matita, i visori necessitano di istruzioni. Sono costruiti in modo che senza queste, non possono funzionare.
Per dotarli di istruzioni e farli funzionare si sono spesi tantissimi soldi. Questo fa sì che il loro costo superi di gran lunga quella della matita.
A differenza della matita, il visore non solo deve essere istruito per funzionare, ma è necessario che la persona sia già alfabetizzata all'uso. Infatti il visore è così complesso che non è possibile usarlo se non ha già soddisfatto dei requisiti minimi di utilizzo.
Proprio per l'intimità fra l'oggetto e le istruzioni per funzionare, il visore ha un ciclo vitale decisamente più breve della matita, determinato dalla rapida obsolescenza delle istruzioni necessarie per mantenere le sue prestazioni efficaci/efficienti, con la conseguente necessità di un altrettanto rapido sviluppo formale. E la rapidità di cambiamento costa molto.
Infine, per far funzionare i visori ci vogliono, a prescindere da quella specifica tecnologia, infrastrutture sofisticate, complesse e costose perché funzioni. Senza rete elettrica e/o rete dati, non è che un inutile (e scomodissimo) fermacarte.
Dunque, per far fare a undici milioni di persone lo stesso salto di qualità di accesso, creazione e consumo di conoscenza che ha permesso la matita, non solo il costo è immensamente più grande, ma anche la percentuale di chi riesce a farlo diminuisce in misura della qualità e quantità di alfabetizzazione pregressa necessaria a comprenderla e usarla, e delle infrastrutture necessaria per farla funzionare.
Da questo traggo queste conclusioni.
Il digital divide è implicito nello sviluppo di quelle tecnologie che necessitano di istruzioni complesse per funzionare. Più sono sofisticate, più alto sarà il gradino cognitivo, psicologico, culturale da superare e più ristretto sarà il numero delle persone in grado di usarle e il costo per abbassare il digital divide sarà sempre di più alto.
L'obiezione che si fa più spesso a questa mia affermazione è che con il progredire delle tecnologie costruttive e con l'applicazione di principi di design che mirano alla semplicità attraverso una riduzione ragionata della complessità, si arriva a realizzare oggetti che incorporano sempre più intimamente l'informazione necessaria al suo funzionamento, lasciando libero il suo utente di usarlo senza necessariamente conoscere la complessità celata al suo interno.
La cultura digitale pare non essere una curva esponenziale nè un’ondata di piena. Piuttosto questa si stratifica, si insinua nelle culture tradizionali colmando lacune generazionali.
Esiste un grado di adesione alle tecnologie vasto, ma spesso inconsapevole delle sue reali caratteristiche e potenzialità. Questo avviene tanto più facilmente quando questa si inserisce "naturalmente" in un’abitudine, in un loop culturale consolidato.
Benché uno smartphone abbia in sé una tecnologia complessa, questa è diffusa anche fra la popolazione che non ha l’alfabetizzazione digitale necessaria per comprendere il suo funzionamento. Come è possibile?
È possibile perché la si adopera come la tecnologia precedente. Lo smartphone non ha imposto un cambiamento di abitudini; sfrutta semplicemente l'area di sovrapposizione fra la precedente e la nuova tecnologia. Ecco perché un ottantenne può usare uno smartphone di ultima generazione; lo usa esattamente come il telefono a filo di casa: scrive i numeri in un’agendina di carta e non sa cosa siano sms e app.
Ma la forbice si allarga con il crescere della complessità tecnologica e della cultura necessaria per accedervi.
Immaginiamo che dall'attuale pesante visore per la realtà virtuale si arrivi velocemente alle lenti a contatto a realtà virtuale: già se ne parla da tempo, e ci sono progetti avanzati, come Mojo Lens e AR Smart Lens.
Ma se tecnologicamente questo sarà possibile a breve, non altrettanto velocemente saremo in grado come cultura umana, di comprenderla. Non si può non prendere in considerazione l'attrito cognitivo e culturale colossale che deriva proprio dal celare la sua complessità. Che costi sociali può avere l'introduzione massiccia di una simile sofisticatissima tecnologia? Infine, non si può non tenere in conto che il costo della semplificazione sarà altrettanto colossale, così come la necessità di infrastrutture sempre più sofisticate, ubique e pervasive.
La tecnologia di per sé è condizione necessaria, ma non sufficiente per l'evoluzione culturale delle persone. E neppure il fatto che esiste, che " si può fare" rende una tecnologia ipso facto utile e comprensibile alle culture in cui vivono le persone a cui viene proposta.
Per questo, sono pienamente convinto che non perché una tecnologia abbia successo, questa sia anche coerente e utile ai valori della cultura che l'ha generata.
Al milione di persone super-sapienti prospettate dai calcoli ipotetici si contrapporranno schiere, popoli, che non avranno accesso alle tecnologie ad alto livello di istruzioni, che ne useranno altre a più basso livello e in forme più semplificate, passive? Si concretizzeranno le distopie fantascientifiche di città sprawl immense e rugginose e città giardino sospese e inaccessibili come Zalem in Battle Angel Alita?
È una possibilità a cui non credo.
Credo per contro all'assoluta necessità di allineare tecnologia a società e cultura, renderla più "resiliente, equa e sostenibile", come dice Klaus Schwab, direttore del Forum economico mondiale.
Questa è la più grande sfida che attende l'attuale generazione di giovani innovatori, dovranno fare i conti con un passato recente e un presente di contraddizioni forti, che noi visionari del primo mattino digitale, non avevamo immaginato. E nemmeno voluto.
Se è possibile trarre un insegnamento dai momenti che stiamo vivendo, è che tutto il pensiero occidentale, ma non solo, va verso una riscrittura, un ripensamento del pensiero tecnocratico nato dalla rivoluzione di Internet portata dalle culture californiane. È stato un balzo quantico tanto quanto l’invenzione dell’agricoltura, della rivoluzione industriale, ma che sta mostrando velocemente anche i suoi limiti e le sue contraddizioni.
Siamo giunti nel momento in cui si può ragionare sull'innovazione e il futuro dell'umanità subendo la fascinazione culturale della tecnologia.
È tempo di una rivoluzione nell'approccio alla tecnologia, attuando una “Tecnologia Culturalmente Riflettente", far rispecchiare il primato della cultura (l'umanesimo, l'etica, l'ecologia, ecc.) nella tecnologia e non viceversa, come è accaduto sino ad oggi al tempo dalla "grande adozione" dei social.
Se si realizzeranno tecnologie per tutti, queste non potranno a mio parere che essere come la matita. E come saranno?
Beh, ragazzi, questo tocca voi dircelo.