Whistleblowing: cos'è e come è disciplinato

WHISTLEBLOWING
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Whistleblowing: cos'è e come è disciplinato

ABSTRACT

Di provenienza anglo-americana, il sistema di segnalazione degli illeciti da parte dei dipendenti nelle società, sia nella dimensione pubblica che privatistica, è progressivamente “entrato” anche nel sistema domestico, sebbene - come spesso accade nella tecnica legislativa del nostro Paese - con discipline settoriali e cronologicamente accavallate nel tempo. Si segnala con favore la recente approvazione da parte dell’Esecutivo dello schema di Decreto Legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto UE (whistleblowers) e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali (Direttiva Whistleblowing).

 

IL WHISTLEBLOWING: UN’INTRODUZIONE

Il termine whistleblowing può essere letteralmente tradotto con “soffiare nel fischietto”, anche se nella nostra lingua non è così agevole trovare una traduzione adeguata in grado di rendere correttamente il senso e il significato dell’equivalente inglese. Tale aspetto, che apparentemente potrebbe sembrare una questione meramente terminologica, in realtà, come i Maestri della scienza comparatistica insegnano, nasconde in sé dei crittotipi i quali, nel caso italiano, sono il motivo per cui l’introduzione di una normativa in materia abbia atteso così tanto, a fronte di numerose ostilità, tanto della politica quanto del mondo imprenditoriale. La traduzione più immediata coniata nella nostra lingua è, infatti, quella di “delazione” o “segnalazione” o ancora “fare la spia”. E, tuttavia, mentre il delatore denuncia fatti che sa non essere veri, incolpando in questo caso una persona innocente, e configurando in tal modo l’ipotesi di reato prevista dal codice penale all’art. 368 (i.e. calunnia) il whistleblower segnala fatti che, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si siano verificati. Ben si comprende quindi come le due figure si trovino su un piano etico e morale completamente antitetico, sebbene talvolta vengano ancora sovrapposte [V. M. DONINI, La tutela del whistleblower tra resistenze culturali e criticità legislative, in Diritto Penale e Procedura].

In sintesi. Il whistleblowing, fondamentale strumento di compliance aziendale ideato e collaudato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, nasce per garantire un’informazione tempestiva e una altrettanto rapida soluzione in merito a eventuali rischi ai danni o a opera di un’organizzazione. È quella forma di delazione (segreta e riservata) tutelata che un soggetto che fa parte (in senso lato) di una società esercita quando nota un illecito, che può essere civile, penale, anche solo etico e che può avvenire all’interno della azienda (segnalazione interna), oppure all’esterno (segnalazione esterna), tramite segnalazioni ad autorità indipendenti, all’autorità giudiziaria o alla stampa e ai media.

In particolare, il whistleblowing interno si caratterizza per l’utilizzo di specifici canali interni comunicativi, i quali consentono ai lavoratori o le terze parti di un'organizzazione (pubblica o privata) di segnalare le condotte illecite o fraudolente di cui siano venuti a conoscenza. Al contrario, si parla di whistleblowing esterno quando la segnalazione di un illecito viene fatta all’autorità giudiziaria, ai media o alle associazioni ed enti competenti. E’ prassi comune quella per cui chi decide di avvalersi della pratica del whistleblowing esterno lo fa o per assenza di fiducia nei confronti della propria azienda, in quanto quest’ultima non garantisce un sistema di whistleblowing sicuro e tutelante; oppure perché non può proprio disporre di un sistema di whistleblowing all'interno della propria organizzazione.

Uno dei grandi temi che accompagna, come si vedrà, le normative in materia di whistleblowing concerne il delicato rapporto tra la tutela del segnalante da ritorsioni, e quindi la garanzia dell’anonimato, ma anche, dall’altro lato, la tutela del segnalato, tutte le volte in cui le segnalazioni (che, come detto, possono concernere anche reati) si rivelino del tutto infondate, pretestuose se non già calunniose. Dunque, la ricerca di un delicato equilibrio di tutele.

 

IL WHISTLEBLOWING: LA LEGISLAZIONE ITALIANA: DALLE NORMATIVE DI SETTORE ALLA LEGGE N. 179 DEL 30 NOVEMBRE 2017

Come anticipato, in Italia, la normativa sul whistleblowing è sempre stata settoriale e, come altre riforme nel nostro Paese quali quella in materia di responsabilità degli enti, sollecitata dal legislatore comunitario. Solo nel 2017, come si vedrà, fermo poi quanto si dirà con riferimento al recepimento della Direttiva UE 2019/1937, è entrata in vigore una disciplina unitaria sul whistleblowing e di maggior tutela del whistleblower con l’entrata in vigore il 29 dicembre 2017 della Legge 30 novembre 2017, n.179 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Tale legge ha, infatti, introdotto un sistema “binario” (pubblico e privato) di tutela nei confronti dei lavoratori che denuncino reati e irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito delle proprie attività lavorative [per le considerazioni che seguono v. G. CARDINALE, Whistleblowing: tra discipline di settore e interventi di riforma, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 6].

Una tra le prime normative di settore nelle quali è possibile scorgere un primo, embrionale, rimando alla fenomenologia del whistleblowing concerne la disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 in materia di responsabilità degli enti da reato. Qui, infatti, si legge all’art. 6, comma II lett. d) d.lgs. cit. che il modello di organizzazione e di gestione - c.d. modello 231 - adottato in funzione di prevenzione del rischio reato deve “prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza” dello stesso. In un’ottica di dinamicità del Modello, si impone quindi ai suoi destinatari un costante scambio di flussi informativi verso l’OdV, non escluse quindi le segnalazioni di illeciti. A tal proposito, infatti, valga sottolineare come il successivo art. 7, comma 3, la dove menziona la necessità, all’interno del Modello, di approntare “misure idonee […] a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio” sembra proprio voler far riferimento a quella fondamentale attività di reporting interno dell’ente che dovrebbe consentire ai dipendenti di denunciare, senza ritorsioni (c.d. whistleblowing), situazioni ai margini della legalità o comportamenti scorretti potenzialmente idonei, in assenza di un pronto intervento, a trasformarsi in fatti delittuosi. Ecco, quindi, che la previsione di un sistema di segnalazione ‘diffuso’, che parta dal ‘basso’, insieme con un adeguato meccanismo di attivazione del sistema disciplinare interno concorrono alla definizione di effettività ed efficacia preventiva del modello stesso.

A seguire, la disciplina giuslavoristica in materia di tutela della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro di cui al d.lgs. 81/2008. Qui, infatti, l’art. 20 del d.lgs. cit. pone una serie di obblighi a carico dei lavoratori, tra i quali quello di segnalare immediatamente, per iscritto, al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (impegnandosi quest’ultimo a garantire l’anonimato del segnalante) e, suo tramite, al datore di lavoro, le anomalie presenti in attrezzature, sostanze, materiali e dispositivi; obbligo gravante anche ove le anomalie non siano fonte di pericolo incombente per i lavoratori.

E’ solo la c.d. Legge Severino (l. 190/2012) che, per prima, nell’ambito degli strumenti contro la lotta alla corruzione nel settore pubblico, introduce il fenomeno del whistleblowing con un addendum all’interno del T.U.P.I. (Testo Unico sul Pubblico Impiego). Si tratta dell’inserimento dell’art. 54-bis all’interno del d.lgs. 165/2001 il quale disciplina le misure anti-relation, l’individuazione dei soggetti destinatari della segnalazione, la disciplina sulla riservatezza dell’identità del segnalante, la quale non può essere rivelata, salvo consenso dello stesso o nel caso in cui la rivelazione sia “assolutamente indispensabile” per la difesa del segnalato. La segnalazione è sottratta dal dritto di accesso agli atti ex artt. 22 ss. l. 241/90.

Più nel dettaglio, il dipendente che denunciava (attese le modifiche medio tempore intervenute nel 2017) all’Autorità Giudiziaria (ordinaria o contabile) o che segnalava al proprio superiore gerarchico condotte illecite conosciute in ragione del rapporto di lavoro, non poteva essere sottoposto a sanzioni, licenziamento o a forme di discriminazione lavorativa, diretta o indiretta, conseguenti alla segnalazione effettuata, salvo l’integrazione dei reati di calunnia o di diffamazione o la responsabilità ex art. 2043 c.c. Inoltre, l’anonimato del segnalante era garantito dal comma 2 della norma, il quale sanciva che l’identità di questo non potesse essere rivelata fatta eccezione nei casi in cui: 1) lo stesso “segnalante” avesse prestato consenso esplicito; 2) la contestazione dell’addebito fosse fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione del whistleblower e la conoscenza dell’identità di questo risultasse assolutamente indispensabile per la presenza del presunto autore dell’illecito. A sua volta, il comma 3 concerneva la segnalazione in caso di adozione di misure di ritorsione al Dipartimento della funzione pubblica dal segnalante o da organizzazione sindacale “maggiormente rappresentativa” nell’amministrazione. Infine, il comma 4 sottraeva la denuncia alla disciplina dell’accesso così come regolata dagli artt. 22 e ss. della legge 241/1990. Nel 2014 la norma ha subìto una modifica, da parte della legge 144/2014 la quale ha inserito tra i soggetti abilitati a ricevere le segnalazioni anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione e per la Valutazione e la Trasparenza (ANAC) [G. CARDINALE, Whistleblowing: tra discipline di settore e interventi di riforma, cit.].

Col tempo si sono poi susseguiti, sempre nelle legislazioni di settore, ulteriori rimandi al tema del whistleblowing, di cui ci si limita a farne solamente menzione: nel d.lgs. 58/98 (T.U.F.), a seguito del recepimento delle Direttive MiFID II e MiFIR, con l’introduzione di una disciplina unitaria dei sistemi di segnalazione delle violazioni nel settore del mercato finanziario degli articoli 4-undecies e 4-duodecies inerenti, rispettivamente, il c.d. whistleblowing interno e il c.d. whistleblowing esterno; nel d.lgs. 385/93 (T.U.B.), all’articolo 52-bis (Sistemi interni di segnalazione delle violazioni); nel d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 con cui il Legislatore ha recepito la Direttiva 2015/849/UE (“IV Direttiva Antiriciclaggio”) con la quale, riformando la disciplina sul riciclaggio, ha modificato l’art. 48 del D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 ai sensi del quale i destinatari della disciplina sono, oggi, tenuti a istituire “procedure per la segnalazione al proprio interno [...] di violazioni, potenziali o effettive, delle disposizioni dettate in funzione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo” [A. PARROTTA, R. RAZZANTE, Il sistema di segnalazione interna – il whistleblowing nell’assetto anticorruzione, antiriciclaggio e nella prevenzione da responsabilità degli Enti, con prefazione di Virginio Carnevali, Presidente di Transaparency International Italia, Pacini Giuridica Ed.].

Si arriva così alla disciplina organica di cui alla legge 30 novembre del 2017, n. 179, la quale si compone di tre soli articoli: l’art. 1 modifica e potenzia la procedura pubblicistica ex art. 54 bis del TUPI, stante la sua ridotta efficacia e utilizzazione; l’art. 2 introduce il whistleblowing nel settore privato; infine, l’art. 3 mira ad armonizzare la nuova disciplina con le norme riguardanti il rapporto di lavoro e la riservatezza.

Tra le modifiche introdotte dall’art. 1 al TUPI di cui all’art. 54-bis si segnalano quelle di cui al  comma I il quale stabilisce che “Il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza […], ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere […]; il comma VI, sottolinea che “Qualora venga accertata, nell'ambito dell'istruttoria condotta dall'ANAC, l'adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l'ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro […]” e, ancora, su tale scia, il comma VIII, secondo cui “Il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione è reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23”. Infine, di fondamentale importanza, per assicurare quell’equilibrio di tutele di cui si è detto sopra, la previsione dell’ultimo comma di cui all’art. 54 bis T.U.P.I., a mente del quale, “le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave”.

Per ciò che concerne le modifiche operate con l’art. 2 della l. cit. nel settore privato esse si concentrano - punto di caduta della normativa - solo ed esclusivamente sulla disciplina della responsabilità da reato degli enti ai sensi del d.lgs. 231/01, prevedendo uno o più canali che, a tutela dell’integrità dell’ente, consentano di effettuare segnalazioni circostanziate di condotte costituenti reati o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte (verosimilmente, anche se la norma non ne parla, all’OdV). Viene, inoltre, introdotta la possibilità, in caso di adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti segnalanti, di denuncia all’ispettorato Nazionale del Lavoro, anche da parte dell’organizzazione sindacale; sancita, infine, la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del segnalante del mutamento di mansioni, nonché di qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria. Si specifica, poi, che il modello dovrà prevedere specifici canali di segnalazione, di cui almeno uno informatico, che permettano di mantenere la riservatezza dell’identità del segnalante; inoltre è necessario che il modello sancisca il divieto di atti ritorsivi e preveda l’irrogazione di sanzioni disciplinari, sia verso chi adotta l’atto ritorsivo, sia verso colui che effettua segnalazioni infondate con dolo o colpa grave. Circa l’oggetto si deve trattare di “segnalazioni circostanziate di condotte illecite” (cioè o suscettibili di integrare uno dei “reati-presupposto 231” e “fondate su elementi di fatto precisi e concordanti” o, alternativamente, condotte in violazioni del modello) delle quali il soggetto inserito all’interno dell’organigramma è venuto a conoscenza “in ragione delle funzioni svolte”. È apprezzabile la specificazione, mancante nel settore pubblico, secondo la quale il segnalante debba fornire elementi utili per il riscontro [V. DROSI, La disciplina del whistleblowing nei settori pubblico e privato, in Giurisprudenza Penale Web 2020, 9].

Infine, con il terzo articolo si prevede quella che ad una prima lettura sembrerebbe una “causa di giustificazione” di rivelazione del segreto professionale in senso lato. Parrebbe, cioè, essere stata introdotta una “scriminante” (sub specie di quella ex art. 51 c.p. dell’esercizio di un diritto) nel perseguire “l’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni” riveli “notizie coperte dall'obbligo di segreto di cui agli articoli 326, 622 e 623 del codice penale e all'articolo 2105 del codice civile”, lecitamente acquisite s’intende.


IL WHISTLEBLOWING: LO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA (UE) 2019/1937.

Con la citata Direttiva, e il conseguente schema di decreto legislativo adottato, i legislatori Comunitario, prima, e domestico, poi, hanno inteso approntare una corposa ed integrata disciplina in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (cd. direttiva Whistleblowing). Dall’articolo 1 e dai “considerando” si ricava che lo scopo della direttiva è quello di disciplinare la protezione dei whistleblowers all’interno dell’Unione mediante norme minime di tutela volte a uniformare le normative nazionali tenendo conto che coloro “che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a sapere nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione” (considerando 31). Il legislatore europeo intende attribuire allo strumento del whistleblowing la funzione di “rafforzare i principi di trasparenza e responsabilità” (considerando nr. 2) e di prevenire la commissione dei reati.

In materia di ambito di applicazione, va rilevato che, anche alla luce del principio comunitario di sussidiarietà, la Direttiva si applica ai seguenti settori: appalti pubblici, servizi finanziari, sicurezza dei prodotti e dei trasporti, ambiente, alimenti, salute pubblica, privacy, sicurezza della rete e dei sistemi informatici, concorrenza.

Indubbio elemento di forza, quantomeno a livello di tecnica legislativa, l’unificazione dei destinatari a cui si rivolge, ossia tanto al settore pubblico quanto a quello privato. Si prevede, poi, dal punto di vista soggettivo, un’estensione significativa di tutela: si rivolge, infatti, all’insieme dei soggetti, collegati in senso ampio all’organizzazione nella quale si è verificata la violazione, che potrebbero temere ritorsioni in considerazione della situazione di vulnerabilità economica in cui si trovano (i dipendenti, i lavoratori autonomi, i collaboratori esterni, coloro che svolgono tirocini retribuiti o meno, i volontari, coloro il cui rapporto di lavoro è terminato o non è ancora incominciato e tutti i soggetti che lavorano sotto la supervisione e direzione di appaltatori, sub-appaltatori e fornitori). Le misure di protezione si estendono poi anche ai c.d. facilitatori (ossia coloro che prestano assistenza al lavoratore nel processo di segnalazione), ai colleghi e persino ai parenti dei whistleblowers, ma a questi ultimi soggetti, di cui all’art. 3 comma 5, non si applica la previsione dell’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 17 commi 2 e 3.

Come riportato nella Relazione illustrativa allo schema di Decreto, le segnalazioni delle violazioni, per rientrare nell’ambito di applicazione del presente decreto, devono avere ad oggetto disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato.

Le segnalazioni possono essere effettuate attraverso tre diversi canali di segnalazione: interni, esterni e pubblici.

La direttiva prevede che la tutela sia prevista anche in caso di segnalazioni o divulgazioni rivelatisi poi infondate, qualora il segnalante abbia avuto fondati motivi di ritenere che le violazioni fossero vere.

Nel caso di segnalazioni consapevolmente false la direttiva stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di prevedere sanzioni adeguate, oltre al risarcimento del danno.

La direttiva prevede, inoltre, che possa beneficiare delle tutele anche chi effettua la segnalazione mediante la divulgazione pubblica, a patto che sia stato preliminarmente utilizzato il canale interno o esterno, ma non vi sia stata una risposta appropriata; o che non siano stati utilizzati i canali interni o esterni per rischio di ritorsione o per inefficacia di quei sistemi.

La Direttiva sul whistleblowing prevede che debbano dotarsi di canali di segnalazione interni:

  • tutti gli enti pubblici con possibilità di esonero per i comuni con meno di 10.000 abitanti e per gli enti pubblici con meno di 50 dipendenti;
  • gli enti privati con più di 50 dipendenti, nonché gli enti privati che operano in determinati e specifici settori, indipendentemente dal numero di dipendenti.

Infine, due ulteriori novità: l’art. 17 dello Schema di Decreto prevede una normativa di tutela per il segnalante anche sul fronte processuale: si prevede l’inversione dell’onere della prova in merito alla natura ritorsiva delle misure adottate ed al danno subito, spettando al soggetto che ha posto in essere le condotte o gli atti vietati di cui alla stessa disposizione dimostrare che gli stessi sono estranei alla segnalazione o alla divulgazione pubblica e che il danno subito è derivato dalla segnalazione, tranne con riguardo ai parenti del whistleblower, sui quali incombe dunque l’onere probatorio qualora lamentino di aver subito ritorsioni o di avere subito un danno a seguito delle stesse. La seconda novità, all’art. 19, ove si prevede sia nel settore pubblico che nel settore privato la comunicazione all’ANAC delle misure ritorsive adottate. È stata eliminata la possibilità, di cui si è detto sopra, prevista dall’articolo 6 del decreto legislativo 231/2001, di comunicare le misure ritorsive all’Ispettorato del lavoro, essendo stata prevista la sola competenza dell’ANAC anche nel settore privato.


IL WHISTLEBLOWING: CONCLUSIONI

Il recepimento - sebbene tardivo - della normativa comunitaria sembra andare nel senso di una maggior tutela di chi segnala, tanto nel privato quanto nel pubblico, comportamenti illeciti. Si tratta di uno strumento che, sapientemente dosato e governato, contribuisce certamente al miglior funzionamento dell’apparato pubblico, in un’ottica di trasparenza e buon andamento, ma anche di quello privato, inserendosi in un contesto di sana gestione e conduzione dell’attività d’impresa, anche, e non da ultimo, in un’ottica di prevenzione del rischio reato al suo interno.