Agenzia delle Dogane: in attesa dei decreti attuativi la Legge Reguzzoni sul made in non si applica
Ricordiamo che la Legge Reguzzoni 55/2010, in vigore dal 6 maggio 2010 (ma, appunto, le cui disposizioni principali acquisteranno efficacia quando saranno emanati alcuni decreti attuativi), istituisce un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, intendendosi per tali quelli che sono destinati alla vendita, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi. La nozione di «prodotto tessile» è piuttosto ampia intendendosi per tale, “ogni tessuto o filato, naturale, sintetico o artificiale, che costituisca parte del prodotto finito o intermedio destinato all’abbigliamento, oppure all’utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all’impiego quale materiale componente di prodotti destinati all’arredo della casa e all’arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero”. Mentre per fasi di lavorazione si intendono: “la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione”.
Secondo la Legge “L’impiego dell’indicazione «Made in Italy» è permesso esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità”.
Viceversa, il comma 10 dell’articolo 1 della Legge stabilisce che per ciascuno dei suddetti prodotti che “non abbia i requisiti per l’impiego dell’indicazione «Made in Italy», resta salvo l’obbligo di etichettatura con l’indicazione dello Stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria” (si noti che si persiste purtroppo nella sovrapposizione dei concetti di provenienza e origine).
Tuttavia, l’applicazione della normativa comunitaria potrebbe portare, in alcuni casi, al paradosso secondo cui proprio in forza della normativa comunitaria un prodotto può fregiarsi dell’indicazione «Made in Italy», che invece non risulta ammissibile secondo la disciplina italiana. A quest’ultimo riguardo occorre fare infatti riferimento alle due fasi di lavorazione di cui alla Legge e non all’ultima trasformazione sostanziale.
(Agenzia delle Dogane, Circolare 22 settembre 2010, n.119919).
Ricordiamo che la Legge Reguzzoni 55/2010, in vigore dal 6 maggio 2010 (ma, appunto, le cui disposizioni principali acquisteranno efficacia quando saranno emanati alcuni decreti attuativi), istituisce un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, intendendosi per tali quelli che sono destinati alla vendita, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi. La nozione di «prodotto tessile» è piuttosto ampia intendendosi per tale, “ogni tessuto o filato, naturale, sintetico o artificiale, che costituisca parte del prodotto finito o intermedio destinato all’abbigliamento, oppure all’utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all’impiego quale materiale componente di prodotti destinati all’arredo della casa e all’arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero”. Mentre per fasi di lavorazione si intendono: “la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione”.
Secondo la Legge “L’impiego dell’indicazione «Made in Italy» è permesso esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità”.
Viceversa, il comma 10 dell’articolo 1 della Legge stabilisce che per ciascuno dei suddetti prodotti che “non abbia i requisiti per l’impiego dell’indicazione «Made in Italy», resta salvo l’obbligo di etichettatura con l’indicazione dello Stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria” (si noti che si persiste purtroppo nella sovrapposizione dei concetti di provenienza e origine).
Tuttavia, l’applicazione della normativa comunitaria potrebbe portare, in alcuni casi, al paradosso secondo cui proprio in forza della normativa comunitaria un prodotto può fregiarsi dell’indicazione «Made in Italy», che invece non risulta ammissibile secondo la disciplina italiana. A quest’ultimo riguardo occorre fare infatti riferimento alle due fasi di lavorazione di cui alla Legge e non all’ultima trasformazione sostanziale.
(Agenzia delle Dogane, Circolare 22 settembre 2010, n.119919).