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Almanacco: la speranza nell'avvenire

Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi

"Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?

Passeggere. Almanacchi per l’anno nuovo?

Venditore. Sì, signore.

Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.”

 

È l’incipit di una famosissima operetta morale di Leopardi in cui, in un dialogo serrato tra un venditore di almanacchi e un passante dai modi socratici, emerge l’ostinata speranza dell’uomo nell’avvenire.

Quest’anno infatti, anche ai più pessimisti, è sicuramente sfuggito un “Buon anno! Speriamo sia migliore!” e gennaio, nemmeno è finito, ci ha già travolti.

Eppure almanacchiamo, fantastichiamo che qualcosa di gioioso e inaspettato ci sorprenderà. Non possiamo farci niente, abbiamo una fiducia congenita e inestinguibile nel tempo che verrà. Come d’altronde, alla fine di questo dialogo, sulla vita che vorrebbe, chiosa il passeggere: “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?” “Speriamo”. In questo “Speriamo” del venditore c’è l’irriducibilità dell’uomo al bene, al bello e al buono.

Non importa che vita tu abbia avuto finora, non importa se sei stato infelice, c’è un nuovo tempo davanti a te. E non scalfiamo in noi questo pensiero, anche in un tempo strano come il nostro, interamente preso in un processo in cui si cerca di sopravvivere il meglio possibile, e non di vivere.

A Leopardi, tuttavia, sembra essere solo un’illusione senza radice; che sia davvero un’ingannevole utopia questa inestinguibile speranza?

Oltre alla bellezza della natura tutta, ci sono faccende umane, piccole cose che ci riempiono il cuore e che, a ben guardare, luccicano come diamanti in un’oscura miniera e ci indicano il cielo stellato.

So che in una stanza, poco distante da casa mia, c’è Mary che, con dolci e lenti movimenti circolari, accarezza il suo pancione.

Più in là, anzi più su, tra le vette, come una volpina delle Alpi, Veronica gioca con la neve e ritrova una candida gioia.

Simone si sente abbracciato dal tepore saporito della sua casa, ogni volta che ne varca la soglia.

Nella camera da letto del paesello, lo specchio sorprende Annarita con il riflesso di una donna intraprendente.

Un po’ più a sud, le mie zie cucinano parole d’amore per tutti e la loro fatica è un canto antico.

Nel grigiume delle mie preoccupazioni, mi accoglie l’abbagliante sorriso di Marco e la sedia a rotelle non è più un ostacolo fra noi.

I sogni di Nicoletta li trovi tra la sala e la cucina e non hanno mai smesso di danzare, perché lei è una ballerina.

Gocce di gioia che si mescolano alla pioggia e ci chiedono di guardare più in là.

Dove va il nostro tempo?

“[...] il tempo passa, ma non ci lascia. Il tempo passa, ma si ripropone ogni giorno di più come una cosa nuova, piena di senso e di significato. Ecco, amici miei, portate lietamente il peso delle iniziative di Dio nella vostra vita. Portate anche il peso delle fatiche di Dio che coinvolgono la vostra vita. Il tempo che passa è perché il tempo passi, scusate il giro di frase, ma è proprio così. Il tempo che passa è perché il tempo di Dio passi e si affermi potente in noi la grazia di Cristo” (Mons. Luigi Negri).