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Appalti - Consiglio di Stato: l’affidabilità professionale come criterio di esclusione dalla gara di appalto

Determinati fatti di rilievo penale, laddove costituenti ipotesi di grave errore professionale, possono essere valorizzati ai fini della sussistenza della causa ostativa di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f) del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, facendo venire a mancare l’elemento fiduciario essenziale nei rapporti contrattuali della Pubblica amministrazione.

Nel caso in disamina, la S.r.l. partecipante ad una gara indetta dal Comune di Bari per l’aggiudicazione dell’appalto del servizio di trasporto scolastico risultava aggiudicataria in via provvisoria di due lotti. Accertate a carico della società grave negligenza e malafede nell’esecuzione del precedente appalto di trasporto alunni, la commissione di gara disponeva l’esclusione di detta società per carenza del requisito di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f), del Decreto Legislativo n. 163 del 2006.

La S.r.l. ricorreva al Tribunale Amministrativo Regionale Puglia, Bari, chiedendo l’annullamento del provvedimento di esclusione e di tutti gli atti presupposti, il risarcimento del danno in forma specifica, o, in subordine, per equivalente, il ristoro del danno biologico e la contestuale declaratoria di inefficacia del contratto stipulato o stipulando con la controinteressata relativamente ai lotti di interesse.

Il Tribunale rigettava con sentenza il ricorso comprensivo di motivi aggiunti contro la determinazione del dirigente competente conclusiva di un riesame.

La società ricorreva allora in appello per ottenere la riforma della sentenza di primo grado.

Due principali motivi venivano dedotti in appello: la sentenza impugnata si sarebbe erroneamente fondata sul presupposto che la pendenza dell’indagine penale sui contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto fosse sufficiente sul piano logico a minare il rapporto di fiducia e ad escludere l’affidabilità professionale dell’impresa. L’appellante sosteneva poi l’incompatibilità tra la normativa di cui trattasi e l’articolo 45 della Direttiva comunitaria n. 2004/18.

Costituito in giudizio il Comune di Bari concludeva per la declaratoria di inammissibilità o per la reiezione del gravame sostenendo che nel caso di specie la pendenza di un’indagine penale su contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto contrattuale, nonché la gravità degli addebiti, sarebbero stati oggetto di legittima valutazione discrezionale dell’Amministrazione.

La società controinteressata evidenziava l’irrilevanza della sentenza di assoluzione emanata dalla Autorità giudiziaria penale in quanto, per procedere all’esclusione del concorrente per grave negligenza lesiva del rapporto fiduciario con la società appaltante, non sarebbe necessario che essa sia giurisdizionalmente accertata.

La S.r.l. replicava alle avverse argomentazioni difensive evidenziando che il Comune di Bari non avrebbe effettuato alcun accertamento autonomo e diretto rispetto agli elementi dell’indagine penale e che comunque le irregolarità contestate sarebbero state insufficienti a sorreggere la dichiarazione di negligenza e mala fede.

L’appello veniva stabilito infondato.

La società impugnava la decisione davanti al Consiglio di Stato riproponendo le critiche.

Il collegio premette che è irrilevante la decisione del Tribunale di Bari di assoluzione per insussistenza del fatto avente per oggetto i comportamenti costituenti “grave negligenza”.

L’articolo 38 comma 1, lettera f), del citato Decreto Legislativo stabilisce infatti che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e stipulare i relativi contratti, i soggetti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante.

Dall’interpretazione consolidata del Giudice Amministrativo risulta che la “violazione dei doveri professionali” cui la norma in questione fa riferimento abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi” e richiede che la responsabilità risulti accertata e provata con qualsiasi mezzo di prova, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato o di un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio.

Non vige infatti alcun divieto alla sussumibilità delle fattispecie di reato nella categoria del grave errore professionale (lettera f) anziché nella fattispecie più delimitata prevista dalla lettera c) dello stesso comma (che richiede una sentenza passata in giudicato), né alcuna riserva del penalmente sensibile alla categoria della moralità professionale strettamente intesa.

Risulta dunque sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione, il quale potere, discrezionale è soggetto al sindacato del giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti. A questo fine le censure non appaiono idonee a dimostrare la illogicità delle motivazioni poste a base del provvedimento impugnato.

Per quanto concerne poi l’indeterminatezza della previsione nazionale nella definizione di “gravità dell’errore professionale compiuto” e delle modalità di accertamento dello stesso, le quali, secondo l’argomento dell’appellante, risulterebbero contrarie alla teoria dell’“atto chiaro” di radice comunitaria, la questione risulta infondata.

Il testo della direttiva n. 2004/18/CE, infatti, consente di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria ponendosi come fonte di recepimento.

In conclusione, essendo la norma comunitaria di eguale ampiezza rispetto a quella attuativa ed atteso che “tale ampiezza appare inidonea a comportare alcuna violazione dei principi comunitari e nazionali posti a presidio del favor partecipationis, nonché del diritto alla iniziativa economica costituzionalmente garantito” la normativa di riferimento del provvedimento di esclusione risulta legittima e conforme ai sistemi comunitario e costituzionale.

Il Consiglio di Stato respinge l’appello e dichiara legittima la decisione di esclusione della società dalla gara di appalto per grave negligenza.

(Consiglio di Stato - Quinta Sezione, Sentenza 20 novembre 2015, n. 5299)

Determinati fatti di rilievo penale, laddove costituenti ipotesi di grave errore professionale, possono essere valorizzati ai fini della sussistenza della causa ostativa di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f) del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, facendo venire a mancare l’elemento fiduciario essenziale nei rapporti contrattuali della Pubblica amministrazione.

Nel caso in disamina, la S.r.l. partecipante ad una gara indetta dal Comune di Bari per l’aggiudicazione dell’appalto del servizio di trasporto scolastico risultava aggiudicataria in via provvisoria di due lotti. Accertate a carico della società grave negligenza e malafede nell’esecuzione del precedente appalto di trasporto alunni, la commissione di gara disponeva l’esclusione di detta società per carenza del requisito di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f), del Decreto Legislativo n. 163 del 2006.

La S.r.l. ricorreva al Tribunale Amministrativo Regionale Puglia, Bari, chiedendo l’annullamento del provvedimento di esclusione e di tutti gli atti presupposti, il risarcimento del danno in forma specifica, o, in subordine, per equivalente, il ristoro del danno biologico e la contestuale declaratoria di inefficacia del contratto stipulato o stipulando con la controinteressata relativamente ai lotti di interesse.

Il Tribunale rigettava con sentenza il ricorso comprensivo di motivi aggiunti contro la determinazione del dirigente competente conclusiva di un riesame.

La società ricorreva allora in appello per ottenere la riforma della sentenza di primo grado.

Due principali motivi venivano dedotti in appello: la sentenza impugnata si sarebbe erroneamente fondata sul presupposto che la pendenza dell’indagine penale sui contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto fosse sufficiente sul piano logico a minare il rapporto di fiducia e ad escludere l’affidabilità professionale dell’impresa. L’appellante sosteneva poi l’incompatibilità tra la normativa di cui trattasi e l’articolo 45 della Direttiva comunitaria n. 2004/18.

Costituito in giudizio il Comune di Bari concludeva per la declaratoria di inammissibilità o per la reiezione del gravame sostenendo che nel caso di specie la pendenza di un’indagine penale su contestati episodi di grave negligenza nel pregresso rapporto contrattuale, nonché la gravità degli addebiti, sarebbero stati oggetto di legittima valutazione discrezionale dell’Amministrazione.

La società controinteressata evidenziava l’irrilevanza della sentenza di assoluzione emanata dalla Autorità giudiziaria penale in quanto, per procedere all’esclusione del concorrente per grave negligenza lesiva del rapporto fiduciario con la società appaltante, non sarebbe necessario che essa sia giurisdizionalmente accertata.

La S.r.l. replicava alle avverse argomentazioni difensive evidenziando che il Comune di Bari non avrebbe effettuato alcun accertamento autonomo e diretto rispetto agli elementi dell’indagine penale e che comunque le irregolarità contestate sarebbero state insufficienti a sorreggere la dichiarazione di negligenza e mala fede.

L’appello veniva stabilito infondato.

La società impugnava la decisione davanti al Consiglio di Stato riproponendo le critiche.

Il collegio premette che è irrilevante la decisione del Tribunale di Bari di assoluzione per insussistenza del fatto avente per oggetto i comportamenti costituenti “grave negligenza”.

L’articolo 38 comma 1, lettera f), del citato Decreto Legislativo stabilisce infatti che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e stipulare i relativi contratti, i soggetti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante.

Dall’interpretazione consolidata del Giudice Amministrativo risulta che la “violazione dei doveri professionali” cui la norma in questione fa riferimento abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi” e richiede che la responsabilità risulti accertata e provata con qualsiasi mezzo di prova, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato o di un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio.

Non vige infatti alcun divieto alla sussumibilità delle fattispecie di reato nella categoria del grave errore professionale (lettera f) anziché nella fattispecie più delimitata prevista dalla lettera c) dello stesso comma (che richiede una sentenza passata in giudicato), né alcuna riserva del penalmente sensibile alla categoria della moralità professionale strettamente intesa.

Risulta dunque sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione, il quale potere, discrezionale è soggetto al sindacato del giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti. A questo fine le censure non appaiono idonee a dimostrare la illogicità delle motivazioni poste a base del provvedimento impugnato.

Per quanto concerne poi l’indeterminatezza della previsione nazionale nella definizione di “gravità dell’errore professionale compiuto” e delle modalità di accertamento dello stesso, le quali, secondo l’argomento dell’appellante, risulterebbero contrarie alla teoria dell’“atto chiaro” di radice comunitaria, la questione risulta infondata.

Il testo della direttiva n. 2004/18/CE, infatti, consente di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria ponendosi come fonte di recepimento.

In conclusione, essendo la norma comunitaria di eguale ampiezza rispetto a quella attuativa ed atteso che “tale ampiezza appare inidonea a comportare alcuna violazione dei principi comunitari e nazionali posti a presidio del favor partecipationis, nonché del diritto alla iniziativa economica costituzionalmente garantito” la normativa di riferimento del provvedimento di esclusione risulta legittima e conforme ai sistemi comunitario e costituzionale.

Il Consiglio di Stato respinge l’appello e dichiara legittima la decisione di esclusione della società dalla gara di appalto per grave negligenza.

(Consiglio di Stato - Quinta Sezione, Sentenza 20 novembre 2015, n. 5299)