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Art. 2 - Foglio di via obbligatorio

Tramonto a Venezia, di Monet, Bridgestone Museum of Art, Tokyo (1908)
Tramonto a Venezia, di Monet, Bridgestone Museum of Art, Tokyo (1908)

1. Qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate.

 

Rassegna di giurisprudenza

Infondatezza della questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 16 e 17 Cost.

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 per contrasto con gli artt. 16 e 117 Cost. – quest’ultimo con riferimento all’obbligo dello Stato di interpretare le norme interne conformemente ai principi enucleati dalla CEDU – in relazione alla mancata previsione di un sistema di verifica periodica statuale in ordine ai presupposti limitativi della libertà di circolazione, in quanto, da un lato, la limitazione imposta al cittadino con il foglio di via obbligatorio trova fondamento in una legge emanata nel rispetto della Costituzione, la quale, proprio con il richiamato art. 16, ha garantito la libertà di circolazione e soggiorno del cittadino facendo salve le limitazioni stabilite in via generale per motivi di sanità e sicurezza dalla legge, che può demandare all’autorità amministrativa l’accertamento del pericolo per la sanità e la sicurezza dei singoli individui, conferendole i necessari poteri valutativi; dall’altro, i principi stabiliti dalla CEDU in ordine ai diritti fondamentali della persona risultano salvaguardati dalla previsione dell’obbligo di motivazione del provvedimento del questore e dalla fissazione di un limite temporale al divieto di ritornare nel luogo di residenza (Sez. 1, 2744/2017).

 

Incidenza dell’art. 8 CEDU

È illegittima, per violazione dell’art. 8 CEDU, la misura del foglio di via obbligatorio che sia stata adottata in assenza di un’adeguata istruttoria relativa alla situazione familiare del destinatario del provvedimento (TAR Umbria, Sez. 1, 720/2017).

 

Ricostruzione sistematica dell’istituto

L’art. 2 – al pari dell’art. 2 L. 1423/1956, di cui il primo ha disposto l’abrogazione reiterando, peraltro, con effetto di continuità normativa, le medesime previsioni – trova il suo antecedente normativo nella disciplina prevista dall’art. 157 RD 773/1931 (il cui primo comma era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte costituzionale, 2/1956, nella parte relativa al rimpatrio obbligatorio basato su sospetti, e non su fatti concreti) e stabilisce che, qualora le persone indicate nell’art. 1 della stessa legge siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel Comune dal quale sono allontanate.

L’art. 76, comma 3 sanziona la contravvenzione costituita dall’inosservanza dell’ordine del questore con l’arresto da uno a sei mesi. Circa la norma con la quale l’indicata norma incriminatrice istituisce la relatio, ossia l’art 1 (già art. 1 L. 1423/1956, come a suo tempo sostituito, con più rigorosa delimitazione e tipizzazione dei soggetti pericolosi, dall’art. 2 L. 327/1988), tale disposizione indica quali categorie di persone possono essere destinatarie del provvedimento del questore e del conseguente ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio: 1) coloro che siano ritenuti, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita siano ritenuti, sulla base di elementi di fatto, vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento siano ritenuti, sulla base di elementi di fatto, dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

Va precisato che è stata dichiarata (Corte costituzionale, 24/2019) l’illegittimità costituzionale della suddetta disposizione nella parte in cui consente di applicare le misure di prevenzione della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, del sequestro e della confisca, ai soggetti indicati nell’art. 1, numero 1), L. 1423/1956, poi confluito nell’art. 1, lettera a), (coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi).

Quanto agli elementi essenziali che contraddistinguono la misura di prevenzione personale costituita dal rimpatrio con foglio di via obbligatorio, essa, come si evince in modo piano dal testo della disposizione, implica che la legittima emissione dell’atto da parte del questore sia sorretta da due condizioni concomitanti, costituite dalla valutazione di pericolosità formulata dalla suddetta autorità di polizia nei confronti del destinatario, quale persona appartenente a una delle categorie indicate nel precedente art. 1 (ora, non più con riferimento alla casistica di cui alla lett. a), e dell’accertamento che la persona si trovi fuori del luogo di residenza, verso il quale esso deve essere avviato con il contestuale divieto di permanere nel luogo di allontanamento.

Da questa considerazione deriva che il contenuto del provvedimento, per essere conforme al tipo configurato dalla legge, deve contemplare – quale presupposto di carattere necessario, e non eventuale o alternativo – il divieto di rientro della persona (in difetto di autorizzazione, o prima del termine imposto) nel comune dal quale la medesima viene estromessa, coniugato con l’ordine di fare ritorno nel luogo di residenza dal quale la persona si è allontanata.

L’effetto coercitivo e l’effetto inibitorio, quindi, formano contestuale oggetto del provvedimento impositivo della misura di prevenzione in esame: il legislatore, rimodulando le disposizioni previste dall’antecedente normativo costituito dal citato art. 157 RD 733/1931, ha unificato in una sola misura di prevenzione personale di natura promiscua le – prima distinte – previsioni del rimpatrio con il foglio di via obbligatorio e del divieto di ritorno.

Si è tratto, pertanto, dalla richiamata struttura della fattispecie il logico corollario secondo cui l’accertamento del fatto che la persona si trova in un luogo diverso da quello di residenza e l’ordine impositivo dell’obbligo conseguente di farvi rientro immediato integrano condizioni imprescindibili – e fra loro non scindibili – della legittima emissione del divieto diretto allo stesso soggetto di far ritorno nel luogo dal quale egli viene allontanato.

Definita anche per tale verso la norma su cui il questore ha basato il suo provvedimento, deve poi considerarsi che l’atto, previsto dall’art. 2, alla cui emanazione consegue l’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio costituisce un provvedimento di natura amministrativa caratterizzato da un’ampia discrezionalità, di natura notevolmente restrittiva, e idoneo a produrre effetti giuridici immediati nella sfera giuridica del destinatario, per cui si è correttamente argomentato che alla sua adozione è sempre necessario far precedere l’effettuazione di un’attenta indagine avente ad oggetto tutti gli elementi giustificativi, configurabili come indefettibili presupposti della sua legittimità.

Naturalmente, il giudice non può sostituirsi all’autorità amministrativa nella valutazione circa la pericolosità della persona destinataria del provvedimento in questione, in quanto altrimenti eserciterebbe un inammissibile sindacato giurisdizionale di merito sull’atto amministrativo.

Tuttavia, è del pari assodato che il giudice può e deve valutare la legittimità dell’atto, in quanto essa costituisce il presupposto necessario del giudizio in ordine alla commissione del reato oggetto della sua cognizione; è, quindi, abilitato a svolgere il sindacato di legittimità sul provvedimento consistente nella verifica della sua conformità alle prescrizioni di legge: e tra tali prescrizioni deve annoverarsi l’obbligo di motivazione sugli elementi da cui viene desunto il giudizio di pericolosità del soggetto. Pertanto, se all’esito di tale valutazione il giudice ritiene l’illegittimità dell’atto stesso, deve disapplicarlo, con le ineludibili conseguenze per la verifica dell’integrazione della fattispecie al suo esame (Sez. 1, 32397/2017).

Quanto allo spettro che deve connotare l’indicata verifica, non è inutile ricordare come, secondo l’interpretazione qui condivisa, la conformità a legge del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio debba essere accertata dal giudice penale alla luce dei parametri dell’incompetenza, della violazione di legge ed anche dell’eccesso di potere (Sez. 1, 28549/2008, anche per la specificazione che, per quanto riguarda particolarmente l’eccesso di potere, esso è suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario, non solo nella configurazione dello sviamento di potere, ma anche nelle figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza amministrativa).

Né sussiste, d’altronde, ragione di limitare l’ambito del sindacato di legittimità del giudice penale, quando esso investa addirittura l’accertamento della presenza degli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, la cui mancanza sia idonea a comportare la più grave sanzione della nullità (Sez. 3, 6537/1992).

L’ulteriore implicazione – di decisivo rilievo nel caso di specie – delle considerazioni finora svolte è quella relativa alle conseguenze determinate dalla mancanza nel provvedimento emesso dal questore, ex art. 2, dell’accertamento del luogo di residenza del destinatario del foglio di via e/o della mancanza in esso del conseguente ordine di rimpatrio.

La tesi che si ritiene corretta si orienta, pertanto, nel senso che tale mancanza rende l’atto amministrativo difforme dalla fattispecie tipica e, come tale, carente di uno dei suoi elementi essenziali stabiliti dall’art. 2, con la conseguente produzione della nullità del provvedimento prevista dall’art. 21–septies L. 241/1990. Va segnalato che si tratta di conclusione non sempre condivisa.

La coesistenza nella misura di prevenzione personale costituita dal rimpatrio con foglio di via obbligatorio disciplinato dall’art. 2 di due atti di natura impositiva, costituiti dall’ordine di fare rientro nel luogo di residenza e dal divieto di ritornare (prima del termine indicato, oppure senza autorizzazione) nel luogo dal quale la persona viene allontanata non è stata ritenuta essenziale da una parte dell’elaborazione pratica, essendosi considerata sufficiente per l’integrazione del reato in esame, alternativamente, la violazione del divieto di allontanamento da un certo territorio, oppure quella del divieto di farvi ritorno per un certo periodo, non ravvisandosi nella norma incriminatrice il riferimento, quale presupposto del reato, a un provvedimento amministrativo complesso che prescriva contemporaneamente entrambe le proibizioni (Sez. 1, 460/2019).

Questa interpretazione, in relazione all’inquadramento svolto in premessa, non appare persuasiva, in quanto non si accorda con la lettura sistematica della norma, la cui struttura, in rapporto alla funzione del provvedimento, non contempla la possibilità dell’emissione dissecata dei due ordini che caratterizzano la misura di prevenzione dell’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio: la necessaria compresenza e correlazione, in questo atto del questore, di entrambe le intimazioni – fare rientro nel luogo di residenza e non ritornare nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento, l’una configurata come la condizione e l’antecedente logico dell’altra – determina la conseguenza che entrambe sono finalizzate in via concorrente a integrare, sul piano oggettivo, la fattispecie legale tipica del provvedimento.

Oltre a quanto già si è argomentato, nel senso dell’inscindibilità contenutistica della misura di prevenzione milita, d’altronde, la disposizione, perpetuata (mutuandola dall’art. 2, comma 3, L. 1423/1956) nell’art. 76, comma 3, dopo la fissazione del quadro sanzionatorio, lì dove si stabilisce che nella sentenza di condanna viene disposto che, scontata la pena, il contravventore sia tradotto al luogo del rimpatrio.

Impregiudicato lo spessore delle considerazioni svolte dagli interpreti in senso contrario all’attuale applicabilità del precetto (la cui genesi rimonta all’arresto obbligatorio in flagranza già previsto per il contravventore della misura di prevenzione, ex art. 220 RD 733/1931, norma successivamente superata in virtù del disposto di cui all’art. 207 Disp. att. c.p.p.), certo è che la sua previsione come effetto ulteriore dell’accertamento della violazione della misura di prevenzione e dell’irrogazione della relativa pena sottende la necessarietà – non la mera eventualità – dell’inserzione nella struttura del relativo provvedimento dell’ordine di rimpatrio del prevenuto, con l’indicazione del relativo comune di residenza.

Pertanto, solo la corretta formazione del provvedimento, caratterizzata dall’emissione della duplice intimazione, costituisce il presupposto del reato derivante dall’inosservanza di una delle sue prescrizioni, con l’ulteriore, ma ineludibile, effetto che la mancanza dell’una o dell’altra prescrizione, determinando la carenza di uno degli elementi essenziali dell’atto amministrativo, ne mina la validità e, per tale carenza, fa venir meno il presupposto logico–giuridico della condotta incriminata, costituita – ex art. 76, comma 3 – dalla violazione della disposizione di un provvedimento che risulti validamente formato.

Altra parte dell’elaborazione – pur dando per assodata l’illegittimità del provvedimento del questore che si sia limitato a imporre il solo divieto di ritorno nel comune di allontanamento (al pari del solo provvedimento di rimpatrio nel comune di residenza, senza il divieto di ritorno), discendente dalla non corrispondenza dell’atto al modello tipizzato dalla legge – ne ritiene l’irrilevanza nel giudizio penale in cui sia contestato il reato di cui all’art. 76, comma 3 (o del suo antecedente normativo) per il fatto che tale vizio si considera rilevabile dal giudice ordinario al fine di disapplicare il provvedimento amministrativo, in quanto non comporterebbe una lesione di diritti soggettivi facenti capo al destinatario dell’atto, per il singolo comando con esso espresso, con l’effetto che la violazione del divieto di non far ritorno in una certa località, che il questore abbia imposto senza contemporaneamente disporre il rimpatrio con foglio di via obbligatorio, integra comunque la contravvenzione prevista dalla L. 1423/1956 (Sez. 1, 22687/2013).

Questo orientamento richiama a sostegno della conclusione ora indicata il limite posto al giudice penale alla disapplicazione degli atti amministrativi considerando in concreto ostativo il principio affermato dalle Sezioni unite secondo cui il giudice penale non ha, ai sensi degli artt. 4 e 5 L. 2248/1865, all. E, il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che non comportano una lesione dei diritti soggettivi, ma si limitano a rimuovere un ostacolo al loro libero esercizio (nulla osta, autorizzazioni) o addirittura li costituiscono (SU, 3/1987).

Va sul punto ricordato, tuttavia, che la disapplicazione è dallo stesso insegnamento ora citato ammessa qualora il potere trovi fondamento e giustificazione in un’esplicita previsione legislativa ovvero, nell’ambito dell’interpretazione della norma penale, qualora l’illegittimità dell’atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa.

Deve, nel caso di specie, considerarsi che l’emissione del valido provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, afferisce all’atto richiamato, oltre che necessariamente presupposto, dalla norma incriminatrice.

Rispetto ad esso, dunque, il giudice penale, onde stabilire se il fatto contestato all’imputato sussiste, è tenuto a verificare previamente la legalità formale e sostanziale del provvedimento presupposto, che ha inciso direttamente sulla sfera soggettiva dell’imputato e che si assume da questi violato: e lo deve fare, come si è visto, in relazione ai vari profili di invalidità in precedenza ricordati, ivi inclusa l’annullabilità prevista dall’art. 21–octies L. 241/1990, in quanto tale verifica è insita nell’accertamento degli elementi costitutivi del fatto penalmente illecito ogniqualvolta la corrispondenza del provvedimento al modello tipico stabilito dalla legge costituisca condizione di validità dell’atto che integra il presupposto del reato.

E tanto più la verifica si impone quando il vizio consista nella mancanza di uno degli elementi essenziali del provvedimento e, per tale carenza, determini la sua nullità. Per le ragioni esposte, quindi, si ritiene conseguente ribadire il principio già affermato in sede di legittimità, più volte, in tempi recenti secondo cui, in tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio, con la conseguenza che la mancanza di una delle due prescrizioni determina l’illegittimità del suddetto provvedimento, sindacabile dal giudice penale, e la conseguente insussistenza del reato di cui all’art. 76, comma 3 (Sez. 1, 4074/2019).

L’accertata inscindibilità nel provvedimento del divieto di rientro della persona (in difetto di autorizzazione, o prima del termine imposto) nel comune dal quale la medesima viene estromessa e dell’ordine di fare ritorno nel luogo di residenza dal quale la persona si è allontanata comporta l’ulteriore conseguenza che la norma istitutiva della misura di prevenzione personale in esame non possa trovare concreta applicazione nei confronti di colui il quale sia privo di residenza, intesa come effettiva e abituale dimora, sia pure per un tempo limitato, nel territorio nazionale: è stato, sul punto, considerato che la ratio dell’istituto – essendo costituita dal perseguimento dell’obiettivo di far ritornare la persona pericolosa nel comune in cui il soggetto risiede e in cui può meglio esplicarsi il controllo di pubblica sicurezza nei suoi confronti – non si rinviene quando sia del tutto mancante il luogo di residenza in cui destinare il medesimo con la misura coercitiva del foglio di via.

Va, quindi, ribadito che lo scopo del foglio di via, come quello di ogni altra misura di prevenzione personale, è quello di prevenire le manifestazioni della pericolosità sociale della quale il destinatario è portatore, non quello dell’allontanamento purchessia delle persone pericolose da un determinato luogo, insuperato e attuale essendo il monito della Corte costituzionale, fin da quando ha affrontato (sentenza 68/1964) la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 L. 1423/1956 (sollevata facendo specifico riferimento all’interpretazione della misura di prevenzione prevista dalla norma come obbligo della persona pericolosa di allontanarsi da un determinato luogo, e non anche come obbligo di portarsi in altro, determinato luogo) nel senso che l’obbligo previsto dalla suindicata norma di portarsi, almeno inizialmente, nel Comune di residenza risponde a un’esigenza logica, fondata sulla realtà, poiché senza l’indicazione di una destinazione il foglio di via avrebbe “l’aspetto di un bando, non di un ordine di trasferimento da un Comune ad un altro”.

Sicché, soltanto se intesa nel contestuale senso sopra precisato, la misura in parola, per un verso, assicura un più efficace controllo da parte dell’autorità di pubblica sicurezza e, con esso, un’effettiva attività di prevenzione e, per l’altro, garantisce al destinatario di tornare nel luogo di dimora abituale, “dovendosi ragionevolmente presumere che egli nel luogo della sua dimora abituale abbia le maggiori possibilità di reinserirsi in un ambiente più confacente ad un sistema di vita meno esposto ai pericoli ed ai turbamenti del luogo di non abituale dimora”.

Forma oggetto, del resto, di affermazione già sedimentata il principio secondo cui il provvedimento con cui il questore, in materia di misure di prevenzione personali, ordina ai soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica di fare rientro nei luoghi di residenza ha riferimento alla nozione di residenza offerta dall’art. 43 CC, e quindi al luogo della dimora abituale, della cui effettività l’iscrizione anagrafica è soltanto un indice, salva la prova contraria (Sez. 1, 23022/2009).

Nella già indicata prospettiva teleologica, l’interpretazione dell’istituto qui condivisa è, dunque, consentanea alla necessità di prevenire le manifestazioni della pericolosità sociale di cui è portatore il destinatario del foglio di via, con la connessa esigenza di perseguire la finalità di controllo, verso cui è funzionalizzata l’intera platea delle misure di prevenzione personale, secondo quanto ha ribadito la (già citata) pronunzia della Corte costituzionale 24/2019, escludendo che tali misure di prevenzione abbiano nella sostanza carattere sanzionatorio–punitivo, in relazione alla verifica delle garanzie che la CEDU e la Costituzione apprestano per la materia penale, e invece confermando che esse perseguono, all’esito del giudizio di sussistente pericolosità del soggetto, una precisa finalità preventiva, anziché punitiva.

Pertanto, si deve ribadire che il divieto di fare rientro nel territorio di allontanamento presuppone che sia sussistente e, quindi, conosciuto un diverso comune nel quale il soggetto destinatario del foglio di via abbia diritto di soggiornare e dal quale non possa essere allontanato (Sez. 1, 37816/2019).

Nel quadro così delineato, nemmeno sembra assumere significativa rilevanza in senso contrario a quello qui indicato la previsione – nell’ambito della normativa dettata in tema di ordinamento anagrafico della popolazione residente, con particolare riferimento all’art. 2 L. 228/1954 e all’art. 7 DPR 223/1989, modificato dal DPR 123/2015 – dell’iscrizione di ufficio delle persone senza fissa dimora, né domicilio nei registri anagrafici del comune di nascita, disposizione che, ispirata da tangibili ragioni di natura amministrativa, anche di ordine statistico, non risponde alle finalità di controllo che si è detto essere sottese alla normativa sul foglio di via obbligatorio, né garantisce la fruizione di quei presidi che rendono meno probabile la commissione di ulteriori reati.

Corollario di questo sviluppo argomentativo è la conclusione che il soggetto che non abbia la residenza nel territorio dello Stato e non disponga di alcuna dimora fissa, pur se per tempo determinato, versa in una condizione personale per la quale l’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio – in mancanza della possibilità di destinazione del prevenuto nel comune di residenza – non può essere validamente emesso nei suoi confronti (Sez. 1, 40832/2019).

Premesse l’imprescindibilità e l’inscindibilità delle prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio, si osserva che la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro) rende l’atto amministrativo difforme dalla fattispecie tipica e carente di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 2, la cui mancanza è idonea a produrre la nullità di natura strutturale dell’atto prevista dall’art. 21–septies L. 241/1990 sul procedimento amministrativo.

Con specifico riferimento al provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, va affermato il potere–dovere del giudice penale di verificare e sindacare la conformità alla legge dell’atto amministrativo sotto il profilo dell’insussistenza di vizi che ne determinino l’annullabilità che deve essere accertata alla luce dei parametri tradizionali dell’incompetenza, della violazione di legge e dell’eccesso di potere, con la precisazione, per quanto riguarda quest’ultimo, che esso è suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario non solo nella classica configurazione dello sviamento di potere, ma anche nelle varie figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza amministrativa (Sez. 1, 28549/2008). 

Si rileva che non vi è, pertanto, ragione di limitare o circoscrivere l’ambito e la portata della sindacabilità, quando esso investa addirittura l’accertamento della presenza degli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, la cui mancanza sia idonea a comportare la più grave sanzione della nullità.

Si osserva che entrambe le intimazioni sopra menzionate devono concorrere a integrare, sul piano oggettivo, la fattispecie legale tipica del provvedimento, la cui corretta formazione ed esistenza costituisce il presupposto del reato derivante dall’inosservanza di una delle sue prescrizioni; con la conseguenza che la mancanza dell’una o dell’altra prescrizione, facendo venir meno la validità e dunque la legittimità dell’atto, fa venir meno lo stesso presupposto logico–giuridico della condotta incriminata ex art. 76 comma 3, costituita dalla violazione della disposizione di un provvedimento validamente e legittimamente formato (Sez. 1, 36654/2019).

Ai fini dell’adozione del foglio di via obbligatorio nei confronti di chi si trovi fuori dei luoghi di residenza, il questore deve accertare (e specificamente indicare) la sussistenza di due presupposti necessariamente concorrenti, in quanto la persona colpita dalla misura deve essere collocabile in una delle categorie di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’art. 1 L. 1423/1956 e deve essere pericolosa per la sicurezza pubblica (Cons. Stato, 5479/2011).

 

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