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La responsabilità penale in tema di circolazione stradale

Nota a Tribunale di Roma - Giudice per l’udienza preliminare - Dott.ssa Marina Finiti, 26 novembre 2008
Sommario:

1. Considerazioni introduttive;

2. La decisione del Tribunale di Roma nei suoi passaggi chiave;

3 Brevi riflessioni;

4 La recente pronuncia della Cassazione penale in materia di criminalità stradale.

1. Considerazioni introduttive.

La sentenza in epigrafe, affrontando la discussa tematica della criminalità connessa alla circolazione stradale, svolge in punto di diritto interessanti considerazioni, relative all’annosa questione –applicativa- dei criteri distintivi tra dolo eventuale e colpa cosciente (o con previsione).

Come è noto le due figure sono attigue l’una all’altra, separate da una sottile linea di demarcazione cosi che, nella prassi, non sempre risulta agevole individuare l’elemento psicologico del reato, sussistendo casi limite in cui l’interprete è chiamato ad una ardua indagine prospettica.

Attualmente, dottrina maggioritaria e giurisprudenza di legittimità, appaiono univoche nell’accettare, quale elemento di differenziazione tra i due suddetti coefficienti psichici, il c.d. criterio di accettazione del rischio.

Sulla base di tale criterio, affinché si abbia dolo eventuale, è necessario che il soggetto agente oltre a rappresentarsi l’evento antigiuridico, conseguenza della sua azione o omissione, accetti il rischio che tale evento possa effettivamente verificarsi; per contro sussisterà colpa cosciente qualora il soggetto, pur rappresentandosi l’evento antigiuridico, agisce nella convinzione che questo non si verifichi.

Giova per precisione sottolineare come, nel dolo eventuale, tale attributo è da riferirsi al risultato possibile (per l’appunto eventuale), al quale il dolo stesso si riferisce, e quindi all’accettazione da parte del soggetto della possibilità dell’evento, sia pure come risultato accessorio rispetto allo scopo della propria condotta.

Ovviamente, non potendosi indagare la psiche dell’agente, l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato va effettuato alla stregua delle circostanze di fatto esistenti e note all’agente nel momento in cui la condotta è stata posta in essere, risalendo dalle stesse all’atteggiamento psichico (Cass. Sez. I sent. 22.10.1997 n.5969).

Rinviando alla manualistica per l’approfondimento dei suddetti istituti, appare di indubbio interesse esaminare l’iter logico-giuridico seguito dalla pronuncia de qua, la quale si pone in palese contrasto con l’orientamento giurisprudenziale, oggi largamente maggioritario, in materia di criminalità stradale, valutando astrattamente possibile, anche nella materia in oggetto, l’esistenza di forme di condotta dolose.

Invero, è ad oggi pacifica la tendenza di dottrina e giurisprudenza nel qualificare come delitti colposi i crimini commessi in relazione alla circolazione stradale, facendo leva sui parametri standard della colpa generica, ovvero l’imprudenza e la negligenza e della colpa specifica, ovvero l’inosservanza di leggi e regolamenti.

A fronte di un quadro giuridico così distintamente delineato, si è tuttavia registrato negli ultimi anni un pericoloso incremento di questo fenomeno criminale, tale da attirare le attenzioni della pubblica opinione, sempre più preoccupata per le dimensioni assunte dalla criminalità stradale e dall’indulgenza giudiziaria mostrata per gli autori di tali reati.

In tale contesto si inserisce la recente sentenza del Tribunale di Roma, la quale infrange il “dogma” della configurazione necessariamente colposa dei crimini in esame, fornendo un approccio diverso alla problematica de qua e perciò meritevole di una attenta analisi.

2. La decisione del Tribunale di Roma nei suoi passaggi chiave.

Il caso in oggetto, noto tristemente alle cronache, è quello di un soggetto imputato di duplice omicidio volontario, per avere con la sua autovettura investito una coppia di giovani, a bordo di un motorino.

La pubblica accusa, avvalendosi di perizie e testimonianze, ha ritenuto la condotta dell’agente sorretta da un atteggiamento psicologico doloso, seppur nella sua forma meno intensa, ovvero quella del dolo eventuale.

A supporto di tale tesi, forniva elementi valutati come sintomatici di una condotta dolosa quali, in particolare, le modalità di guida e l’attraversamento dell’incrocio, teatro del grave sinistro, in presenza di luce semaforica rossa nella direzione di marcia dell’imputato.

Ex adverso, la difesa, non condividendo la qualificazione giuridica del fatto operata dal P.M., giudicava del tutto carente la volontà omicida del proprio assistito, ritenendo, altresì, sussistente il meno grave coefficiente psicologico della colpa cosciente.

A sostegno di tale impostazione, si evidenziava la condotta di “contro volontà” rispetto all’evento, posto che, al momento del sinistro, il soggetto agente tentava di frenare e sterzare l’auto, proprio al fine di evitare l’impatto con il motociclo.

In particolare, il difensore, richiamava una pronuncia della Suprema Corte (Cass. Sez. I, sent. 30425 del 2001), la quale affermava il principio di diritto per cui “quando il soggetto, pur essendosi rappresentato l’evento come possibile, abbia agito nella convinzione, giusta o sbagliata che sia, che l’evento non si sarebbe comunque verificato, esso non può essere attribuito alla sua sfera volitiva e si cade nel versante della colpa aggravata dall’evento”.

La su indicata decisione della Corte di Cassazione, a parere della difesa dell’imputato, è significativa in quanto tesa ad escludere il dolo eventuale, indipendentemente dal fatto che, la convinzione dell’agente, circa il verificarsi dell’evento, sia corretta o errata.

In altri termini il dolo sarebbe escluso anche in ipotesi di una convinzione dell’agente errata, fondata su presupposti di fatto fallaci: nel caso di specie, sia la conoscenza specifica della strada percorsa, sia la certezza di attraversare l’intersezione stradale prima del sopraggiungere di veicoli da altre direzioni, costituirebbero fattori inequivocabili di una condotta negligente o di inosservanza delle regole riconducibile ad un nesso psichico colposo rispetto all’evento.

Peraltro, un caso tipico utilizzato in dottrina, per spiegare la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente, è esattamente quello dell’incidente stradale, in cui il soggetto, pur rappresentandosi la possibilità di provocare uno scontro, agisce con la convinzione di evitarlo, facendo leva sulla conoscenza della strada e sulle proprie capacità di guidatore, condizioni per cui si rinviene, in tali ipotesi, un tipico caso di colpa con previsione.

A conclusioni opposte, rispetto a quelle in ultimo citate, giunge invece il Tribunale di Roma nella sentenza in commento.

Il foro capitolino, attraverso una certosina opera di ricostruzione ed interpretazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione, concentra le proprie attenzioni sulla ricerca di un criterio-guida in grado di permettere di inserire, o meno, un dato evento nella sfera di volizione dell’agente.

In particolare, il giudice procedente, nel motivare la propria decisione, pone l’accento sul parametro della “ragionevolezza”, in virtù del quale, per potersi escludere la volizione dell’evento , devono sussistere condizioni fattuali e circostanziali tali da indurre il soggetto, secondo comuni regole di esperienza, a confidare razionalmente nella concreta possibilità di scongiurare l’evento.

Il concetto di ragionevolezza nella pronuncia in oggetto, assume assoluta rilevanza nell’indagine dell’elemento psicologico del reato, in quanto ancora (fissa) la valutazione dell’atteggiamento psichico del reo a criteri di esperienza e conoscibilità, e comunque conformi ad un ragionamento razionale compiuto dall’agente.

Per contro, non viene ritenuta condivisibile, dal foro romano, una diversa interpretazione, fondata esclusivamente sulle dichiarazioni posteriori dell’agente, le quali risultano giuridicamente irrilevanti ove non suffragate da criteri razionali.

Ciò significa che, la supposizione del soggetto stesso, di riuscire ad evitare l’evento, è idonea ad escludere il dolo solo ove questa si presenti ragionevole, sulla base di un giudizio prognostico del soggetto, in relazione alle condizioni fattuali e circostanziali del caso concreto.

Pertanto, l’erronea valutazione dell’agente, la quale evidentemente ricorre sempre in presenza di eventi lesivi dell’altrui incolumità, non sorretti da forme di dolo intenzionale, circa la capacità o possibilità di poter scongiurare l’evento, può ritenersi espressione di condotta imprudente e negligente, solo nei casi in cui sia fondata su una ragionevole valutazione compiuta sulla base delle circostanze del caso concreto.

Il foro capitolino svolge poi un ulteriore e fondamentale passaggio logico-giuridico a sostegno della propria impostazione, fondata su parametri empirico – razionali, considerando come ineluttabile corollario della stessa, l’anticipazione del momento in cui l’interprete deve valutare la sussistenza dell’elemento psicologico.

Invero, secondo tale tesi non rileva in alcun modo la volontà del soggetto nel momento immediatamente precedente l’evento, bensì il giudizio prognostico compiuto da quest’ultimo, nella fase in cui si appresta a porre in essere la condotta criminosa, sulla base di dati razionali o regole comuni di esperienza.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Roma, valutate le modalità di guida dell’imputato, le circostanze di tempo e luogo del fatto ( ovvero una zona centrale della capitale, in un orario di elevata circolazione pedonale e stradale), ha ritenuto ravvisabile la consapevolezza di quest’ultimo del rischio estremamente elevato di incidente stradale e, conseguentemente, dell’accettazione del rischio di un evento drammatico.

Per conseguenza, ha respinto le istanze del difensore dell’imputato, di derubricare il titolo di reato in colpa aggravata da previsione dell’evento e di seguito ha condannato quest’ultimo, ex art. 575 c.p., per omicidio volontario doloso, con le sostanziali differenze in termini di entità di pena che ne conseguono rispetto all’omicidio colposo.

3. Brevi riflessioni.

La sentenza in oggetto, mediante un fine ragionamento giuridico, introduce nell’attuale panorama giurisprudenziale la configurabiltà dell’omicidio volontario, nella forma di dolo eventuale, in ordine a crimini connessi alla circolazione stradale.

Tale pronuncia, nell’affrontare una tematica di grande impatto giuridico e sociale, spezza il tradizionale filo legislativo e giurisprudenziale per cui, la criminalità stradale, è considerata comunemente di origine colposa.

Orbene, la sentenza de qua,seppur apprezzabile sia per lo sforzo interpretativo profuso che per il tentativo di fornire una risposta all’allarme sociale provocato dalla gravità e dalla frequenza di eventi infortunistici stradali, si espone ad alcune osservazioni critiche, oltre che a prevedibili gravami.

Anzitutto occorre rifarsi al dato normativo: l’ultimo intervento in tema criminalità stradale è la Legge n.102 del 21 Febbraio 2006 recante “Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali”.

Con il su indicato provvedimento si è inteso far fronte ad un fenomeno criminoso in continua espansione, in quanto strettamente connesso al progresso tecnologico ed alla enorme diffusione della motorizzazione.

Sull’onda emotiva dettata da gravissimi casi di incidenti stradali, dalle tragiche conseguenze in termini di vite umane, nonché sotto la pressione di una opinione pubblica sempre più sensibile a tale tematica, il legislatore è quindi intervenuto introducendo, tra le altre, delle disposizioni normative contenenti inasprimenti di pena per i responsabili di tali reati.

Giova, in tele sede, evidenziare come, anche in quest’ultimo provvedimento legislativo, pur nella consapevolezza della pericolosità del fenomeno in oggetto, si continui a ragionare in termini di delitti colposi, mentre non vi sia alcuna traccia, che induca l’interprete a privilegiare, in tali situazioni, il coefficiente soggettivo doloso  (almeno nella forma di dolo eventuale).

Nondimeno, non possono sottacersi le oggettive difficoltà pratiche, relative al percorso motivazionale seguito dal Tribunale di Roma, nel tentativo di individuare un substrato psicologico di volitività nell’atteggiamento dell’imputato.

A tal proposito, non appare anzitutto pienamente convincente, la scelta di anticipare il momento di valutazione dell’elemento soggettivo del reato, ad uno stadio antecedente alla condotta criminosa, in quanto il dolo -secondo autorevole dottrina- deve perdurare in tutto il periodo in cui, la condotta stessa, rientra nella sfera di signoria dell’agente e quindi anche nello spazio intertemporale precedente l’evento antigiuridico.

Alla luce di ciò, nel caso di specie, è quanto mai dubbio, riferire l’accertamento della volontà del reo a fasi addirittura anteriori alla condotta di guida e, per converso, trascurare i momenti successivi da cui ben potrebbero ricavarsi elementi sintomatici, di un atteggiamento psicologico tutt’ altro che doloso.

Scorrendo la motivazione della pronuncia in esame, inoltre, può osservarsi come le difficoltà sin ora descritte, si manifestino anche sotto l’aspetto più prettamente “terminologico” ove, nel rappresentare la condizione psicologica del reo al momento della guida, il magistrato procedente si esprime in termini di “noncuranza” per la vita umana dovuta ad “erronea valutazione”.

Noncuranza, appunto, sinonimo di negligenza ed imprudenza, ovvero aspetti giuridici tipici dell’elemento soggettivo colposo.

Si richiama altresì l’errore del soggetto, il quale ai sensi dell’art.47 del codice penale, qualora investa il fatto tipico, esclude il dolo in ogni caso, facendo ovviamente salva la punibilità in ipotesi in cui sia determinato da colpa.

Per tante e tali considerazioni è difficilmente giustificabile, sotto l’aspetto strettamente giuridico, l’applicazione del dolo eventuale nella materia in oggetto.

Le suddette difficoltà applicative, peraltro, non dovrebbero meravigliare troppo in considerazione del fatto che, in linea generale, l’istituto stesso del dolo eventuale appare ontologicamente poco compatibile con la definizione generale di dolo,di cui all’art. 43 c.p. c.1, incentrata sull’elemento dell’intenzionalità della condotta del soggetto agente, la quale appare del tutto carente nell’istituto de quo.

Nonostante ciò, nella prassi, si assiste di tanto in tanto, ad una tendenza dilatatoria dell’ambito di operatività del dolo eventuale, causando altresì tensioni nel tessuto normativo, precipuamente per soddisfare presunte esigenze repressive,

Una pratica applicazione di tale fenomeno si è avuta, ad esempio, in materia di infortuni mortali sul lavoro in cui, in un recente caso giudiziario, il datore di lavoro è stato chiamato a rispondere di omicidio volontario, sorretto da dolo eventuale, alla stregua di un giudizio di irragionevolezza circa la valutazione di quest’ultimo dell’evitabilità del sinistro, compiuta sulla base di sistemi di sicurezza assenti o comunque carenti.

Pertanto, alla luce delle difficoltà applicative riscontrate in sede processuale, nonchè della particolare delicatezza degli interessi in gioco (come appunto nei casi di criminalità stradale o di infortuni sul lavoro), sarebbero auspicabili interventi legislativi organici che, facendosi carico di arginare le condotte caratterizzate da una particolare antisocialità, evitino interpretazioni giurisprudenziali, tese a forzare il dato normativo, in modo tale da rispondere alle istanze di giustizia avanzate dall’opinione pubblica.

4. La recente pronuncia della Cassazione penale in materia di criminalità stradale.

Le considerazioni critiche su esposte, circa le difficoltà - sul piano squisitamente giuridico - di rinvenire un substrato psicologico doloso, in materia di criminalità stradale, trovano un sostanziale ed ulteriore riscontro in una recente decisione della Suprema Corte ( Cass. Penale, Sez. IV, sent. N.13083 del 10 Febbraio 2009).

Tale sentenza, prende le mosse dal caso di un soggetto che, alla guida della sua auto di grossa cilindrata ed in stato di ebbrezza, investiva due pedoni cagionando la morte di uno, nonché gravi lesioni all’altro.

Orbene, innanzi al quesito di diritto, relativo all’esatta qualificazione dell’elemento psichico dell’agente, la Corte, anzitutto ribadisce il discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente, comunemente accettato dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza di legittimità.

Esso si identifica nel diverso atteggiamento psicologico del reo che, nella colpa cosciente, si rappresenta la possibilità di realizzare l’evento, seguita dalla convinzione che esso non si verificherà; mentre nel dolo eventuale alla rappresentazione della possibilità del realizzarsi dell’evento, si accompagna l’accettazione del rischio ( quindi volizione) che lo stesso si verifichi.

Fissato come dato differenziale, tra i due affini substrati psichici, l’accettazione del rischio dell’evento, gli ermellini ritengono poi che, l’indagine sulla sussistenza dell’una o dell’altra ipotesi, non possa prescindere da una valutazione di merito, compiuta attraverso l’ indagine degli elementi concreti della fattispecie.

Ebbene, tale aspetto, accomuna le considerazioni svolte dal Tribunale di Roma a quelle della Suprema Corte ,in quanto, giudice del merito e di legittimità, concordano sulla necessità di provare l’elemento psicologico della condotta sulla base di tutti gli elementi di giudizio e circostanze acquisite nella realtà procedimentale.

Ex adverso, si finirebbe con il sostenere l’esistenza di un dolo in re ipsa, sussistente per il solo fatto della condotta rimproverabile, con conseguente inversione dell’onere della prova.

A tal proposito, giova in tale sede evidenziare, come medesimi elementi sintomatici, nel caso all’esame della Corte di Cassazione, ricorrano anche nella fattispecie al vaglio del Gup di Roma (nella sentenza in commento).

In tal senso, il riferimento è alla giovane età del conducente, alla disponibilità di un veicolo di alta cilindrata, nonché alle modalità di guida tenute in centri cittadini densamente popolati.

Muovendo da tali comuni premesse, e pur in presenza di dati fattuali analoghi, poc’anzi indicati, i due organi giudicanti pervengono, a seguito di distinti percorsi motivazionali, a conclusioni diametralmente opposte in punto di diritto.

I giudici di Piazza Cavour, infatti, uniformandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale, ritengono sussistente l’elemento psichico della colpa cosciente, nel caso di omicidio causato da un giovane automobilista per la sua guida pericolosa, ritenendosi la stessa sintomatica di un atteggiamento negligente ed imprudente.

In particolare, è dato rinvenirsi, nella condotta de qua, l’atteggiamento tipico di un soggetto, teso a dimostrare la padronanza ed il predominio dell’auto e della strada che, incoscientemente, sopravvaluta la propria abilità di guida.

Una breve parentesi, meritano poi le considerazioni svolte dagli ermellini, circa lo stato di ebbrezza riscontrato nel reo al momento del fatto, condizione che, lungi dallo smuovere la Corte dalla propria prospettazione, è interpretata, anzi, quale carenza dell’elemento psichico doloso.

Invero, a parere del giudice di legittimità, lo stato di ebbrezza alcolica “che sia lieve o notevole malamente si concilia con una condotta cosciente di una persona che accetta il rischio di verificazione dell’evento”, conclusivamente ritenendo che, visti gli elementi a disposizione del collegio, tutto sembra far propendere per una bravata di un ragazzo convinto delle proprie capacità tanto da ritenere che nulla sarebbe potuto accadergli.

Tutto ciò rilevato, appare evidente come, la sentenza del Tribunale di Roma in commento, si presenti ancor più isolata nel panorama giurisprudenziale attuale.

In effetti, quest’ultimo arresto della Corte di Cassazione, cronologicamente successivo rispetto alla decisione del foro capitolino, presenta rispetto a quest’ultima similitudini strutturali evidenti, alla luce delle rispettive condotte criminose, nonché dei dati fattuali valutati in sede processuale.

Ciò nonostante, la Suprema Corte, rimane ferma sulle proprie posizioni, tese a qualificare in termini di colpa cosciente i crimini derivanti dalla circolazione stradale, all’uopo avvalendosi di un impianto argomentativo, corretto da un punto di vista logico ed assai difficilmente opinabile in punto di diritto.

Ed allora, si può ragionevolmente asserire che, fermo restando il vigente quadro normativo, l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte sia pacificamente consolidato in materia di criminalità stradale, non rinvenendosi (ad oggi) pronunce di segno contrario dei giudici di legittimità, tali da far immaginare, da qui a breve, un “mutamento di rotta” nell’interpretazione della problematica in oggetto.

Sommario:

1. Considerazioni introduttive;

2. La decisione del Tribunale di Roma nei suoi passaggi chiave;

3 Brevi riflessioni;

4 La recente pronuncia della Cassazione penale in materia di criminalità stradale.

1. Considerazioni introduttive.

La sentenza in epigrafe, affrontando la discussa tematica della criminalità connessa alla circolazione stradale, svolge in punto di diritto interessanti considerazioni, relative all’annosa questione –applicativa- dei criteri distintivi tra dolo eventuale e colpa cosciente (o con previsione).

Come è noto le due figure sono attigue l’una all’altra, separate da una sottile linea di demarcazione cosi che, nella prassi, non sempre risulta agevole individuare l’elemento psicologico del reato, sussistendo casi limite in cui l’interprete è chiamato ad una ardua indagine prospettica.

Attualmente, dottrina maggioritaria e giurisprudenza di legittimità, appaiono univoche nell’accettare, quale elemento di differenziazione tra i due suddetti coefficienti psichici, il c.d. criterio di accettazione del rischio.

Sulla base di tale criterio, affinché si abbia dolo eventuale, è necessario che il soggetto agente oltre a rappresentarsi l’evento antigiuridico, conseguenza della sua azione o omissione, accetti il rischio che tale evento possa effettivamente verificarsi; per contro sussisterà colpa cosciente qualora il soggetto, pur rappresentandosi l’evento antigiuridico, agisce nella convinzione che questo non si verifichi.

Giova per precisione sottolineare come, nel dolo eventuale, tale attributo è da riferirsi al risultato possibile (per l’appunto eventuale), al quale il dolo stesso si riferisce, e quindi all’accettazione da parte del soggetto della possibilità dell’evento, sia pure come risultato accessorio rispetto allo scopo della propria condotta.

Ovviamente, non potendosi indagare la psiche dell’agente, l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato va effettuato alla stregua delle circostanze di fatto esistenti e note all’agente nel momento in cui la condotta è stata posta in essere, risalendo dalle stesse all’atteggiamento psichico (Cass. Sez. I sent. 22.10.1997 n.5969).

Rinviando alla manualistica per l’approfondimento dei suddetti istituti, appare di indubbio interesse esaminare l’iter logico-giuridico seguito dalla pronuncia de qua, la quale si pone in palese contrasto con l’orientamento giurisprudenziale, oggi largamente maggioritario, in materia di criminalità stradale, valutando astrattamente possibile, anche nella materia in oggetto, l’esistenza di forme di condotta dolose.

Invero, è ad oggi pacifica la tendenza di dottrina e giurisprudenza nel qualificare come delitti colposi i crimini commessi in relazione alla circolazione stradale, facendo leva sui parametri standard della colpa generica, ovvero l’imprudenza e la negligenza e della colpa specifica, ovvero l’inosservanza di leggi e regolamenti.

A fronte di un quadro giuridico così distintamente delineato, si è tuttavia registrato negli ultimi anni un pericoloso incremento di questo fenomeno criminale, tale da attirare le attenzioni della pubblica opinione, sempre più preoccupata per le dimensioni assunte dalla criminalità stradale e dall’indulgenza giudiziaria mostrata per gli autori di tali reati.

In tale contesto si inserisce la recente sentenza del Tribunale di Roma, la quale infrange il “dogma” della configurazione necessariamente colposa dei crimini in esame, fornendo un approccio diverso alla problematica de qua e perciò meritevole di una attenta analisi.

2. La decisione del Tribunale di Roma nei suoi passaggi chiave.

Il caso in oggetto, noto tristemente alle cronache, è quello di un soggetto imputato di duplice omicidio volontario, per avere con la sua autovettura investito una coppia di giovani, a bordo di un motorino.

La pubblica accusa, avvalendosi di perizie e testimonianze, ha ritenuto la condotta dell’agente sorretta da un atteggiamento psicologico doloso, seppur nella sua forma meno intensa, ovvero quella del dolo eventuale.

A supporto di tale tesi, forniva elementi valutati come sintomatici di una condotta dolosa quali, in particolare, le modalità di guida e l’attraversamento dell’incrocio, teatro del grave sinistro, in presenza di luce semaforica rossa nella direzione di marcia dell’imputato.

Ex adverso, la difesa, non condividendo la qualificazione giuridica del fatto operata dal P.M., giudicava del tutto carente la volontà omicida del proprio assistito, ritenendo, altresì, sussistente il meno grave coefficiente psicologico della colpa cosciente.

A sostegno di tale impostazione, si evidenziava la condotta di “contro volontà” rispetto all’evento, posto che, al momento del sinistro, il soggetto agente tentava di frenare e sterzare l’auto, proprio al fine di evitare l’impatto con il motociclo.

In particolare, il difensore, richiamava una pronuncia della Suprema Corte (Cass. Sez. I, sent. 30425 del 2001), la quale affermava il principio di diritto per cui “quando il soggetto, pur essendosi rappresentato l’evento come possibile, abbia agito nella convinzione, giusta o sbagliata che sia, che l’evento non si sarebbe comunque verificato, esso non può essere attribuito alla sua sfera volitiva e si cade nel versante della colpa aggravata dall’evento”.

La su indicata decisione della Corte di Cassazione, a parere della difesa dell’imputato, è significativa in quanto tesa ad escludere il dolo eventuale, indipendentemente dal fatto che, la convinzione dell’agente, circa il verificarsi dell’evento, sia corretta o errata.

In altri termini il dolo sarebbe escluso anche in ipotesi di una convinzione dell’agente errata, fondata su presupposti di fatto fallaci: nel caso di specie, sia la conoscenza specifica della strada percorsa, sia la certezza di attraversare l’intersezione stradale prima del sopraggiungere di veicoli da altre direzioni, costituirebbero fattori inequivocabili di una condotta negligente o di inosservanza delle regole riconducibile ad un nesso psichico colposo rispetto all’evento.

Peraltro, un caso tipico utilizzato in dottrina, per spiegare la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente, è esattamente quello dell’incidente stradale, in cui il soggetto, pur rappresentandosi la possibilità di provocare uno scontro, agisce con la convinzione di evitarlo, facendo leva sulla conoscenza della strada e sulle proprie capacità di guidatore, condizioni per cui si rinviene, in tali ipotesi, un tipico caso di colpa con previsione.

A conclusioni opposte, rispetto a quelle in ultimo citate, giunge invece il Tribunale di Roma nella sentenza in commento.

Il foro capitolino, attraverso una certosina opera di ricostruzione ed interpretazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione, concentra le proprie attenzioni sulla ricerca di un criterio-guida in grado di permettere di inserire, o meno, un dato evento nella sfera di volizione dell’agente.

In particolare, il giudice procedente, nel motivare la propria decisione, pone l’accento sul parametro della “ragionevolezza”, in virtù del quale, per potersi escludere la volizione dell’evento , devono sussistere condizioni fattuali e circostanziali tali da indurre il soggetto, secondo comuni regole di esperienza, a confidare razionalmente nella concreta possibilità di scongiurare l’evento.

Il concetto di ragionevolezza nella pronuncia in oggetto, assume assoluta rilevanza nell’indagine dell’elemento psicologico del reato, in quanto ancora (fissa) la valutazione dell’atteggiamento psichico del reo a criteri di esperienza e conoscibilità, e comunque conformi ad un ragionamento razionale compiuto dall’agente.

Per contro, non viene ritenuta condivisibile, dal foro romano, una diversa interpretazione, fondata esclusivamente sulle dichiarazioni posteriori dell’agente, le quali risultano giuridicamente irrilevanti ove non suffragate da criteri razionali.

Ciò significa che, la supposizione del soggetto stesso, di riuscire ad evitare l’evento, è idonea ad escludere il dolo solo ove questa si presenti ragionevole, sulla base di un giudizio prognostico del soggetto, in relazione alle condizioni fattuali e circostanziali del caso concreto.

Pertanto, l’erronea valutazione dell’agente, la quale evidentemente ricorre sempre in presenza di eventi lesivi dell’altrui incolumità, non sorretti da forme di dolo intenzionale, circa la capacità o possibilità di poter scongiurare l’evento, può ritenersi espressione di condotta imprudente e negligente, solo nei casi in cui sia fondata su una ragionevole valutazione compiuta sulla base delle circostanze del caso concreto.

Il foro capitolino svolge poi un ulteriore e fondamentale passaggio logico-giuridico a sostegno della propria impostazione, fondata su parametri empirico – razionali, considerando come ineluttabile corollario della stessa, l’anticipazione del momento in cui l’interprete deve valutare la sussistenza dell’elemento psicologico.

Invero, secondo tale tesi non rileva in alcun modo la volontà del soggetto nel momento immediatamente precedente l’evento, bensì il giudizio prognostico compiuto da quest’ultimo, nella fase in cui si appresta a porre in essere la condotta criminosa, sulla base di dati razionali o regole comuni di esperienza.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Roma, valutate le modalità di guida dell’imputato, le circostanze di tempo e luogo del fatto ( ovvero una zona centrale della capitale, in un orario di elevata circolazione pedonale e stradale), ha ritenuto ravvisabile la consapevolezza di quest’ultimo del rischio estremamente elevato di incidente stradale e, conseguentemente, dell’accettazione del rischio di un evento drammatico.

Per conseguenza, ha respinto le istanze del difensore dell’imputato, di derubricare il titolo di reato in colpa aggravata da previsione dell’evento e di seguito ha condannato quest’ultimo, ex art. 575 c.p., per omicidio volontario doloso, con le sostanziali differenze in termini di entità di pena che ne conseguono rispetto all’omicidio colposo.

3. Brevi riflessioni.

La sentenza in oggetto, mediante un fine ragionamento giuridico, introduce nell’attuale panorama giurisprudenziale la configurabiltà dell’omicidio volontario, nella forma di dolo eventuale, in ordine a crimini connessi alla circolazione stradale.

Tale pronuncia, nell’affrontare una tematica di grande impatto giuridico e sociale, spezza il tradizionale filo legislativo e giurisprudenziale per cui, la criminalità stradale, è considerata comunemente di origine colposa.

Orbene, la sentenza de qua,seppur apprezzabile sia per lo sforzo interpretativo profuso che per il tentativo di fornire una risposta all’allarme sociale provocato dalla gravità e dalla frequenza di eventi infortunistici stradali, si espone ad alcune osservazioni critiche, oltre che a prevedibili gravami.

Anzitutto occorre rifarsi al dato normativo: l’ultimo intervento in tema criminalità stradale è la Legge n.102 del 21 Febbraio 2006 recante “Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali”.

Con il su indicato provvedimento si è inteso far fronte ad un fenomeno criminoso in continua espansione, in quanto strettamente connesso al progresso tecnologico ed alla enorme diffusione della motorizzazione.

Sull’onda emotiva dettata da gravissimi casi di incidenti stradali, dalle tragiche conseguenze in termini di vite umane, nonché sotto la pressione di una opinione pubblica sempre più sensibile a tale tematica, il legislatore è quindi intervenuto introducendo, tra le altre, delle disposizioni normative contenenti inasprimenti di pena per i responsabili di tali reati.

Giova, in tele sede, evidenziare come, anche in quest’ultimo provvedimento legislativo, pur nella consapevolezza della pericolosità del fenomeno in oggetto, si continui a ragionare in termini di delitti colposi, mentre non vi sia alcuna traccia, che induca l’interprete a privilegiare, in tali situazioni, il coefficiente soggettivo doloso  (almeno nella forma di dolo eventuale).

Nondimeno, non possono sottacersi le oggettive difficoltà pratiche, relative al percorso motivazionale seguito dal Tribunale di Roma, nel tentativo di individuare un substrato psicologico di volitività nell’atteggiamento dell’imputato.

A tal proposito, non appare anzitutto pienamente convincente, la scelta di anticipare il momento di valutazione dell’elemento soggettivo del reato, ad uno stadio antecedente alla condotta criminosa, in quanto il dolo -secondo autorevole dottrina- deve perdurare in tutto il periodo in cui, la condotta stessa, rientra nella sfera di signoria dell’agente e quindi anche nello spazio intertemporale precedente l’evento antigiuridico.

Alla luce di ciò, nel caso di specie, è quanto mai dubbio, riferire l’accertamento della volontà del reo a fasi addirittura anteriori alla condotta di guida e, per converso, trascurare i momenti successivi da cui ben potrebbero ricavarsi elementi sintomatici, di un atteggiamento psicologico tutt’ altro che doloso.

Scorrendo la motivazione della pronuncia in esame, inoltre, può osservarsi come le difficoltà sin ora descritte, si manifestino anche sotto l’aspetto più prettamente “terminologico” ove, nel rappresentare la condizione psicologica del reo al momento della guida, il magistrato procedente si esprime in termini di “noncuranza” per la vita umana dovuta ad “erronea valutazione”.

Noncuranza, appunto, sinonimo di negligenza ed imprudenza, ovvero aspetti giuridici tipici dell’elemento soggettivo colposo.

Si richiama altresì l’errore del soggetto, il quale ai sensi dell’art.47 del codice penale, qualora investa il fatto tipico, esclude il dolo in ogni caso, facendo ovviamente salva la punibilità in ipotesi in cui sia determinato da colpa.

Per tante e tali considerazioni è difficilmente giustificabile, sotto l’aspetto strettamente giuridico, l’applicazione del dolo eventuale nella materia in oggetto.

Le suddette difficoltà applicative, peraltro, non dovrebbero meravigliare troppo in considerazione del fatto che, in linea generale, l’istituto stesso del dolo eventuale appare ontologicamente poco compatibile con la definizione generale di dolo,di cui all’art. 43 c.p. c.1, incentrata sull’elemento dell’intenzionalità della condotta del soggetto agente, la quale appare del tutto carente nell’istituto de quo.

Nonostante ciò, nella prassi, si assiste di tanto in tanto, ad una tendenza dilatatoria dell’ambito di operatività del dolo eventuale, causando altresì tensioni nel tessuto normativo, precipuamente per soddisfare presunte esigenze repressive,

Una pratica applicazione di tale fenomeno si è avuta, ad esempio, in materia di infortuni mortali sul lavoro in cui, in un recente caso giudiziario, il datore di lavoro è stato chiamato a rispondere di omicidio volontario, sorretto da dolo eventuale, alla stregua di un giudizio di irragionevolezza circa la valutazione di quest’ultimo dell’evitabilità del sinistro, compiuta sulla base di sistemi di sicurezza assenti o comunque carenti.

Pertanto, alla luce delle difficoltà applicative riscontrate in sede processuale, nonchè della particolare delicatezza degli interessi in gioco (come appunto nei casi di criminalità stradale o di infortuni sul lavoro), sarebbero auspicabili interventi legislativi organici che, facendosi carico di arginare le condotte caratterizzate da una particolare antisocialità, evitino interpretazioni giurisprudenziali, tese a forzare il dato normativo, in modo tale da rispondere alle istanze di giustizia avanzate dall’opinione pubblica.

4. La recente pronuncia della Cassazione penale in materia di criminalità stradale.

Le considerazioni critiche su esposte, circa le difficoltà - sul piano squisitamente giuridico - di rinvenire un substrato psicologico doloso, in materia di criminalità stradale, trovano un sostanziale ed ulteriore riscontro in una recente decisione della Suprema Corte ( Cass. Penale, Sez. IV, sent. N.13083 del 10 Febbraio 2009).

Tale sentenza, prende le mosse dal caso di un soggetto che, alla guida della sua auto di grossa cilindrata ed in stato di ebbrezza, investiva due pedoni cagionando la morte di uno, nonché gravi lesioni all’altro.

Orbene, innanzi al quesito di diritto, relativo all’esatta qualificazione dell’elemento psichico dell’agente, la Corte, anzitutto ribadisce il discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente, comunemente accettato dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza di legittimità.

Esso si identifica nel diverso atteggiamento psicologico del reo che, nella colpa cosciente, si rappresenta la possibilità di realizzare l’evento, seguita dalla convinzione che esso non si verificherà; mentre nel dolo eventuale alla rappresentazione della possibilità del realizzarsi dell’evento, si accompagna l’accettazione del rischio ( quindi volizione) che lo stesso si verifichi.

Fissato come dato differenziale, tra i due affini substrati psichici, l’accettazione del rischio dell’evento, gli ermellini ritengono poi che, l’indagine sulla sussistenza dell’una o dell’altra ipotesi, non possa prescindere da una valutazione di merito, compiuta attraverso l’ indagine degli elementi concreti della fattispecie.

Ebbene, tale aspetto, accomuna le considerazioni svolte dal Tribunale di Roma a quelle della Suprema Corte ,in quanto, giudice del merito e di legittimità, concordano sulla necessità di provare l’elemento psicologico della condotta sulla base di tutti gli elementi di giudizio e circostanze acquisite nella realtà procedimentale.

Ex adverso, si finirebbe con il sostenere l’esistenza di un dolo in re ipsa, sussistente per il solo fatto della condotta rimproverabile, con conseguente inversione dell’onere della prova.

A tal proposito, giova in tale sede evidenziare, come medesimi elementi sintomatici, nel caso all’esame della Corte di Cassazione, ricorrano anche nella fattispecie al vaglio del Gup di Roma (nella sentenza in commento).

In tal senso, il riferimento è alla giovane età del conducente, alla disponibilità di un veicolo di alta cilindrata, nonché alle modalità di guida tenute in centri cittadini densamente popolati.

Muovendo da tali comuni premesse, e pur in presenza di dati fattuali analoghi, poc’anzi indicati, i due organi giudicanti pervengono, a seguito di distinti percorsi motivazionali, a conclusioni diametralmente opposte in punto di diritto.

I giudici di Piazza Cavour, infatti, uniformandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale, ritengono sussistente l’elemento psichico della colpa cosciente, nel caso di omicidio causato da un giovane automobilista per la sua guida pericolosa, ritenendosi la stessa sintomatica di un atteggiamento negligente ed imprudente.

In particolare, è dato rinvenirsi, nella condotta de qua, l’atteggiamento tipico di un soggetto, teso a dimostrare la padronanza ed il predominio dell’auto e della strada che, incoscientemente, sopravvaluta la propria abilità di guida.

Una breve parentesi, meritano poi le considerazioni svolte dagli ermellini, circa lo stato di ebbrezza riscontrato nel reo al momento del fatto, condizione che, lungi dallo smuovere la Corte dalla propria prospettazione, è interpretata, anzi, quale carenza dell’elemento psichico doloso.

Invero, a parere del giudice di legittimità, lo stato di ebbrezza alcolica “che sia lieve o notevole malamente si concilia con una condotta cosciente di una persona che accetta il rischio di verificazione dell’evento”, conclusivamente ritenendo che, visti gli elementi a disposizione del collegio, tutto sembra far propendere per una bravata di un ragazzo convinto delle proprie capacità tanto da ritenere che nulla sarebbe potuto accadergli.

Tutto ciò rilevato, appare evidente come, la sentenza del Tribunale di Roma in commento, si presenti ancor più isolata nel panorama giurisprudenziale attuale.

In effetti, quest’ultimo arresto della Corte di Cassazione, cronologicamente successivo rispetto alla decisione del foro capitolino, presenta rispetto a quest’ultima similitudini strutturali evidenti, alla luce delle rispettive condotte criminose, nonché dei dati fattuali valutati in sede processuale.

Ciò nonostante, la Suprema Corte, rimane ferma sulle proprie posizioni, tese a qualificare in termini di colpa cosciente i crimini derivanti dalla circolazione stradale, all’uopo avvalendosi di un impianto argomentativo, corretto da un punto di vista logico ed assai difficilmente opinabile in punto di diritto.

Ed allora, si può ragionevolmente asserire che, fermo restando il vigente quadro normativo, l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte sia pacificamente consolidato in materia di criminalità stradale, non rinvenendosi (ad oggi) pronunce di segno contrario dei giudici di legittimità, tali da far immaginare, da qui a breve, un “mutamento di rotta” nell’interpretazione della problematica in oggetto.