x

x

Il gioco degli specchi della riforma dell’affido condiviso

Il gioco degli specchi della riforma dell’affido condiviso
Il gioco degli specchi della riforma dell’affido condiviso

Nulla meglio del gioco degli specchi descrive lo stato delle critiche al disegno di legge 01.08.2018 n. 735 contenenti norme in materia di affido condiviso, bigenitorialità e mantenimento diretto.

Si assiste ad una vera e propria distorsione del più elementare senso delle norme che si propone di introdurre, nascondendo i limiti dell’attuale disciplina.

Che l’attuale assetto normativo sia assolutamente insoddisfacente ed inadeguato rispetto alla delicatezza degli interessi in gioco, e che sia necessario intervenire quanto più rapidamente possibile è un dato assolutamente indiscutibile.

Basti considerare che all’indomani dell’approvazione della Legge 08.02.2006 n. 54, senza andare troppo per il sottile, si affermava che “i minori devono risiedere stabilmente presso solo uno dei genitori (cosiddetta <<residenza privilegiata>>), con conseguente necessità di stabilire le modalità di incontro con l’altro genitore (sicché, in definitiva l’affido condiviso non è realmente diverso da un ben strutturato affido monogenitoriale”[1].

Un’opinione che non si può certo dire essere rimasta isolata. Anzi.

Le conclusioni raggiunte dall’ISTAT a dieci anni dall’introduzione dell’istituto dell’affido condiviso sono inequivoche: “ad eccezione della drastica diminuzione della proporzione di figli minori affidati in modo esclusivo alle madri, tutti gli altri indicatori non hanno subito modificazioni di rilievo. In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione. Ci si attendeva, infatti, una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento, dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015; questa proporzione, nel 2015, raggiunge il 69% per le madri con almeno un figlio minorenne. Per quanto riguarda le disposizioni economiche, infine, non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiano disposto il mantenimento diretto per capitoli di spesa, a scapito dell’assegno: la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre si mantiene nel decennio stabile (94% del totale delle separazioni con assegno)[2].

Al di là dell’evidente resistenza culturale della magistratura nel dare applicazione alle nuove norme frutto evidentemente di un politicamente inconfessabile e trasversale “substrato culturale dove è la mamma ad occuparsi dei figli”[3], con buona pace del principio di uguaglianza sostanziale che assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Ancor più surreale appare poi la critica, da più parti espressa, di una standardizzazione delle soluzioni che “rischia di non tenere conto della molteplicità della casistica proprio in un ambito in cui le eccezioni sono pressoché la regola”[4].

Se si vuole dunque, seriamente, uscire dalla stanza degli specchi nella quale gli oppositori al Ddl 735 hanno rinchiuso la discussione occorrerà orientarsi utilizzando l’unico strumento a disposizione: la puntuale individuazione dell’obiettivo che si vuol raggiungere, ovvero come tutelare e rendere effettivo il diritto del minore, già oggi riconosciuto dall’ordinamento, alla bigenitorialità.

Il Consiglio d’Europa[5], sulla sorta di 74 studi scientifici ad amplissimo raggio, ha concluso che “l’uguaglianza tra i genitori deve essere garantita e promossa sin dal momento della nascita del bambino. Il coinvolgimento di entrambi i genitori nell’educazione dei loro figli è vantaggioso per il loro sviluppo psicofisico”.

La stessa UNICEF ha recentemente lanciato una campagna informativa a sostegno del più ampio coinvolgimento dei padri nella vita dei figli sin dalla loro nascita in quanto “Nei primi 1.000 giorni, il cervello dei bambini forma nuove connessioni a un ritmo sorprendente: fino a 1.000 ogni secondo, ad un ritmo che non si ripeterà più”[6].

La letteratura scientifica ritiene, in modo pressoché unanime che la perdita del rapporto parentale incida, in modo anche piuttosto importante, sulla salute dei minori.

Ce n’è di ben donde, dunque, per ritenere che la soluzione generale di tempi paritari proposta dal disegno di legge in discussione si fondi su ampia ed universalmente accettata scienza e costituisca una soluzione da estendere quanto più possibile ponendosi essa nell’interesse del minore.

Sia, dunque, metà del tempo con mamma e metà del tempo con papà, senza alcuna ulteriore speculazione dialettica.

Continuare a riproporre l’immagine per cui si vorrebbe costringere “il bimbo a dover fare di continuo le valigie per consentire ai genitori di avere tempi paritari” è dunque un artificio retorico piuttosto obsoleto e fuorviante, perché, come chiunque abbia un minimo di buona fede può vedere, non si tratta, infatti, di dividere il tempo dei figli tra i genitori, ma di garantire ai figli di usufruire al massimo delle possibilità del tempo dei genitori.

E proprio perché ogni caso è un caso a sé stante - e non si tratta di introdurre banali cronometraggi, e soprattutto perché la scienza, e non le associazioni dei padri separati, ha individuato dei range temporali (35/65) entro i quali gli effetti benefici della bigenitorialità per i figli sussistono - le norme in commento prevedono un limite minimo (12 giorni) ed un limite massimo (18 giorni) entro cui, nell’interesse dei figli, i genitori si accordino sul tempo che essi trascorreranno con loro e che, in mancanza di accordo, sia il giudice a stabilire ciò sulla base delle indicazioni che le parti gli forniranno, ma sempre entro la soglia delle 12 notti di pernottamento.

E che le nuove norme non prevedano alcun automatismo è dimostrato dalla previsione di una serie tassativa di casi nei quali, tanto le parti quanto il giudice possano modificare i tempi di convivenza del minore con uno dei genitori.

Quale sia poi l’opinione degli psicologi sul punto è oltremodo noto a chi abbia un minimo di conoscenza della materia.

L’Ordine Nazionale degli Psicologi s’è già espresso nel 2011, proprio in audizione al Senato, ben più che favorevolmente a favore di tempi paritari di frequentazione, doppia abitazione e mantenimento diretto nel senso pieno e non meramente economico del termine.

Orientamento recentemente ribadito dalla Società italiana di Scienze Forensi[7] e dalla Società di Psicologia Giuridica che “auspica che anche nel nostro Paese si possa pervenire ad una regolamentazione sulle modalità di affidamento, ispirata al principio secondo cui ciascun genitore possa partecipare alla quotidianità dei figli. Auspica altresì che venga superata nelle prassi giudiziarie l’obsoleta distinzione tra genitore accudente e genitore ludico, per dare ai figli pari opportunità di stare assieme con l’uno e l’altro genitore, in ragione delle loro esigenze, all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico”[8].

A fronte di tale e tanto consenso scientifico, appare fumoso, e sia consentito anche strumentale, continuare ad affermare di ritenere “indispensabile trovare una soluzione che metta innanzitutto al centro non tanto il diritto dei genitori ad avere <<tempi paritetici>> quanto il diritto dei figli ad avere un rapporto equilibrato con loro”[9] senza poi fornire alcuna indicazione concreta.

I tempi paritari non sono l’unico pilastro su cui si regge la bigenitorialità: il secondo necessario pilastro è dato dai compiti di “cura, educazione, istruzione e assistenza morale” dei figli; sono essi, e non il denaro, che danno sostanza al concetto di mantenimento, lo qualificano e lo valorizzano sotto ogni altro profilo.

Al di là del fatto che sarebbe troppo facile ribaltare l’accusa ricordando che l’attuale disciplina non prevedendo alcun rendiconto circa l’effettivo impiego delle somme a favore dei figli, favorisce abusi da parte del genitore beneficiario e a discapito dei figli a cui favore l’assegno di mantenimento viene corrisposto, appare evidente come il sistema di mantenimento diretto - coerentemente con il suo etimo e con la responsabilità genitoriale che continua a gravare sul genitore obbligato - sia di gran lunga più idoneo a realizzare il diritto del minore ad un rapporto pieno ed effettivo con entrambi i genitori.

Al di là della deresponsabilizzazione insita nel sistema del mantenimento indiretto – l’assegno svuota di contenuto la responsabilità genitoriale riducendola ad un mero simulacro sia per chi deve pagarlo che per chi deve riceverlo – ciò che lo rende incongruo ed eccentrico rispetto alla bigenitorialità è la frattura che esso produce nella relazione tra il genitore obbligato ed il figlio: quest’ultimo sarà necessariamente indotto a distinguere il valore della propria relazione con ciascuno dei propri genitori ed a distinguerli in genitore accudente e genitore ludico.

Fermo restando che, a proposito della necessità di prevedere soluzioni caso per caso, resta ancora da capire come nell’interpretazione dell’“ove necessario” di cui parla l’articolo 337 ter c 4 a proposito della corresponsione dell’assegno di mantenimento possa essere diventato la regola.

La condizione di necessità presuppone infatti la mancanza di un’alternativa, ma come dimostrano le numerose linee guida ed i vari protocolli in uso presso i vari tribunali, nel caso di specie l’alternativa esiste, ed è data dalla distinzione delle spese a seconda della loro natura (prevedibili e non prevedibili, ordinarie e straordinario, …). Continuare con il sistema del mantenimento indiretto senza avere prima esplorato la possibile, ben più ampia e coerente con il principio di bigenitorialità strada del mantenimento diretto, costituisce dunque un’evidente violazione della legge che non può essere nascosta.

Ancora una volta, è evidente come la realtà sia ben diversa da quel che appare, e l’unico modo per comprenderlo sia mantenere lo sguardo rivolto alla bigenitorialità.

Anche in relazione alla disciplina dell’assegnazione della casa.

Al riguardo, vale la pena ricordare come l’attuale testo dell’articolo 337 ter cc nulla disponga in ordine all’assegnazione della casa: l’evidente distorsione di cui i dati statistici danno ampia prova è esclusiva conseguenza dell’artificiosa creazione del concetto di “genitore collocatario” da parte della giurisprudenza.

Sul punto vale la pena ricordare come l’assegnazione dell’immobile sia potenzialmente illimitata nel tempo ed avvenga con modalità anche particolarmente invasive (si pensi alla possibilità di trascrivere nei registri immobiliari l’ordinanza di assegnazione dell’immobile ex articolo 2643 cc) tali da annullare ogni valore economico del bene (anche ai fini di mera garanzia patrimoniale), con ciò realizzandosi una forma di esproprio del tutto atipico in palese violazione dell’articolo 42, c. 2 della Costituzione.

Ben venga allora la scelta di neutralità del disegno di legge in questione che, recependo condivisibili prassi giurisprudenziale quali il cd. Protocollo di Brindisi, prevede che l’assegnazione della casa avvenga secondo le regole del diritto civile ovvero, in alternativa prevedendo delle forme di indennizzo a favore del proprietario che sia costretto ad abbandonarla a favore del coniuge non proprietario.

E veniamo alla tanto contestata alienazione genitoriale.

Vale innanzitutto la pena di sgombrare il campo dagli equivoci: l’abuso di relazione tra accudente e bambino, è stata inclusa nell’ultima versione dell’ICD-11 rilasciata a giugno di quest’anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[10].

Nessuno può più dunque permettersi di dubitare del fatto che talune condotte genitoriali non possano essere ritenute lesive ed abusanti del minore al pari di forme di violenza fisica e non possano provocare danni alla sua salute psicofisica.

Sostenere che con il disegno di legge in esame “uno dei due genitori potrebbe essere <<per legge>> vittima del sistema stesso visto che non si fa alcun cenno della possibilità che il giudice possa verificare le reali motivazioni del rifiuto da parte del figlio verso il parente”, è un’evidente forzatura nell’interpretazione del testo: le norme sugli oneri di allegazione e prova dei comportamenti alienanti gravanti sulle parti e quelle relative alle motivazione dei provvedimenti del giudice non vengono minimamente modificati.

Nessun automatismo viene, dunque, introdotto, sicché, per dirla con le parole della Suprema Corte “in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente”[11].

Posto che la prima parte dell’articolo 17 del disegno di legge in discussione non fa altro che anticipare anche in quella terra di nessuno che è la fase tra la separazione di fatto e l’udienza presidenziale e che dunque non introduce nessuna concreta novità, appare evidente come la pietra dello scandalo sia costituita dalla possibilità per il giudice di adottare provvedimenti interdittivi anche “in assenza di evidenti condotte” alienanti di uno dei genitori in danno dell’altro.

Seppure ad una superficiale lettura ben si potrebbe essere portati a ritenere che una simile norma possa favorire eventuali abusi, appare evidente come non sia così.

L’“assenza di evidenti condotte” alienanti non significa, infatti, che esse non sussistano quanto piuttosto che esse non siano state individuate.

Non occorre essere luminari della psicologia infantile per sapere in quanti modi si possano influenzare i bambini[12], o quanti ostacoli, formalmente legittimi, si possano frapporre ad una sana ed equilibrata frequentazione con un genitore.

Si tratterà dunque di valutare le ragioni del rifiuto del minore, ed una volta accertata l’assenza di condotte pregiudizievoli da parte del genitore estraniato dalla vita del figlio, intervenire a salvaguardia della relazione genitoriale ripristinandola nelle forme più opportune nell’interesse proprio del minore.

È pertanto più che condivisibile prevedere la possibilità per il giudice di intervenire adottando le misure più opportune che vanno dall’ordine di cessazione della condotta alienante al collocamento del minore presso apposite strutture specializzate nel recupero della relazione genitoriale passando per la limitazione dei tempi di convivenza presso il genitore abusante e la limitazione o la sospensione della responsabilità genitoriale.

Come si vede, dunque, nessun automatismo e nessuna possibilità per il giudice di adottare provvedimenti di qualunque genere senza alcun preventivo accertamento della reale consistenza della relazione genitore-figlio ma semplicemente l’indicazione di un preciso percorso, peraltro secondo una precisa graduazione, a tutela del diritto del minore alla bigenitorialità, che è poi la vera ragione per cui le attuali norme si sono rivelate inefficaci.

 

[1] Trib. Napoli, 16.01.2007, est. Casaburi.

[2] Matrimoni, Separazioni Divorzi, novembre 2016.

[3] Così A. Bernardini de Pace in audizione avanti il Senato della Repubblica del 22.10.2018.

[4] Da ultimo “Quel pasticciaccio brutto dell'affido condiviso” R. Cataldi in www.studiocataldi.it.

[5] Risoluzione 2079/2015.

[6] https://www.unicef.org/early-moments 

[7] Comunicato del 24.03.2017.

[8] https://www.psicologiagiuridica.eu/documento-spg-sullaffidamento-materialmente

[9] R. CATALDI, cit.

[10] https://icd.who.int/ 

[11] Cass. Civ. Sez. I, 08.04.2016 n. 6919.

[12] E la drammatica vicenda recentemente riportata alla luce dall'inchiesta giornalistica “Veleno” lo dimostra ben più che ampiamente.