Azione revocatoria, articolo 2901 del codice civile, e trust

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Abstract

Il ricorso al trust per finalità manifestamente elusive determina l’accoglimento della totalità delle domande di revocatoria proposte, con effetti negativi sull’istituto del trust in generale. L’autore si propone di vedere se chi abbia rilasciato una garanzia possa successivamente al sorgere del debito disporre con un trust del proprio patrimonio evitando il rischio dell’azione revocatoria, ma senza volersi sottrarre alle obbligazioni assunte.

 

1) Una recente sentenza del Tribunale di Pavia del 5 aprile 2017, offre pretesto per una riflessione su un tema che oltre dal punto di vista dottrinario interessa perché, più in generale, si riverbera negativamente sul trust e sul suo impiego.

Il punto di partenza è dunque dato dall’ennesima pronuncia in tema di revocatoria, che si conclude con l’accoglimento della relativa domanda, dichiarando inefficace l’apporto di beni che il disponente aveva effettuato nel trust e legittimando così l’esecuzione forzata sul bene immobile oggetto dell’atto dispositivo anche se lo stesso faceva ormai  parte del patrimonio del trustee.

Il caso cennato non rappresenta una novità perché, in particolare negli ultimi due anni, le sentenze di accoglimento delle domande di revocatoria assorbono la quasi totalità della giurisprudenza in materia di trust.

Peraltro si tratta quasi sempre di pronunce correttamente motivate, che non travolgono il trust tout court, ma lo mantengono in vita perché riconoscono, in astratto, la meritevolezza dei fini, pur intervenendo sugli apporti effettuati che sono dichiarati inefficaci.

Le sentenze in esame appaiono ineccepibili anche nel merito perché sanciscono giustamente, con la declaratoria di inefficacia, comportamenti che appaiono manifestamente caratterizzati da un intento fraudolento, oltretutto così rozzamente architettati da non far sorgere alcun dubbio né sull’intento perseguito, da un lato, né sulla fondatezza delle decisioni dall’altro.

È indubbio tuttavia che il ricorso al trust per sfuggire ai propri creditori, banche o fisco che siano è un costume che produce effetti esiziali sul trust perché crea ulteriore sfiducia sull’impiego dell’istituto introducendo un elemento di incertezza che spinge l’utente alla ricerca di soluzioni alternative anche laddove il trust sarebbe la soluzione più idonea.

Infatti, coniugando la facilità con cui, stante l’alto tasso di patologicità illustrato, le domande di revocatoria sono accolte con un contesto economico che vive in uno stato di tensione quasi permanente, è inevitabile la  perdita di credibilità di uno strumento che ha sovente dovuto fare i conti con un atteggiamento non sempre favorevole da parte della giurisprudenza e dell’amministrazione finanziaria.

Considerazioni analoghe possono farsi a proposito dell’impatto generato dall’entrata in vigore della disposizione di cui all’articolo 2929 bis del codice civile che, a fronte della costituzione, successiva al sorgere del credito, di un vincolo di indisponibilità su un bene immobile, consente al creditore di procedere a esecuzione forzata se trascrive il pignoramento entro un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto.

2) Quanto finora descritto, ci spinge a una riflessione nella ricerca di una via d’uscita per coloro che hanno rilasciato una garanzia e, in perfetta buona fede, non intendono sottrarsi fraudolentemente alle loro obbligazioni, ma desiderano, al tempo stesso, mettere ordine nella loro situazione familiare, ovvero gestire il loro patrimonio in modo più dinamico,  e che per cinque anni sono soggetti al rischio di veder vanificati i loro progetti così che sovente si astengono dal porvi mano per il timore di sprecare inutilmente  tempo e denaro.

In effetti il problema non è di facile soluzione dal momento che le condizioni che legittimano il ricorso all’azione revocatoria favoriscono oggettivamente l’esercizio di tale azione.

L’azione revocatoria è infatti quella con la quale il creditore chiede che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti atti di disposizione del patrimonio posti in essere da un suo debitore, e che siano tali da diminuirne la garanzia patrimoniale, pregiudicandone le ragioni.

Detto pregiudizio, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, sussiste anche allorché l’atto dispositivo renda solo più difficile il soddisfacimento delle ragioni del creditore (così Cass. Civ. n. 20813/2004), circostanza che emerge non appena si vada a incidere, in qualunque modo, sul patrimonio del debitore-garante.

3) In questa sede esamineremo la fattispecie solo con riferimento a un trust posto in essere successivamente al rilascio di una garanzia personale, rectius fideiussione, da parte del disponente del trust, escluso ogni dolo o intento fraudolento.

È chiaro infatti, a quanto pare, che il problema della revocatoria si pone solo con riferimento a questo tipo di garanzia, dal momento che nel caso dell’ipoteca, quella è rappresentata dal bene ipotecato,  e, nel pegno, dall’oggetto del quale il debitore si sia in modo reale o figurato spossessato. All’interno di questa fattispecie, l’atto di apporto, o di conferimento, può essere sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso. Infatti quella del trust di pianificazione familiare è solo un’ipotesi, ma ben può accedere il trust a fattispecie caratterizzate dall’onerosità delle prestazioni. Si richiede inoltre:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio.

Precisa inoltre il legislatore che:

a) agli effetti della revocatoria, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito e,

b) l’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione. 

Brevemente si osserva: che il debitore conosca il pregiudizio al momento in cui trasferisce i propri beni in un trust (ipotesi sub 1) appare piuttosto evidente; più difficile la consapevolezza del pregiudizio da parte del terzo, negli atti a titolo oneroso (ipotesi sub 2), salvo che non ci si muova all’interno di un contesto familistico o societario ristretto in cui le iniziative, e le motivazioni, di carattere economico- finanziario di un soggetto (il disponente) possono più facilmente essere condivise con gli altri membri della famiglia o con gli altri soci (cfr. T.Massa - 12 gennaio 2017).

Pur non essendo certo dalla parte di chi ricorre al trust per finalità elusive, incidentalmente si osserva che chi ha suggerito il ricorso al trust nei casi poi caduti sotto la scure della revocatoria denota un approccio piuttosto grossolano al tema. Infatti se sviluppato meglio in progetto sfruttando la protezione offerta dalla tutela del terzo di buona fede e quindi trasformando, liquidandoli, i beni conferiti e distribuendone il ricavato ai beneficiari, avrebbe reso molto più problematico l’accoglimento della domanda  di revocatoria. Ma questi sono gli esiti quando l’ignoranza si unisce alla cupidigia.

4) Ciò premesso, in questi casi, non può si può certo fare affidamento sul fatto che la banca non agirà avendo di fronte un soggetto conosciuto e, fino a quel momento, solvibile e affidabile. Infatti la sola possibilità che questo quadro si possa alterare rendendo più difficoltoso il soddisfacimento del proprio credito indurrà la banca a muoversi tempestivamente. Anche perché il pregiudizio non dev’essere giudizialmente accertato, ma ricorre al verificarsi delle condizioni alternativamente precisate nei successivi commi della norma in esame (art.2901 c.c.).

In entrambi i casi, la soluzione cui stavamo pensando passa, a nostro avviso, attraverso il coinvolgimento del creditore, quindi delle banche essendo questa l’ipotesi sicuramente più ricorrente anche per la facilità con cui gli istituti di credito possono monitorare il patrimonio dei propri clienti e garanti. Si tratterebbe quindi di agire su due direttrici, in primo luogo sulla redazione dell’atto istitutivo del trust, e, dall’altro, sulle informazioni da dare alla banca, o, più in generale, al soggetto garantito.

5) Quanto all’atto, intanto si tratta di distinguere a seconda delle condizioni economiche di chi voglia  istituire il trust. Laddove, infatti, questi disponga di adeguata liquidità, potrebbe informare il creditore che, avendo provveduto a  vincolare in un deposito o in un trust la somma necessaria a far fronte a un’eventuale escussione della garanzia rilasciata, si ritiene libero di disporre come più gli aggrada per il resto. In questo caso ritengo che il rischio di veder revocato l’apporto di beni, effettuato in un deposito o in un trust, non possa avere diritto di cittadinanza perché, quantomeno nel caso del trust, la segregazione della somma di importo pari alla garanzia rilasciata, verrebbe a offrire una garanzia sicuramente più presidiata rispetto alla fideiussione dal momento che la garanzia rilasciata dal trustee rappresenta una garanzia astratta, a prima richiesta, che, al di fuori delle limitazioni poste dal disponente e che sono inerenti al diritto conferito, non può essere limitata da eccezioni derivanti dal rapporto sottostante né dai  rapporti intercorrenti fra garante e garantito o fra debitore e creditore.

Laddove, invece, il conferimento in trust possa effettivamente pregiudicare, sia pure anche solo potenzialmente, la possibilità di far fronte alle obbligazioni in precedenza assunte, al fine di sottrarsi al rischio di revocatoria, si dovrebbe agire sull’atto istitutivo del trust in più direzioni:

a) provvedendo a effettuare, nelle premesse dell’atto, una completa ricostruzione delle circostanze di fatto in cui oltre a dichiararsi consapevoli della situazione in cui si versa, si precisi che si è deciso di istituire un trust per determinate finalità, senza però volersi sottrarre alle obbligazioni in precedenza assunte, né rendere più gravoso per il creditore il soddisfacimento delle sue ragioni;

b) precisando, fra le finalità dell’atto, che fra queste, in primis, c’è quella di dare al trustee l’incarico di onorare le obbligazioni incorse dal disponente verso il ceto creditorio in generale o un specifico creditore, e, infine,

c) che il trustee è facoltizzato, di fronte all’eventuale escussione della garanzia in precedenza rilasciata, a sollevare soltanto quelle eccezioni che avrebbe potuto sollevare il disponente.

In tal guisa non si potrà sostenere che l’escussione sarebbe resa più difficoltosa perché si tratterà solo di rivolgere le proprie istanze verso un soggetto piuttosto che verso un altro,  il cui patrimonio è il medesimo di quello del precedente obbligato.

Il problema si potrebbe porre in realtà nel caso in cui il debitore non trasferisse a un trustee il proprio patrimonio nella sua interezza ma lo frazionasse in modo tale da rendere obiettivamente più difficoltoso l’eventuale recupero del proprio credito.

A ben vedere tuttavia la preoccupazione appare più teorica che pratica atteso che laddove il disponente abbia la liquidità sufficiente potrà vincolare l’importo della garanzia in un trust risolvendo quindi il problema alla radice. Nel caso invece in cui si tratti di beni che in ogni caso dovrebbero essere preventivamente liquidati, la maggior difficoltà potrebbe esserci solo in presenza di un comportamento ostruzionistico da parte del debitore che però esula dalla fattispecie presa a riferimento. Aggiungo come, anche in questo caso la presenza di un trust si presenta come assolutamente più vantaggiosa sia per il debitore che per il creditore, nel caso in cui debbano essere alienati dei cespiti, potendo questi essere venduti senza il ricorso a procedure espropriative più lunghe, più costose e meno redditizie.

6) Quanto al coinvolgimento del creditore (banca), questo si attua da parte di chi intende istituire un trust dopo essersi personalmente obbligato, attraverso la comunicazione, a questi effettuata, della sua intenzione e la contestuale trasmissione della copia dell’atto di trust che, per quanto si è visto, documenta la mancanza di qualsiasi intento fraudolento.

Tale iniziativa spiazza il creditore che potrebbe forse chiedere che siano inserite maggiori garanzie nell’atto istitutivo, ma difficilmente potrebbe opporsi ritenendo insufficiente la garanzia anche perché, in caso, dovrà dare la prova che l’iniziativa del debitore ha reso più difficile il soddisfacimento delle sue ragioni.

Ma anche il silenzio del creditore non gli gioverebbe atteso che questi ben difficilmente potrebbe liberarsi dall’accusa di aver agito in mala fede, se, a fronte di una comunicazione ad hoc, agisse in revocatoria.

7) Un’alternativa a questa ipotesi può esser quella di dar vita a un rapporto più complesso che leghi disponente-garante, creditore e trustee prevedendo l’intervento di un nuovo debitore in un rapporto obbligatorio già esistente, ovvero la sostituzione del soggetto obbligato, facendo ricorso cioè a uno degli istituti previsti agli articoli 1268 ss cc.

Fra questi, delegazione, espromissione, accollo, è quest’ultimo quello che appare più idoneo, considerando che la disciplina della delegazione è complessa e richiede una serie di specifiche pattuizioni integrative rispetto alla normativa di default per evitare di dar vita a una situazione di obiettiva maggior difficoltà per il creditore.

L’espromissione non è configurabile nel trust in quanto prevede un intervento spontaneo da parte del trustee che dovrebbe agire senza essere delegato dal disponente. Ma, o la delega è stata conferita al momento della istituzione del trust, e allora l’intervento non è spontaneo e non si può parlare di espromissione, oppure il disponente non può più intervenire per impartire istruzioni al trustee. Di fronte all’accordo fra debitore- disponente e terzo (accollante), il creditore potrà liberare il debitore originario qualora l’accollante lo soddisfi, ovvero (accollo cumulativo) debitore  e terzo saranno solidalmente obbligati nei confronti del creditore, ma, in entrambi i casi, le garanzie di quest’ultimo risulteranno obiettivamente rafforzate e il rischio della revocatoria viene meno.