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Basta Covid! I Dieci dischi italiani (di debutto) da ascoltare

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Quando abbiamo pubblicato il precedente contributo musicale, che ho affidato alla penna esperta e competente dell’amico Lucio Mazzi, siamo stati subissati di critiche perché si trattava di dischi esclusivamente stranieri. In effetti non avevo dato indicazioni a Lucio in tal senso, se non di sentirsi libero di scrivere le sue preferenze. E ne è uscita una bellissima selezione, dove non compariva nessun album italiano.

Eccomi qui, allora, per cercare di “rimediare”, con una selezione di dieci dischi che amo molto, e che, in questi giorni irreali, ho riascoltato con piacere. Ho scelto solo debutti, prime prove che lasciano presagire grandi carriere.

1. Vasco Rossi “Ma cosa vuoi che sia una canzone. È il disco di esordio del Blasco, pubblicato nel 1978. La prima versione dell'album (con in copertina una chitarra temperata) esce in sole 2.000 copie (oggi chi le possiede ha un piccolo tesoro). A mio avviso un bellissimo debutto, autentico e sentito, Vasco qui si propone come un nuovo Rino Gaetano in salsa emiliana, con alcuni gioielli tra cui “La nostra relazione” (singolo che anticipa di 15 giorni l’album), “Tu che dormivi piano” e “Silvia”. Il disco, prodotto da Alan Taylor, è forse ancora un po’ acerbo, ma lascia intravedere il talento che esploderà successivamente con “Non siamo mica gli americani”, “Siamo solo noi”, “Vado al massimo” e “Bollicine”.

2. Area, “Arbeit macht frei”. Restiamo per lo più in Emilia Romagna, per il gruppo italiano migliore di sempre. Migliore perché suonavano meglio di tutti, con una musica che era solo loro, un ibrido tra jazz, prog rock, word music e elettronica d’avanguardia. Questo è il loro primo disco, uscito nel 1973, pubblicato come sempre dalla Cramps Records di Gianni Sassi, ed è già un capolavoro. Contiene brani assoluti, quali “Luglio, agosto, settembre (nero)” e “Consapevolezza”. Ricordiamo la mitica line-up: Demetrio Stratos, voce, Paolo Tofani, chitarre, Patrick Djivas, basso (che passerà alla PFM, dando il cambio al ferrarese Ares Tavolazzi), Patrizio Fariselli, tastiere, Giulio Capiozzo, batteria e Eddy Busnello al sax.

3. Vinicio Capossela, “All'una e trentacinque circa”. Corre l’anno 1990, un giovane ragazzo incontra Francesco Guccini, che lo ascolta e deciderà poi di produrlo. I tormenti del giovane cantautore, mezzo emiliano e mezzo tedesco, esce nelle canzoni di questo disco, che viene notato dai critici, al punto che vince il Premio Tenco per la migliore opera prima. Sarò l’inizio di una bellissima carriera. “Scivola vai via” e “Pongo sbronzo” sono, per me, i brani più belli del disco.

4. Diaframma, “Siberia”. Se c’è un gruppo che ha segnato la storia della musica new wave o post punk italiana, questo è il gruppo fiorentino guidato da Federico Fiumani, che nel 1984, grazie al produttore discografico Sergio Salaorni che cura la produzione artistica, gli arrangiamenti e le registrazioni debutta sulle scene musicali con “Siberia”. La title track e “Delorenzo” divengono subito brani manifesto del movimento musicale italiano. Le atmosfere oscure e gotiche e i testi fortemente simbolisti, che esprimono un palpabile malessere interiore, restano indelebili nelle orecchie dell’ascoltatore e ricordano chiaramente i migliori Joy Division. Uno degli esordi migliori di sempre.

5. Rino Gaetano, “Ingresso Libero. Rino Gaetano inizia la sua breve carriera discografica nel 1974 pubblicando questo lavoro che subito lo impone come quello che poi dovrà considerarsi il padre di tutti i cantautori italiani moderni. Nelle sue canzoni c’è ironia, tematica sociale, disagio, emancipazione, tutti contenuti caldi della contestazione post-sessantottina. È l'unico dei suoi album a non prendere il nome dalla prima traccia, né da nessun'altra. Tra le canzoni più riuscite, “I tuoi occhi sono pieni di sale”, brano emozionale fatto di strofe dove cambia solamente la relazione tra il soggetto del titolo (parti del corpo di una donna), e il verbo che chiude la frase, “L'operaio della Fiat” pezzo che racconta l’autunno caldo della contestazione operaia e “Tu, forse non essenzialmente tu”, che parla della relazione tra Rino Gaetano e il suo grande amico Bruno Franceschelli.

6. Fabio Concato, “Storie di sempre”. Siamo nel caldo 1977 e un giovane cantautore milanese si affaccia timidamente alla ribalta scimmiottando l’accento americano cantato da un Dean Martin un po’ grottesco. Il brano si chiama appunto “A Dean Martin” e apre la strada a un pallido successo radiofonico del singolo, che si consoliderà davvero soltanto qualche anno dopo, con l’album “Fabio Concato” del 1984. Solo trecento copie per questo vinile storico. Il disco è acerbo, ma si sente già la tematica sudamericana e la qualità poetica e suadente dei suoi malinconici testi. Tra i brani migliori ricordiamo “Festa nera” e “Poterti avere qui”.

7. Samuele Bersani, “C’anno preso tutto”. All’inizio degli anni Novanta esce il primo disco di Bersani prodotto da Beppe D’Onghia e da Bruno Mariani per la Pressing. È un disco fresco, profondo e ironico, con una hit generazionale, “Chicco e Spillo”, la storia di due fratelli, due giovani tossici, che tentano una rapina in un negozio, che, ovviamente, finirà male. Nel disco, anche “Bottiglie vuote” e “Il mostro”, il brano che Bersani fece sentire a Lucio Dalla e che conquistò il grande cantautore italiano, che lo volle con sé nella tournée del 1991 “Cambio”, durante la quale gli fece aprire i concerti.

8. Alan Sorrenti, “Aria”. Non sorprendetevi nel leggere il nome di questo cantautore pop nella lista. All’esordio, nel 1972, Alan Sorrenti faceva musica molto diversa. Questo disco, infatti, è un vero capolavoro di musica rock progressive e folk sperimentale. L’album si chiama “Aria”, ed è caratterizzato sul lato A dalla lunga omonima suite di 20 minuti e da altri tre brani sul lato B, tra cui il gioiello “Vorrei incontrarti”. Una sorta di Tim Buckley nostrano, un disco unico nella storia della musica italiana. Si segnalano collaborazioni importanti, tra cui Jean Luc Ponty al violino, Albert Prince al pianoforte e Tony Esposito alle percussioni.

9. Alberto Fortis, “Alberto Fortis”. Come il precedente, può sorprendere vedere il nome di Fortis in questa lista. Ma il debutto del 1975 del cantautore di Domodossola è il suo album più riuscito, con quella hit “Milano e Vincenzo” con la quale si scaglia contro il discografico Vincenzo Micocci, reo di averlo messo sotto contratto e poi “parcheggiato”, senza permettergli di pubblicare i propri lavori. Ma il capolavoro del disco è “A voi romani”, invettiva e vera dichiarazione di odio contro la città eterna e i suoi abitanti. Tra i musicisti presentii, l’intera Premiata Forneria Marconi.

10. Subsonica, “Subsonica”. Nel 1997 la Mescal Records scommette su questo gruppo torinese, forte di buone individualità, tra le quali spicca quella del cantante e frontman del gruppo, Samuel Umberto Romano. Belle atmosfere, suoni perfetti e curati, elettronica giusta e testi ficcanti, per un disco che si fa ricordare. Tra i brani migliori dell’album, Radioestensioni”, “Preso blu”, “istantanee” e “Cose che non ho”. Faranno una bella carriera? Direi proprio di sì…