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Breccia di Porta Pia: onore ai caduti, anche del Papa Re

Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, Cappella Bacci, Arezzo
Ph. Antonio Zama / Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, Cappella Bacci, Arezzo

Nel diluvio di proclami per l’unità d’Italia non dimentichiamoci che da tutto il mondo nei mesi prima della breccia di Porta Pia accorsero a Roma volontari per difendere il Papa e Roma.

Solo tra gli zuavi si contano: 1172 olandesi, 760 francesi, 563 belgi, 297 canadesi, inglesi e irlandesi, 242 italiani, 113 tedeschi, 37 spagnoli, 19 svizzeri, 15 austriaci, 7 russi e polacchi, 5 statunitensi, 4 portoghesi, 2 brasiliani, 2 equadoregni, un peruviano, un greco, un monegasco, un cileno, un ottomano, un cinese, come da dati riportati da Alfio Caruso, Con l’Italia mai!, Longanesi 2015, dalla cui opera riportiamo i seguenti passaggi.

“Fra Porta Salaria e Porta Pia, dov’è stata aperta la breccia, le cannonate s’infìttiscono. Dal suo osservatorio il tenente Rabé des Ordons ne ha contate 234 fino alle 6.45. Alle 7.20 hanno superato le 300 con il risultato di aver demolito pure il « piede », che resisteva alla base delle mura. Il maggiore de Troussures informa Kanzler che di questo passo e con questa precisione alle 10 la breccia sarà larga abbastanza da solleticare Cadorna a provare l’irruzione. A palazzo della Pillotta arriva una drammatica comunicazione del generale Zappi: Porta Pia è perduta. Dall’osservatorio di Santa Maria Maggiore hanno visto alcuni soldati retrocedere trascinando un cannone quasi inservibile. Si è creduto che fosse iniziato il ripiegamento. Pochi minuti dopo, l’annuncio di Zappi viene smentito da un telegramma del capitano de Buttet, tuttavia la pressione degli assedianti aumenta di minuto in minuto.

Kanzler e Rivolta lasciano il ministero per raggiungere palazzo Wedekind a piazza Colonna. Il comandante in capo e il suo braccio destro vogliono ascoltare il parere Comitato di difesa: ci arrendiamo o proseguiamo nella difesa a oltranza? La seconda ipotesi comporterebbe la trasformazione di piazze e di vie in terreno di scontri, Roma potrebbe esser danneggiata, se non distrutta; l’incolumità dei civili molto a rischio.

Persino un uomo impastato con il fìl di ferro come Kanzler non se la sente di assumersi da solo una simile responsabilità. Ecco perché consulta i propri collaboratori, dei quali fìn lì non si è molto curato. Stavolta gioca a carte scoperte: da un lato legge il nuovo messaggio di de Troussures delle 8.30, nel quale è annunciato che l’attacco sarà questione di minuti, dall’altro lato rivela la raccomandazione del Pontefice di alzare bandiera bianca al primo colpo di cannone. Alla riunione partecipa anche il colonnello Carpegna, inviato da Pio IX per conoscere alla buonora i motivi della mancata attuazione della sua richiesta.

La scelta unanime è di cessare il combattimento. Carpegna si allontana per annunciarla al Pontefice, così si perde l’irruzione di Zappi, ancora frastornato per la falsa informazione di mezzora prima. Il generale è accompagnato dal capitano de Christen e dal tenente Malagai degli zuavi: sostengono che la resistenza conserva una ragione d’essere, quindi per salvaguardare l’onore del corpo la resa va rinviata. Kanzler e gli altri aderiscono, tuttavia Rivolta viene spedito a Porta Pia: dovrà constatare l’effettiva situazione e riferire.

Da Porta Salaria a Porta San Lorenzo la linea difensiva è stata ripristinata, malgrado la svista di Zappi abbia causato l’arretramento della compagnia del capitano irlandese O’Reilly de la Hoyde e indotto il colonnello Jeannerat a riposizionare i reparti dei carabinieri stranieri verso la stazione Termini. De Couessin e de Troussures hanno rimediato con tempestività; è entrata in linea pure la compagnia del capitano de Gastebois. L’artiglieria italiana prosegue nel martellamento, gli zuavi sono però riusciti a intensifìcare le scariche dei fucili. I Remington forniscono un’ottima prova. Cadorna e lo stato maggiore, affacciatisi sulla terrazza di Villa Albani, sono presi di mira, obbligati a un rapido dietrofront.

Al suo arrivo a Porta Pia, Rivolta constata che la breccia è ormai indifendibile, a meno di voler pagare un prezzo elevarissimo in vite umane.

Alle 9.30 è di ritorno a palazzo Wedekind con l’amaro verdetto. Kanzler fa immediatamente completare il verbale di resa rimasto in sospeso. Vi si dice che il pro ministro e i propri collaboratori (de Courten, Zappi, Lopez, Calmi, Lana, Evangelisti), preso atto dell’impossibilità di prolungare la difesa, hanno deciso di capitolare, anche in ossequio agli ordini di Sua Santità. Il quale, informato degli ultimi sviluppi da Carpegna, non si capacita del prolungarsi degli scontri.

Il bombardamento infatti infuria sia nei pressi di Porta San Giovanni, sia nei pressi del Vaticano. Ed è stato assai accorto il capitano Salimei, responsabile dell’ardglieria di Castel Sant’Angelo, nel non dare corso all’ordine di sparare contro la divisione di Bixio. Il conte ha temuto che la risposta del nemico avrebbe potuto causare danni irreparabili: negli scantinati della fortezza continua a essere dislocata una delle polveriere cittadine, quella cui miravano Cucchi e gli altri cospiratori del ‘67. Se fossero esplose le 16 tonnellate di polvere da sparo lì conservate, che cosa sarebbe rimasto di quella parte di Roma? Salimei ha mandato un messaggio a Calmi, il diretto superiore, ma questi non gli ha risposto. Lo ha fatto, invece, Antonelli con l’ordine tassativo di cessare qualsiasi atto ostile.

[…]

“Il tenente Giulio Cesare Carletti, che dirige il telegrafo e l’osservatorio in cima a San Pietro, non trova una bandiera bianca, la sostituisce con un drappo fornito da un sampietrino. A cominciare dal Pontefice, a Roma lo scorgono in parecchi. L’unico a giurare di non averlo notato è Bixio, che prosegue nell’assalto.

A Porta San Pancrazio ci si ammazza fino alle 10.15. Il capitano Roversi non molla di un centimetro, come promesso a Kanzler alla vigilia. Si presenta trafelato un dragone con il biglietto del tenente colonnello Sparagna. Roversi lo legge e si mette a cercare la bandiera bianca per la resa. Provvedono alla bisogna le tende di una palazzina vicina. Nello strapparle il capitano viene ferito dalla scheggia di una granata.

Alle 10.30 la tregua è in atto ovunque.

Le perdite complessive risultano limitate: 49 morti e 141 feriti tra gli italiani, 19 morti (13 stranieri) e 68 feriti tra i papalini. Insomma ci si è agitati tanto e, fortunatamente, battuti poco. Con tutto il rispetto per i caduti, la prudenza di molti ha avuto il sopravvento sulle impuntature di pochi. Lo stesso accade con la tregua: ciascuno l’interpreta a modo proprio. I soldati di Kanzler tentano di sottrarsi all’ingabbiamento, tanti si dirigono verso il Vaticano per stendere attorno a Pio DC l’estremo cordone difensivo, malgrado siano stati liberati dal giuramento di fedeltà. Viceversa i soldati di Cadorna s’inoltrano nelle vie di Roma, la consegna è di circondare zuavi e carabinieri esteri per scongiurare sorprese.”