Cassazione Civile: mancato guadagno, liquidazione e prova
Liquidazione del lucro cessante (mancato guadagno)
La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 Codice Civile, richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale (Cass. n. 15676 del 2005). Secondo Cass. n. 1443 del 2003, "La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 Codice Civile, richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell"’id quod plerumque accidit" - connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità.
Liquidazione del danno in via equitativa
L’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità. ( Cass. 8807 del 2001, 409 del 2000). Tale principio, tuttavia, può trovare applicazione solo nei casi in cui il giudice dia conto del criterio equitativo utilizzato, la valutazione sia congruente al caso, la concreta determinazione dell’ammontare del danno non sia palesemente sproporzionata per difetto od eccesso (Cass. 13066 del 2004). Nel caso di specie la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni per le quali, a fronte di una liquidazione del danno operata dal primo giudice in lire 20.000.000 ha ritenuto di riconoscere uin risarcimento pari a trenta volte la somma originariamente liquidata, sulla base di una testimonianza "de relato" che riferisce di favolosi (possibili) guadagni perduti solo a causa del momentaneo distacco della linea telefonica.
Fatto notorio
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso assolutamente rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Di conseguenza, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie (Conf. Cass. n. 3160 del 1986 e 3829 del 1982).
La Sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza 8 novembre 2007, n. 23304).
Liquidazione del lucro cessante (mancato guadagno)
La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 Codice Civile, richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale (Cass. n. 15676 del 2005). Secondo Cass. n. 1443 del 2003, "La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 Codice Civile, richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell"’id quod plerumque accidit" - connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità.
Liquidazione del danno in via equitativa
L’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità. ( Cass. 8807 del 2001, 409 del 2000). Tale principio, tuttavia, può trovare applicazione solo nei casi in cui il giudice dia conto del criterio equitativo utilizzato, la valutazione sia congruente al caso, la concreta determinazione dell’ammontare del danno non sia palesemente sproporzionata per difetto od eccesso (Cass. 13066 del 2004). Nel caso di specie la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni per le quali, a fronte di una liquidazione del danno operata dal primo giudice in lire 20.000.000 ha ritenuto di riconoscere uin risarcimento pari a trenta volte la somma originariamente liquidata, sulla base di una testimonianza "de relato" che riferisce di favolosi (possibili) guadagni perduti solo a causa del momentaneo distacco della linea telefonica.
Fatto notorio
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso assolutamente rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Di conseguenza, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie (Conf. Cass. n. 3160 del 1986 e 3829 del 1982).
La Sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza 8 novembre 2007, n. 23304).