Cassazione Lavoro: illegittimo il licenziamento come conseguenza di reiterate sanzioni disciplinari abnormi

La Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento, predisposto in seguito all’irrogazione di una serie di sanzioni disciplinari che si dimostrino non proporzionate alla condotta tenuta, abnormi nel loro contenuto con riferimento al fatto oggetto di repressione, è di tipo discriminatorio e come tale illegittimo.

Nel caso in esame, un lavoratore impegnato in attività sindacali a tutela dei propri colleghi era oggetto di continue sanzioni disciplinari, irrogate dalla società datrice di lavoro. In seguito a tali sanzioni “seriali”, la società adottava nei suoi confronti un provvedimento di licenziamento, impugnato dal dipendente davanti all’autorità giudiziaria.

Il lavoratore chiedeva che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo in quanto discriminatorio, perché fondato su provvedimenti sanzionatori irrogati non in funzione dello ius corrigendi, ma per finalità di carattere meramente ritorsivo, volti a condizionare l’esercizio dell’attività sindacale del dipendente ricorrente.

I giudici di merito confermavano la tesi attorea e l’illegittimità delle sanzioni (e del conseguente licenziamento) perché dirette a punire il dipendente a seguito del suo impegno in attività sindacali: dichiaravano illegittimo il licenziamento, condannavano la società datrice di lavoro a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno subito.

La società ricorreva in Cassazione, impugnando la sentenza della Corte d’appello territoriale, sostenendo vizio di motivazione in cui erano incorsi i giudici per aver dichiarato l’illegittimità del provvedimento di licenziamento in quanto fondato su reiterate sanzioni disciplinari discriminatorie.

La Corte di legittimità ha affermato che l’esercizio del potere di irrogare sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro ai soggetti legati da un rapporto contrattuale di lavoro deve avere come finalità quella di punire eventuali violazione contrattuali e di correggere il comportamento del dipendente in relazione a fatti concreti e verificabili.

Le sanzioni abnormi nel loro contenuto, non proporzionate alla condotta o al comportamento del soggetto interessato dalle stesse, sono per ciò stesso discriminatorie e non possono essere utilizzate dal datore di lavoro come presupposto per l’adozione di un provvedimento di risoluzione del rapporto, provvedimento che risulterebbe ugualmente viziato.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società e confermato la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 26 maggio 2015, n. 10834)

La Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento, predisposto in seguito all’irrogazione di una serie di sanzioni disciplinari che si dimostrino non proporzionate alla condotta tenuta, abnormi nel loro contenuto con riferimento al fatto oggetto di repressione, è di tipo discriminatorio e come tale illegittimo.

Nel caso in esame, un lavoratore impegnato in attività sindacali a tutela dei propri colleghi era oggetto di continue sanzioni disciplinari, irrogate dalla società datrice di lavoro. In seguito a tali sanzioni “seriali”, la società adottava nei suoi confronti un provvedimento di licenziamento, impugnato dal dipendente davanti all’autorità giudiziaria.

Il lavoratore chiedeva che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo in quanto discriminatorio, perché fondato su provvedimenti sanzionatori irrogati non in funzione dello ius corrigendi, ma per finalità di carattere meramente ritorsivo, volti a condizionare l’esercizio dell’attività sindacale del dipendente ricorrente.

I giudici di merito confermavano la tesi attorea e l’illegittimità delle sanzioni (e del conseguente licenziamento) perché dirette a punire il dipendente a seguito del suo impegno in attività sindacali: dichiaravano illegittimo il licenziamento, condannavano la società datrice di lavoro a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno subito.

La società ricorreva in Cassazione, impugnando la sentenza della Corte d’appello territoriale, sostenendo vizio di motivazione in cui erano incorsi i giudici per aver dichiarato l’illegittimità del provvedimento di licenziamento in quanto fondato su reiterate sanzioni disciplinari discriminatorie.

La Corte di legittimità ha affermato che l’esercizio del potere di irrogare sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro ai soggetti legati da un rapporto contrattuale di lavoro deve avere come finalità quella di punire eventuali violazione contrattuali e di correggere il comportamento del dipendente in relazione a fatti concreti e verificabili.

Le sanzioni abnormi nel loro contenuto, non proporzionate alla condotta o al comportamento del soggetto interessato dalle stesse, sono per ciò stesso discriminatorie e non possono essere utilizzate dal datore di lavoro come presupposto per l’adozione di un provvedimento di risoluzione del rapporto, provvedimento che risulterebbe ugualmente viziato.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società e confermato la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 26 maggio 2015, n. 10834)