Cassazione Lavoro: licenziamento nel contratto a tempo determinato


In merito ad un caso di licenziamento di un lavoratore con contratto a tempo determinato, la Cassazione ha ripercorso il proprio orientamento, ribadendo che: "Non è in discussione il diritto del datore di lavoro di modificare la propria organizzazione anche in vista di una migliore utilizzazione della forza lavoro e di un risparmio delle spese di gestione: l’interrogativo che si pone è se questo diritto possa rendere legittimo un recesso nei confronti del lavoratore assunto a tempo determinato. Orbene, come giustamente ha osservato la corte di appello, la disciplina di cui alla legge 15 luglio 1966 n. 604 non si applica, per espressa previsione della stessa, ai rapporti di lavoro a tempo determinato: questo non esclude che, ricorrendo una giusta causa ascrivibile a comportamenti del lavoratore, il datore non possa recedere dal rapporto, in quanto in tale fattispecie trova pur sempre applicazione l’articolo 2119 Codice Civile, norma operante al di fuori della disciplina limitativa dei licenziamenti.


Diverso è il discorso per l’ipotesi in cui venga addotta come motivo del recesso ante tempus una riorganizzazione dell’assetto produttivo: in tali casi, stante l’inapplicabilità della richiamata legge 604 e non rinvenendosi nel libro quinto del codice civile un’apposita disciplina, deve necessariamente farsi riferimento alle normali regole dei contratti, in forza delle quali non è consentito ad una delle parti contraenti assumere iniziative che eventualmente rendano non più (o meno) utile la prestazione della controparte. In altri termini, se in un rapporto per il quale non sia previsto preventivamente un limite di durata e sia assistito dalla garanzia di una stabilità (più o meno intensa), può pensarsi che sopravvengano delle ragioni, che rendano oggettivamente non più conveniente mantenere in vita il rapporto, ciò non vale quando la durata sia limitata nel tempo, soprattutto se è il datore che, in considerazione di particolari sue esigenze, si avvalga dello strumento del contratto a termine".

La Cassazione ha pertanto concluso affermando il seguente principio di diritto: "il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa ex art. 2119 Codice Civile, può essere risolto anticipatamente non per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 603, ma solo se ricorrono le ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli articoli 1453 ss. Codice Civile. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda ad una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 10 febbraio 2009, n.3276: Lavoro subordinato a tempo determinato - Risoluzione anticipata).


In merito ad un caso di licenziamento di un lavoratore con contratto a tempo determinato, la Cassazione ha ripercorso il proprio orientamento, ribadendo che: "Non è in discussione il diritto del datore di lavoro di modificare la propria organizzazione anche in vista di una migliore utilizzazione della forza lavoro e di un risparmio delle spese di gestione: l’interrogativo che si pone è se questo diritto possa rendere legittimo un recesso nei confronti del lavoratore assunto a tempo determinato. Orbene, come giustamente ha osservato la corte di appello, la disciplina di cui alla legge 15 luglio 1966 n. 604 non si applica, per espressa previsione della stessa, ai rapporti di lavoro a tempo determinato: questo non esclude che, ricorrendo una giusta causa ascrivibile a comportamenti del lavoratore, il datore non possa recedere dal rapporto, in quanto in tale fattispecie trova pur sempre applicazione l’articolo 2119 Codice Civile, norma operante al di fuori della disciplina limitativa dei licenziamenti.


Diverso è il discorso per l’ipotesi in cui venga addotta come motivo del recesso ante tempus una riorganizzazione dell’assetto produttivo: in tali casi, stante l’inapplicabilità della richiamata legge 604 e non rinvenendosi nel libro quinto del codice civile un’apposita disciplina, deve necessariamente farsi riferimento alle normali regole dei contratti, in forza delle quali non è consentito ad una delle parti contraenti assumere iniziative che eventualmente rendano non più (o meno) utile la prestazione della controparte. In altri termini, se in un rapporto per il quale non sia previsto preventivamente un limite di durata e sia assistito dalla garanzia di una stabilità (più o meno intensa), può pensarsi che sopravvengano delle ragioni, che rendano oggettivamente non più conveniente mantenere in vita il rapporto, ciò non vale quando la durata sia limitata nel tempo, soprattutto se è il datore che, in considerazione di particolari sue esigenze, si avvalga dello strumento del contratto a termine".

La Cassazione ha pertanto concluso affermando il seguente principio di diritto: "il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa ex art. 2119 Codice Civile, può essere risolto anticipatamente non per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 603, ma solo se ricorrono le ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli articoli 1453 ss. Codice Civile. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda ad una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 10 febbraio 2009, n.3276: Lavoro subordinato a tempo determinato - Risoluzione anticipata).