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Cassazione: legittimo il licenziamento se il dipendente utilizza impropriamente la mailing list dell’azienda

La Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento di un dipendente per aver copiato e utilizzato l’indirizzario interno all'azienda, inviando materiali in cui criticava la direzione aziendale.

L'azienda, dopo aver contestato il fatto nella missiva di contestazione, licenziava il dipendente in tronco, adducendo che il comportamento tenuto rappresentava un grave inadempimento che legittimava un recesso per giusta causa.

Il lavoratore ricorreva in giudizio chiedendo l’annullamento del licenziamento sia attraverso un’azione individuale, in cui chiedeva anche l’accertamento della dequalificazione e del mobbing subito, con conseguente risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, sia attraverso lo speciale strumento ex articolo 28 della Legge 300/1970 (“Statuto dei Lavoratori”), che permette a determinate organizzazioni sindacali di richiedere la cessazione di una condotta antisindacale del datore di lavoro. Di conseguenza, il sindacato, del quale era dirigente e rappresentante sindacale lo stesso lavoratore, proponeva autonomo ricorso ex articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori.

I giudici del Tribunale del luogo dichiaravano inammissibile la domanda relativa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento proposto dal sindacato e con successiva sentenza rigettavano la domanda di risarcimento danni da dequalificazione e mobbing. In Appello, i giudici di merito riformavano la sentenza di primo grado, definendo legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Contro tale decisione il dipendente proponeva ricorso in Cassazione. I giudici della Suprema Corte, convenendo con i giudici d’Appello, rilevavano che, sebbene l’utilizzo di tale indirizzario fosse del tutto consentito ai dipendenti dell’azienda, l’appropriazione e l’invio di materiali contenenti critiche nei confronti della direzione attraverso la rubrica elettronica rappresentava una forma di inadempimento di notevole gravità.

Tale condotta, inserita “in un comportamento tenuto per anni, caratterizzato da una costante radicale contrapposizione nei confronti della Direzione aziendale”, rendeva legittimo il recesso dal rapporto lavorativo da parte dell’azienda.

Di conseguenza, lo specifico fatto contestato, pur non essendo di gravità tale da giustificare un licenziamento in tronco per giusta causa, inserito in una situazione di forte conflittualità tra le parti, legittimava un recesso da parte dell’azienda per giustificato motivo soggettivo, con il conseguente scioglimento del rapporto alla scadenza del termine di preavviso.

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 10 settembre 2013, n. 20715)

La Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento di un dipendente per aver copiato e utilizzato l’indirizzario interno all'azienda, inviando materiali in cui criticava la direzione aziendale.

L'azienda, dopo aver contestato il fatto nella missiva di contestazione, licenziava il dipendente in tronco, adducendo che il comportamento tenuto rappresentava un grave inadempimento che legittimava un recesso per giusta causa.

Il lavoratore ricorreva in giudizio chiedendo l’annullamento del licenziamento sia attraverso un’azione individuale, in cui chiedeva anche l’accertamento della dequalificazione e del mobbing subito, con conseguente risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, sia attraverso lo speciale strumento ex articolo 28 della Legge 300/1970 (“Statuto dei Lavoratori”), che permette a determinate organizzazioni sindacali di richiedere la cessazione di una condotta antisindacale del datore di lavoro. Di conseguenza, il sindacato, del quale era dirigente e rappresentante sindacale lo stesso lavoratore, proponeva autonomo ricorso ex articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori.

I giudici del Tribunale del luogo dichiaravano inammissibile la domanda relativa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento proposto dal sindacato e con successiva sentenza rigettavano la domanda di risarcimento danni da dequalificazione e mobbing. In Appello, i giudici di merito riformavano la sentenza di primo grado, definendo legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Contro tale decisione il dipendente proponeva ricorso in Cassazione. I giudici della Suprema Corte, convenendo con i giudici d’Appello, rilevavano che, sebbene l’utilizzo di tale indirizzario fosse del tutto consentito ai dipendenti dell’azienda, l’appropriazione e l’invio di materiali contenenti critiche nei confronti della direzione attraverso la rubrica elettronica rappresentava una forma di inadempimento di notevole gravità.

Tale condotta, inserita “in un comportamento tenuto per anni, caratterizzato da una costante radicale contrapposizione nei confronti della Direzione aziendale”, rendeva legittimo il recesso dal rapporto lavorativo da parte dell’azienda.

Di conseguenza, lo specifico fatto contestato, pur non essendo di gravità tale da giustificare un licenziamento in tronco per giusta causa, inserito in una situazione di forte conflittualità tra le parti, legittimava un recesso da parte dell’azienda per giustificato motivo soggettivo, con il conseguente scioglimento del rapporto alla scadenza del termine di preavviso.

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 10 settembre 2013, n. 20715)