Cassazione Penale: condotta abnorme ed imprevedibile del lavoratore
"In linea di principio la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento (art. 41 c. 2, c.p.) quando sia comunque riconducibile all’area di rischio proprio della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle difettive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 215877, ric. Pelosi, rv. 236721)".
Prosegue la Cassazione: "a fronte di un orientamento che pretendeva, per dare rilevanza causale esclusiva alla condotta del lavoratore, non solo la abnormità e l’imprudenza, ma anche che la stessa fosse stata tenuta in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, si è consolidato un diverso orientamento che conferisce rilievo causale anche a condotte poste in essere nell’ambito delle mansioni attribuite. In particolare si è affermato che può essere considerato imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo il comportamento posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quello che "rientri nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro" (Cass. IV, 401644, Giustiniani; v. anche Cass. IV. 95297, Maestrini). In sostanza partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare. Ebbene un rischio può considerarsi prevedibile, quando, in base a massime di esperienza venga valutato che è possibile che vengano tenute determinate condotte a cui possono conseguire, non eccezionalmente, determinati eventi di danno o di pericolo".
In particolare, i legali rappresentanti della società per cui lavorava la vittima la Corte d’appello ha osservato che costoro avevano fornito al lavoratore normali mezzi per sollevare le persone ad altezza del piano di lavoro; infatti in cantiere era presente un sollevatore idoneo alla lavorazione che doveva essere fatta all’altezza di cinque metri. Pertanto, la scelta della vittima e del suo compagno di lavoro, per accelerare i tempi di lavorazione, visto il momentaneo utilizzo del da parte di altri, di usare in modo improprio il carrello elevatore, doveva essere considerata un’iniziativa del tutto autonoma, abnorme e fuori da alcuna prevedibilità. Tali conclusioni non contraddicono la consolidata giurisprudenza che individua nella condotta imprudente del lavoratore una mera concausa del suo infortunio. Tale giurisprudenza parte dalla considerazione che la violazione di norme di sicurezza da parte dei dipendenti, che si siano assuefatti alle lavorazioni da svolgere, può indurre a cali di attenzione ed a "confidenze" nello svolgimento delle loro attività tali da esporli a rischio di infortunio. Ma tali condotte sono del tutto prevedibili e pertanto le misure di prevenzione ed i controlli devono necessariamente prendere i considerazione la possibilità che siano tenute, durante le attività lavorative, condotte in violazione delle disposizioni di sicurezza: la prevedibilità del rischio determina, quindi, l’esigibilità di una condotta atta a prevenirlo e di conseguenza, in caso di omissione, la responsabilità. Ma quando in un caso come quello di specie, la condotta tenuta dai due lavoratori è del tutto imprevedibile, il rischio che determina non è governabile, tanto da conferire forza eziologica esclusiva alla condotta imprudente dei due lavoratori (tra cui la vittima)".
Medesime considerazioni devono essere svolte in relazione all’amministratore della committente ed al direttore dei lavori per conto della committente. Secondo la Cassazione, infatti, "se il rischio non era prevedibile per i titolari dell’azienda, a maggior regione non lo era per il direttore dei lavori e per il titolare dell’azienda del committente. Inoltre, con specifico riferimento al titolare della società committente, a questi non può essere addebitata neanche una responsabilità per "culpa in eligendo" avendo scelto una subappaltatrice inadeguata ai lavori da svolgere e nel non avere imposto il divieto di sub appalto. Infatti, anche a dare per scontata una colpa nella scelta per l’esecuzione di parte dei lavori, che però non trova concreto riscontro negli atti, non essendo emerse sue specifiche inadeguatezze tecniche, il rischio concreto verificatosi (decesso per anomalo ed imprevedibile uso di un carrello elevatore) non è stato determinato dalla presunta violazione delle predette regole di cautela. Ne consegue che sono infondate anche le doglianze relative alla assoluzione di tali due imputati".
(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 23 febbraio 2010, n.7267).
"In linea di principio la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento (art. 41 c. 2, c.p.) quando sia comunque riconducibile all’area di rischio proprio della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle difettive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 215877, ric. Pelosi, rv. 236721)".
Prosegue la Cassazione: "a fronte di un orientamento che pretendeva, per dare rilevanza causale esclusiva alla condotta del lavoratore, non solo la abnormità e l’imprudenza, ma anche che la stessa fosse stata tenuta in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, si è consolidato un diverso orientamento che conferisce rilievo causale anche a condotte poste in essere nell’ambito delle mansioni attribuite. In particolare si è affermato che può essere considerato imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo il comportamento posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quello che "rientri nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro" (Cass. IV, 401644, Giustiniani; v. anche Cass. IV. 95297, Maestrini). In sostanza partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare. Ebbene un rischio può considerarsi prevedibile, quando, in base a massime di esperienza venga valutato che è possibile che vengano tenute determinate condotte a cui possono conseguire, non eccezionalmente, determinati eventi di danno o di pericolo".
In particolare, i legali rappresentanti della società per cui lavorava la vittima la Corte d’appello ha osservato che costoro avevano fornito al lavoratore normali mezzi per sollevare le persone ad altezza del piano di lavoro; infatti in cantiere era presente un sollevatore idoneo alla lavorazione che doveva essere fatta all’altezza di cinque metri. Pertanto, la scelta della vittima e del suo compagno di lavoro, per accelerare i tempi di lavorazione, visto il momentaneo utilizzo del da parte di altri, di usare in modo improprio il carrello elevatore, doveva essere considerata un’iniziativa del tutto autonoma, abnorme e fuori da alcuna prevedibilità. Tali conclusioni non contraddicono la consolidata giurisprudenza che individua nella condotta imprudente del lavoratore una mera concausa del suo infortunio. Tale giurisprudenza parte dalla considerazione che la violazione di norme di sicurezza da parte dei dipendenti, che si siano assuefatti alle lavorazioni da svolgere, può indurre a cali di attenzione ed a "confidenze" nello svolgimento delle loro attività tali da esporli a rischio di infortunio. Ma tali condotte sono del tutto prevedibili e pertanto le misure di prevenzione ed i controlli devono necessariamente prendere i considerazione la possibilità che siano tenute, durante le attività lavorative, condotte in violazione delle disposizioni di sicurezza: la prevedibilità del rischio determina, quindi, l’esigibilità di una condotta atta a prevenirlo e di conseguenza, in caso di omissione, la responsabilità. Ma quando in un caso come quello di specie, la condotta tenuta dai due lavoratori è del tutto imprevedibile, il rischio che determina non è governabile, tanto da conferire forza eziologica esclusiva alla condotta imprudente dei due lavoratori (tra cui la vittima)".
Medesime considerazioni devono essere svolte in relazione all’amministratore della committente ed al direttore dei lavori per conto della committente. Secondo la Cassazione, infatti, "se il rischio non era prevedibile per i titolari dell’azienda, a maggior regione non lo era per il direttore dei lavori e per il titolare dell’azienda del committente. Inoltre, con specifico riferimento al titolare della società committente, a questi non può essere addebitata neanche una responsabilità per "culpa in eligendo" avendo scelto una subappaltatrice inadeguata ai lavori da svolgere e nel non avere imposto il divieto di sub appalto. Infatti, anche a dare per scontata una colpa nella scelta per l’esecuzione di parte dei lavori, che però non trova concreto riscontro negli atti, non essendo emerse sue specifiche inadeguatezze tecniche, il rischio concreto verificatosi (decesso per anomalo ed imprevedibile uso di un carrello elevatore) non è stato determinato dalla presunta violazione delle predette regole di cautela. Ne consegue che sono infondate anche le doglianze relative alla assoluzione di tali due imputati".
(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 23 febbraio 2010, n.7267).