Cassazione Penale: il giudice penale condanna a risarcire anche una sola voce di danno

"La definizione immediata nel processo penale di una parte della domanda civile, in particolare di una sola tipologia di danno, con il rinvio alla sede civile per ciò che riguarda le eventuali altre, non è affatto illegittima, perché costituisce sostanzialmente applicazione dell’istituto della sentenza non definitiva o parziale, di cui agli artt. 278 e 279 c.p.c., imposta dal principio costituzionale della ragionevole durata del processo, principio che rende improprio, e anomalo nel sistema giurisdizionale, ogni rinvio di decisioni idonee a definire pretese legittime quando sussistano già, in atti, gli elementi fattuali sufficienti per deliberare tempestivamente (tipico, in  proposito proprio il caso del risarcimento di un danno morale, che solo raramente necessita di peculiari attività istruttorie ulteriori).

Il giudice penale ha infatti piena ed esaustiva cognizione di ogni questione che attiene all’azione civile esercitata nel ’suo’ processo, ed al contenuto di questa: in particolare, i punti della decisione afferenti il riconoscimento dell’an debeatur e l’eventuale quantum attribuito, anche per ciò che attiene all’articolazione interna delle diverse voci di danno, appartengono alla fisiologica e naturale competenza del giudice penale -una volta che l’azione civile sia stata esercitata davanti a lui -sicchè ogni statuizione su di essi, anche quando non vengano contestualmente definiti nel processo penale tutti gli aspetti pertinenti la domanda civilistica, è idonea a determinare un giudicato parziale, comunque una preclusione, ove non specificamente e tempestivamente impugnata dalla parte interessata".

Lo ha stabilito la Cassazione in un caso in cui il Tribunale aveva ritenuto "che dal fatto illecito fossero derivati sia il danno morale che quello patrimoniale, provvedendo quindi a liquidare in via definitiva il primo secondo equità (evincendosi i criteri indicativi dal complesso delle specifiche valutazioni svolte sull’intensità del dolo, sull’aver determinato la sottoposizione della persona offesa ad un processo penale, sulla non particolare gravità del reato falsamente attribuito), individuando il secondo nel suo contenuto di genere (le spese legali sostenute per difendersi processualmente dalla falsa accusa) e rinviando alla sede civile per il compiuto accertamento, anche ai fini dell’eventuale quantificazione".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 21 gennaio 2010, n. 2545).

"La definizione immediata nel processo penale di una parte della domanda civile, in particolare di una sola tipologia di danno, con il rinvio alla sede civile per ciò che riguarda le eventuali altre, non è affatto illegittima, perché costituisce sostanzialmente applicazione dell’istituto della sentenza non definitiva o parziale, di cui agli artt. 278 e 279 c.p.c., imposta dal principio costituzionale della ragionevole durata del processo, principio che rende improprio, e anomalo nel sistema giurisdizionale, ogni rinvio di decisioni idonee a definire pretese legittime quando sussistano già, in atti, gli elementi fattuali sufficienti per deliberare tempestivamente (tipico, in  proposito proprio il caso del risarcimento di un danno morale, che solo raramente necessita di peculiari attività istruttorie ulteriori).

Il giudice penale ha infatti piena ed esaustiva cognizione di ogni questione che attiene all’azione civile esercitata nel ’suo’ processo, ed al contenuto di questa: in particolare, i punti della decisione afferenti il riconoscimento dell’an debeatur e l’eventuale quantum attribuito, anche per ciò che attiene all’articolazione interna delle diverse voci di danno, appartengono alla fisiologica e naturale competenza del giudice penale -una volta che l’azione civile sia stata esercitata davanti a lui -sicchè ogni statuizione su di essi, anche quando non vengano contestualmente definiti nel processo penale tutti gli aspetti pertinenti la domanda civilistica, è idonea a determinare un giudicato parziale, comunque una preclusione, ove non specificamente e tempestivamente impugnata dalla parte interessata".

Lo ha stabilito la Cassazione in un caso in cui il Tribunale aveva ritenuto "che dal fatto illecito fossero derivati sia il danno morale che quello patrimoniale, provvedendo quindi a liquidare in via definitiva il primo secondo equità (evincendosi i criteri indicativi dal complesso delle specifiche valutazioni svolte sull’intensità del dolo, sull’aver determinato la sottoposizione della persona offesa ad un processo penale, sulla non particolare gravità del reato falsamente attribuito), individuando il secondo nel suo contenuto di genere (le spese legali sostenute per difendersi processualmente dalla falsa accusa) e rinviando alla sede civile per il compiuto accertamento, anche ai fini dell’eventuale quantificazione".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 21 gennaio 2010, n. 2545).