Cassazione Penale Sezioni Unite: uso del telefono per fini personali? Peculato d’uso (art. 314 c.p.)
La sentenza in esame riguarda la configurazione del reato di peculato, nel caso in cui un pubblico ufficiale utilizzi il telefono assegnatogli per ragioni d’ufficio per scopi personali.
Il reato di peculato d’uso, disciplinato dall’articolo 314, comma 2, del Codice Penale, dispone che “Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.
Nel caso di specie, i due imputati, che ricoprivano le cariche di Ambasciatore e capo della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea, effettuavano numerose telefonate di carattere privato, con notevole dispendio economico per la Pubblica Amministrazione.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha precisato, in primo luogo, che il danno economico subito dalla Pubblica Amministrazione, per essere rilevante a fini del reato in esame, deve assumere un autonomo e determinato rilievo nei casi in cui, ad esempio, l’utenza è legata ad un contratto “tutto incluso” con il gestore telefonico .
In secondo luogo, i Giudici di legittimità, analizzando le diverse teorie proposte dalla dottrina, si sono soffermati sul fatto che l’oggetto del reato fosse costituito non tanto dal telefonino in sé, quanto dall’energia della Pubblica Amministrazione che il dipendente usa per scopi privati. Considerato, inoltre, che l’energia è annoverata tra i beni mobili, la distrazione della stessa per scopi diversi da quelli pubblici configurerebbe il più comune reato di peculato, di cui all’articolo 314, comma 1, del Codice Penale, sanzionato più severamente della fattispecie prevista al secondo comma (peculato d’uso).
A tal proposito, la Corte ha, invece, rilevato che “il possesso dell’energia dipenda dal possesso del bene da cui essa promana, la configurabilità del peculato va valutata in rapporto non all’energia in quanto tale, bensì alla cosa che la produce, e che il pubblico funzionario, per poter disporre dell’utenza telefonica, deve avere il possesso o la disponibilità dell’apparecchio telefonico, si perviene alla conclusione che l’utilizzo a scopi personali dello stesso, che viene così distratto dalla originaria destinazione, è riconducibile propriamente alla figura del peculato d’uso, nel quale il fatto lesivo è costituito proprio dall’utilizzo non conforme alle finalità istituzionali e volto al conseguimento di un vantaggio personale”.
In conclusione, potendo escludere la configurabilità di altre fattispecie criminose al caso di specie, le Sezioni Unite hanno stabilito il seguente principio di diritto:
“la condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o di una concreta lesione alla funzionalità dell’ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d’uso di cui all’art. 314, comma secondo, cod. pen.”
(Corte di Cassazione – Sezioni Unite Penali – sentenza 2 maggio 2013, n.19054)
Per la lettura integrale della sentenza si rinvia al sito della Corte di Cassazione
La sentenza in esame riguarda la configurazione del reato di peculato, nel caso in cui un pubblico ufficiale utilizzi il telefono assegnatogli per ragioni d’ufficio per scopi personali.
Il reato di peculato d’uso, disciplinato dall’articolo 314, comma 2, del Codice Penale, dispone che “Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.
Nel caso di specie, i due imputati, che ricoprivano le cariche di Ambasciatore e capo della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea, effettuavano numerose telefonate di carattere privato, con notevole dispendio economico per la Pubblica Amministrazione.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha precisato, in primo luogo, che il danno economico subito dalla Pubblica Amministrazione, per essere rilevante a fini del reato in esame, deve assumere un autonomo e determinato rilievo nei casi in cui, ad esempio, l’utenza è legata ad un contratto “tutto incluso” con il gestore telefonico .
In secondo luogo, i Giudici di legittimità, analizzando le diverse teorie proposte dalla dottrina, si sono soffermati sul fatto che l’oggetto del reato fosse costituito non tanto dal telefonino in sé, quanto dall’energia della Pubblica Amministrazione che il dipendente usa per scopi privati. Considerato, inoltre, che l’energia è annoverata tra i beni mobili, la distrazione della stessa per scopi diversi da quelli pubblici configurerebbe il più comune reato di peculato, di cui all’articolo 314, comma 1, del Codice Penale, sanzionato più severamente della fattispecie prevista al secondo comma (peculato d’uso).
A tal proposito, la Corte ha, invece, rilevato che “il possesso dell’energia dipenda dal possesso del bene da cui essa promana, la configurabilità del peculato va valutata in rapporto non all’energia in quanto tale, bensì alla cosa che la produce, e che il pubblico funzionario, per poter disporre dell’utenza telefonica, deve avere il possesso o la disponibilità dell’apparecchio telefonico, si perviene alla conclusione che l’utilizzo a scopi personali dello stesso, che viene così distratto dalla originaria destinazione, è riconducibile propriamente alla figura del peculato d’uso, nel quale il fatto lesivo è costituito proprio dall’utilizzo non conforme alle finalità istituzionali e volto al conseguimento di un vantaggio personale”.
In conclusione, potendo escludere la configurabilità di altre fattispecie criminose al caso di specie, le Sezioni Unite hanno stabilito il seguente principio di diritto:
“la condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o di una concreta lesione alla funzionalità dell’ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d’uso di cui all’art. 314, comma secondo, cod. pen.”
(Corte di Cassazione – Sezioni Unite Penali – sentenza 2 maggio 2013, n.19054)
Per la lettura integrale della sentenza si rinvia al sito della Corte di Cassazione