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Casse di previdenza professionali: la riforma per garantire l’agognata trasparenza dei venti enti di previdenza

costa salentina
Ph. Simona Loprete / costa salentina

La proposta di riforma delle Casse di previdenza privata è stata appena pubblicata alla Camera dei Deputati, prevede la delega al Governo per l’adozione di una disciplina uniforme in materia di organizzazione, gestione, regime contributivo e prestazioni degli enti privati gestori di forme obbligatorie di previdenza.

La proposta mira a garantire la tutela degli iscritti, la correttezza gestionale, la solidità finanziaria e la solvibilità degli enti, la trasparenza degli emolumenti spettanti ai componenti del consiglio di amministrazione e la necessaria alternanza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione e di controllo presso le casse previdenziali private nonché l’applicazione di un sistema contributivo unico basato sul reddito.

L’esame della proposta di legge presentata con l’intento di risolvere le numerose criticità emerse nella gestione degli enti privati gestori di forme obbligatorie di previdenza, di seguito denominati “casse previdenziali private”, prevista dai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 103, che hanno riconosciuto un’ampia autonomia di gestione ed economica a tali enti i quali, pur avendo natura privata, svolgono un’attività pubblica che si colloca nel quadro delle disposizioni di cui all’articolo 38 della Costituzione (come chiarito in più occasioni dalla Corte di cassazione).

I citati decreti hanno attribuito alle casse previdenziali private la personalità giuridica, sottoponendo le stesse al controllo da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e finanza e con gli altri Ministeri competenti, soprattutto con riferimento agli articoli 2 e 3 del citato decreto legislativo n. 509 del 1994.

Pertanto, si ritiene necessario operare una revisione della disciplina concernente le casse previdenziali private attraverso una disposizione di delega al Governo per l’adozione di una disciplina organica del settore, anche mediante l’emanazione di un testo unico, al fine di definire il quadro vigente, apportando i chiarimenti e gli aggiornamenti che si rendono indispensabili.

Si ricorda, in particolare, che il richiamato decreto legislativo n. 509 del 1994 ha disposto la trasformazione in enti privati di quindici enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza e il successivo decreto legislativo n. 103 del 1996 ha previsto la costituzione di cinque casse previdenziali aventi configurazione di diritto privato.

Pertanto, se da un lato l’assetto organizzativo di tali enti è caratterizzato dalla autonomia normativa, gestionale, finanziaria e contabile, con applicazione delle regole civilistiche per il loro funzionamento, dall’altro lato, gli stessi enti perseguono funzioni pubbliche che non ne compromettono la natura privatistica ma richiedono l’esercizio di poteri pubblicistici da parte dello Stato per quanto concerne i controlli e gli atti autorizzativi, la vigilanza e gli interventi nelle situazioni di crisi economica-finanziaria.

Nell’ultimo decennio sono state approvate numerose disposizioni legislative in materia di previdenza e di finanza pubblica che hanno contribuito a definire un quadro normativo applicabile alle casse previdenziali private, diverso dall’impianto normativo originario.

Indipendentemente dalla natura giuridica, pubblica o privata, le casse previdenziali private sono considerate enti appartenenti al settore pubblico allargato per quanto concerne il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti anche dall’Unione europea.

Il Consiglio di Stato, con sentenza 28 novembre 2012, n. 06014, annullando una sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ha ritenuto prevalente la natura pubblicistica di tali enti considerando che “la trasformazione operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo”.

Il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91, ha, infatti, reso applicabili a tutte le amministrazioni, comprese quindi le casse previdenziali private, le nuove norme in materia di adeguamento ed armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche, con una riclassificazione e rilettura dei bilanci civilistici adottati, per favorire il raccordo della disciplina contabile nazionale con quella europea ai fini del rispetto del Patto di stabilità e crescita.

È doveroso, altresì, ricordare che gli enti cui si applica il medesimo decreto legislativo avrebbero la possibilità di esercitare l’attività professionale senza essere tenuti all’iscrizione presso la Gestione separata dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.

Quest’ultima è stata istituita per i lavoratori autonomi, per i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e per gli incaricati alla vendita a domicilio, e soltanto in via residuale per i liberi professionisti privi di una cassa previdenziale privata.

Purtroppo, si ritiene di dover chiarire ancora una volta che sono soggetti all’iscrizione presso la Gestione separata dell’INPS solo coloro che esercitano un’attività per la quale non è prescritta l’iscrizione ad appositi albi o elenchi, fatta salva una diversa previsione legislativa.

In considerazione di quanto esposto, emerge con chiarezza la necessità di procedere al riordino della legislazione concernente le casse previdenziali private, tenuto conto dell’attuale assetto organizzativo della previdenza privata alquanto frammentato.

In particolare, l’esistenza di venti distinti enti privati di previdenza comporta che ciascuno adotti una propria gestione finanziaria e del patrimonio, in alcuni casi mediante gestione diretta attraverso le strutture amministrative dell’ente e in altri casi mediante affidamento della gestione a operatori finanziari esterni.

La frammentazione esistente provoca, inoltre, un’indubbia complicazione del contesto operativo e un incremento dei costi di funzionamento – si pensi alla pluralità di organi collegiali previsti dalle varie casse previdenziali private e all’elevata consistenza numerica degli organi con le conseguenti remunerazioni –, a causa della proliferazione delle procedure interne e dei molteplici rapporti da instaurare con le autorità pubbliche di controllo.

Le procedure di vigilanza e di controllo da parte delle autorità pubbliche sono rese altrettanto complesse dovendo estendere la propria attività a venti enti distinti. Per quanto concerne l’attività di vigilanza sulla stesura degli statuti e sulla gestione economica e finanziaria, la presente proposta di legge intende eliminare definitivamente le incertezze interpretative sulle disposizioni del decreto legislativo n. 509 del 1994, anche alla luce di quanto riferito da anni dai liberi professionisti in merito a casi di mala gestio delle casse previdenziali private.

Da ultimo, si mira ad evitare la necessità di interventi del Governo, sempre più frequenti, come è accaduto nel caso dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani.

Si ricorda, infatti, che le casse previdenziali private comportano necessariamente l’esistenza di venti statuti, di venti consigli di amministrazione e di venti collegi sindacali.

Inevitabilmente, ne deriva uno spreco eccessivo di fondi destinati agli emolumenti degli amministratori e, di riflesso, un depauperamento dei fondi destinati alla tutela previdenziale dei professionisti contribuenti.

È stato, infatti, rilevato come, nell’ambito della propria libertà statutaria, tali enti stabiliscano gli emolumenti degli organi apicali applicando parametri sproporzionati.

Con la presente proposta di legge si intende, quindi, estendere alle casse previdenziali private i limiti ai compensi previsti per gli organi dirigenziali della pubblica amministrazione poiché la stessa Corte dei conti ha sottolineato che la giurisdizione contabile consegue all’obbligo di applicazione alle medesime casse della normativa in materia di appalti pubblici, in qualità di organismi di diritto pubblico, e discende dall’inserimento delle stesse nel conto economico consolidato, ai sensi dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

A riprova di quanto indicato, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 124 del 26 maggio 2017 che ha riconosciuto la legittimità del limite imposto dalla legge di stabilità 2014, secondo cui non può essere superato il tetto di 240.000 euro, anche con il cumulo della pensione derivante da gestioni pubbliche.

La Consulta ha affermato che ”Nel settore pubblico non è precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole”.

Tenuto conto che gli statuti che regolano gli enti previdenziali recano disposizioni molto di verse e determinano un assetto organizzativo e contributivo distinto per ciascuna categoria professionale, ne deriva una disuguaglianza sostanziale sui diritti fondamentali, contributivo e pensionistico, che sono garantiti dalla Costituzione.

Si rileva, inoltre, che una gestione unificata e omogenea comporterebbe un’economia di scala con notevole risparmio di risorse da destinare ai trattamenti pensionistici.

L’autonomia delle casse previdenziali private nell’adozione dello statuto consente alle medesime di non porre un limite al numero e alla durata del mandato del consiglio di amministrazione, rendendo permanente il potere delle cariche elettive e impedendo di fatto il ricambio, anche generazionale.

Sul punto, si è espressa la giurisprudenza costituzionale con la sentenza n. 173 del 10 luglio 2019. In merito, con la sentenza n. 8566 del 26 marzo 2021, la Corte di cassazione ha definito tali “fenomeni di sclerotizzazione nelle relative compagini, potenzialmente nocivi per un corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza degl’interessi degl’iscritti”.

Infatti, in alcune casse previdenziali private gli amministratori sono in carica da decenni (tra queste, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza medici che ha amministratori con ruoli di rilievo da oltre 31 anni).

Per le casse previdenziali private disciplinate dal decreto legislativo n. 509 del 1994, a differenza di quelle cui si applica il decreto legislativo n. 103 del 1996, non vi è alcuna disposizione che regoli il numero dei componenti del consiglio di amministrazione, né un limite alla remunerazione dei componenti del consiglio di amministrazione o dei revisori dei conti, ai quali non è richiesta l’iscrizione allo specifico albo professionale al fine di comprovarne la competenza e la professionalità, diversamente da quanto avviene per i fondi pensionistici volontari in cui tale iscrizione è necessaria.

Tutto ciò, come già ricordato, determina uno squilibrio tra le richieste agli iscritti e i servizi loro erogati. A titolo esemplifica tivo si richiama l’Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti che prevede il versamento di contributi anche in caso di disoccupazione e il cui regolamento stabilisce che dopo cinque anni di disoccupazione la quota del contributo aumenti a circa 2.300 euro.

Ne deriva, altresì, l’opportunità di prevedere un criterio contributivo unico basato sul reddito, escludendo, nei casi in cui essa è prevista, l’applicazione di un sistema a quota fissa e a prestazione definita.

Più specificamente, la proposta di legge consta di quattro articoli.

Leggi la Proposta di legge.