x

x

Art. 434 - Casi di revoca

1. Se dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, dispone la revoca della sentenza.

Rassegna giurisprudenziale

Casi di revoca (art. 434)

Il principio del ne bis in idem, che rappresenta l’effetto tipico dell’irrevocabilità della sentenza e degli altri provvedimenti giurisdizionali, sia un principio che in realtà permea l’intero ordinamento giuridico e che vale a presidiare interessi che vanno ben oltre l’economia di risorse processuali e la certezza delle situazioni regolate attraverso i provvedimenti giurisdizionali, ma attiene al diritto delle persone a non essere due volte perseguite per lo stesso fatto (SU, 34655/2005).

Pur non trovando una copertura testuale nella Costituzione italiana, il principio trova tutela nei principali strumenti internazionali in materia di diritti dell’uomo; a livello europeo vanno ricordati l’art. 50 CDFUE, l’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e l’art. 4 del Protocollo 7 della CEDU.

In particolare questa ultima fonte, che disciplina i procedimenti penali ricadenti nella giurisdizione territoriale di uno Stato parte, afferma che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una condanna definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”, con l’eccezione della revisione in peius, “se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale della procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza” da cui scaturisce la preclusione (art. 4, par. 2).

Insomma, il divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull’identica regiudicanda è espressione di un più ampio principio, che permea l’intero ordinamento giuridico ed al quale va riconosciuto il ruolo di principio generale dell’ordinamento dal quale, a norma del secondo comma dell’art. 12 delle preleggi, il giudice non può prescindere quale necessario referente dell’interpretazione logico-sistematica.

Di conseguenza la decisione delle Sezioni unite ha affermato l’operatività della preclusione processuale, che impone la dichiarazione di impromovibilità dell’azione penale, anche in presenza di provvedimenti decisori diversi da quelli indicati nell’art. 649, come il decreto di archiviazione seguito da riapertura delle indagini da parte dello stesso pubblico ministero senza l’autorizzazione del giudice prescritta dall’art. 414 e la sentenza di non luogo a procedere in assenza del provvedimento di revoca ex art. 434 (Sez. 5, 25088/2016).

La sentenza di non luogo a procedere pronunciata ai sensi dell’art.  67 del D. Lgs. 231/2001 e ss. mm. è assimilabile all’analoga sentenza disciplinata dall’art. 425 ed è pertanto revocabile ai sensi dell’art. 434 in forza del generale richiamo alle norme del codice di rito contenuto nell’art. 34 del citato D. Lgs. Questa natura esclude la possibilità della sua revisione ai sensi dell’art. 630 (Sez. 5, 27963/2018).

La sentenza ex art. 425 emessa all’esito di udienza preliminare non rientra nella nozione di “altra sentenza penale irrevocabile” di cui all’art. 630, comma 1, lett. a).

Questa conclusione è imposta da due essenziali ragioni: la pronunzia in esame è priva dei caratteri di stabilità e di definitività che sarebbero necessari per renderla processualmente incontrovertibile e tale da scardinare un giudicato, essendo revocabile ai sensi dell’art. 434; essa non accerta “fatti”, ma valuta il diverso profilo della sostenibilità dell’accusa in giudizi (Sez. 3, 39191/2014).

Il proscioglimento in sede di udienza preliminare è per sua natura “precario”, essendo possibile una riapertura delle indagini nel caso in cui si verifichino i presupposti previsti dall’art. 434 per la revoca della sentenza. La sentenza di proscioglimento emessa sulla base dei parametri indicati dall’art. 129 è, invece, “stabile” e costituisce una sicura fonte di preclusione in caso di nuovo giudizio per lo stesso fatto (Sez. 3, 5705/2016).

Il decreto penale non è revocabile se non nei casi tassativamente previsti dal codice (artt. 460 comma 4 e 464 commi 3 e 5), posto che, in genere, salvi i mezzi di impugnazione ordinari o straordinari, non è revocabile dallo stesso giudice che l’abbia emessa ogni decisione sul merito dell’azione penale (non importa se avente la forma di sentenza o di decreto), con la limitata e ben giustificabile eccezione rappresentata dalla revoca della sentenza di non luogo a procedere (Sez. 3. 147/2018).

Le disposizioni specificamente dedicate al processo penale a carico di imputati minorenni non propongono una norma quale l’art. 434, che disciplina l’ipotesi della revoca della sentenza di non luogo a procedere. in tema di processo minorile.

Tuttavia, la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, di cui all’art. 27 DPR 448/1988, deve essere considerata suscettibile di revoca, ai sensi dell’art. 434., in forza del disposto dell’art. 1 del citato DPR; dal che consegue anche la necessità di adottare modalità applicative dell’art. 434 adeguate alla personalità e alle esigenze educative del minorenne” (Sez. 4, 10531/2013).

Le sentenze di non luogo a procedere per dichiarata estinzione del reato non sono revocabili in quanto emesse non per ragioni attinenti al merito dell’imputazione, ma per una accertata causa di estinzione del reato (Sez. 3, 2455/1999).

In mancanza della pronuncia di revoca, si determina un effetto preclusivo (comportante la improcedibilità dell’azione penale), che il giudice delle leggi ha ritenuto espresso in termini generali dagli artt. 434-437, risultando quindi ininfluente che il vigente codice non consideri specificamente tale situazione nell’ambito dell’istituto del ne bis in idem (Sez. 4, 10531/2013).