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Art. 407 - Violazione di sepolcro

1. Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un'urna è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Rassegna di giurisprudenza

L'interesse giuridico tutelato dalla norma di cui all'art. 407 è il sentimento di pietà verso i defunti (Sez. 2, 34145/2003). È il caso di aggiungere che anche la cappella funeraria e la camera mortuaria vanno comprese nel concetto di sepolcro a cui si riferisce l'articolo 407 perché è evidente che si tratta di luoghi predisposti per ospitare temporaneamente (come la sala mortuaria) o definitivamente (nell'altro caso) i resti mortali e dunque strettamente collegati al sentimento di pietà per i defunti che subisce inevitabile lesione qualora detti luoghi vengano violati (Sez. 3, 42008/2014).

In tema di violazione di sepolcro, la sussistenza del reato non è esclusa dalla circostanza che il sepolcro, la tomba o l’urna oggetto della violazione non si trovino in un cimitero consacrato, posto che la fattispecie di cui all’art. 407 tutela il sentimento della pietà verso i defunti, il quale è suscettibile di offesa a prescindere dalla situazione in cui si trova il luogo violato (Sez. 3, 34145/2003).

Il termine «violazione» usato dal legislatore, in relazione al sepolcro, esprime un concetto anche normativo e non soltanto materiale, sicché non ogni alterazione vale ad integrare l'elemento materiale del reato, ma solo quella che lede l'interesse giuridico tutelato dalla norma e cioè il sentimento di pietà verso i defunti. Perché possa parlarsi di violazione di sepolcro (o di tomba o di urna) è necessario che il fatto sia illegittimo e tale illegittimità non può essere considerata che in rapporto agli scopi specifici della tutela di cui all'art. 407.

Ne discende che la mancanza del requisito della illiceità, pur potendo dar luogo alla materialità del fatto, non può concretarsi in una «violazione» in senso giuridico, penalmente sanzionabile (Sez, 3, 690/1971).

Ai fini della tutela apprestata con le norme di cui agli artt. 407, 413, nel concetto di «cadavere» deve non soltanto comprendersi il corpo umano inanimato nel suo complesso e nelle singole parti, ma anche lo scheletro dopo che sia quindi avvenuta la completa dissoluzione degli elementi putrescibili (Sez. 3, 1189/1969).