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Art. 351 - Violazione della pubblica custodia di cose

1. Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora corpi di reato, atti, documenti, ovvero un’altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione da uno a cinque anni.

Rassegna di giurisprudenza

Ai fini della sussistenza del reato di violazione della pubblica custodia di cose (art. 351), la qualificazione di cosa "particolarmente custodita" concerne, per l’identità della "ratio legis", tutte le categorie di beni menzionate nella predetta norma (corpo di reato, atti, documenti ovvero altra cosa mobile). La qualificazione di "cosa particolarmente custodita" può riguardare, quindi, una copia o un atto originale (Sez. 6, 4478/2017).

Agli effetti della specifica tutela penale offerta dall’art. 351 (violazione della pubblica custodia di cose) l’espressione "cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio" va intesa con riferimento all’interesse dell’amministrazione all’inviolabilità delle cose ufficialmente custodite. La particolarità della custodia non si riferisce quindi al luogo, alla forma, o tanto meno al modo più o meno diligente con cui essa viene esercitata, bensì alla natura della cosa ed alla sua destinazione, onde il reato sussiste anche se in pratica la custodia sia inadeguata o negligente o del tutto trascurata (Sez. 3, 1008/1975).

Integra il delitto di violazione della pubblica custodia di cose, e non quello di peculato, la condotta del funzionario della Motorizzazione civile che, avendo la custodia di una carta di circolazione ritirata dalla P.G. per omesso aggiornamento del trasferimento di proprietà di un’autovettura, la consegni al nuovo proprietario del veicolo affinché provveda alla regolarizzazione delle annotazioni sul documento presso altro servizio del medesimo ufficio (Sez. 6, 2278/2013).

Non commette il delitto di violazione di pubblica custodia di cose, non integrando tale condotta gli estremi di quella di sottrazione della cosa custodita, il giornalista che momentaneamente asporti un fascicolo processuale dall’armadio in cui era custodito, trasportandolo all’esterno del palazzo di giustizia per poi ricollocarlo al suo posto immediatamente dopo aver documentato fotograficamente l’azione al fine di dimostrare i disservizi della giustizia (Sez. 6, 4669/2010).

Non integra il reato di cui all’art. 351 (violazione della pubblica custodia di cose) la condotta di chi, introdottosi arbitrariamente nel sistema informatico di un pubblico ufficio (il che rende, peraltro, configurabile il diverso ed autonomo reato di cui all’art. 615-ter), ne tragga la copia cartacea di un atto ivi contenuto e quindi la distrugga, non comportando una tale condotta il risultato che il legittimo detentore venga spossessato né dell’atto né della stessa copia, atteso che quest’ultima, nell’ipotesi data, non era preesistente alla soppressione ma costituiva soltanto una riproduzione, effettuata proprio mediante la stampa abusiva e teoricamente ripetibile all’infinito, del documento informatico, rimasto intatto (Sez. 6, 30024/2002).

Sussiste il reato di violazione della pubblica custodia di cose (art. 351) e non quello di peculato (art. 314) qualora vi sia contestualità cronologica tra appropriazione (solo temporanea) e sottrazione o deterioramento o distruzione di alcuni atti o documenti della pubblica amministrazione - nella disponibilità, per ragioni d’ufficio, del pubblico ufficiale - e qualora l’azione posta in essere da costui sia stata ispirata dal solo scopo di violare la pubblica custodia dei detti atti o documenti, per conoscerne il contenuto che doveva, invece, rimanere segreto.

In tal caso, infatti, l’appropriazione temporanea deve essere considerata come un antefatto non punibile, destinato ad essere assorbito nella più complessa condotta unitaria, finalisticamente individuata dallo scopo unico, che animava ab initio la volontà e la coscienza dell’agente inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 351. Ne consegue che, nella specie, la sottrazione, in quanto strumentale alla violazione della custodia ufficiale degli atti, rientra espressamente nella previsione dell’art. 351 (Sez. 6, 10733/2000).

In tema di violazione della pubblica custodia di cose, non si richiede per la costituzione della custodia l’uso di formule particolari o di determinate procedure, bensì che l’apprensione della cosa da parte della pubblica amministrazione sia avvenuta in virtù dei pubblici poteri ad essa demandati. Il reato sussiste anche se non sia stato redatto ancora verbale di sequestro, purché le cose siano state poste alla diretta ed esclusiva disposizione del pubblico ufficiale (Sez. 6, 10414/1991).

Commette il reato di peculato, di cui all’art. 314, e non quello di violazione della pubblica custodia di cose, di cui all’art. 351, il pubblico ufficiale che si appropri di armi destinate alla rottamazione a lui consegnate per ragione del suo ufficio. Infatti, la norma di cui all’art. 351 citato è inapplicabile innanzitutto perché, ricevendo le armi, la pubblica amministrazione acquista la loro proprietà, per cui la sua posizione non è quella di un soggetto obbligato soltanto alla custodia di beni altrui; in secondo luogo perché l’art. 351 è assunto dal legislatore sotto il capo dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, incompatibile con la qualifica di pubblico ufficiale rivestita dall’imputato (Sez. 6, 8408(1990).