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Art. 357 - Nozione del pubblico ufficiale (1)

1. Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

2. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi (2).

(1) Articolo così sostituito dall’art. 17, L. 86/1990.

(2) Comma così modificato dall’art. 4, primo comma, L. 181/1992.

Rassegna di giurisprudenza

In generale

A seguito della novella normativa ad opera della L. 86/1990, il legislatore ha impostato la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di un pubblico servizio secondo una concezione oggettivo-funzionale. In ossequio all’attuale formulazione dell’art. 357, “agli effetti della legge penale”, è pubblico ufficiale colui il quale esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa, dovendosi ritenere amministrativa la funzione “disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

La veste di pubblico ufficiale postula, pertanto, che il soggetto agente svolga in concreto mansioni tipiche dell’attività pubblica, che può manifestarsi nelle forme della pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa, mentre prescinde dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con l’ente. Ne discende che, ai fini del riconoscimento della qualifica di pubblici ufficiali o di incaricati di un pubblico servizio “agli effetti della legge penale”, non deve aversi riguardo alla natura dell’ente da cui gli stessi dipendono, né alla tipologia del relativo rapporto di impiego, né ancora all’esistenza di un formale rapporto di dipendenza con lo Stato o l’ente pubblico, ma deve valutarsi esclusivamente la natura dell’attività effettivamente espletata dall’agente ancorché soggetto “privato”.

Il criterio oggettivo-funzionale della nozione di “pubblico ufficiale” impone dunque un’attenta valutazione dell’attività concretamente esercitata dal soggetto, la ricerca e l’individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, e la verifica della presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357, id est la constatazione che, nel suo svolgimento, l’agente abbia concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione ovvero esercitato poteri autoritativi o certificativi (SU, 10086/1999).

Le coordinate da tenere presente nell’attribuire la qualità di pubblico ufficiale ad un soggetto sono non solo lo svolgimento della sua attività secondo norme di diritto pubblico, distinguendosi poi la pubblica funzione, in cui sono esercitati i poteri tipici della potestà amministrativa, dal pubblico servizio, in cui tali poteri sono assenti (SU, 10086/1998) o la possibilità o il dovere di formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione, oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente considerati (SU, 7958/1992), ma anche la considerazione, da parte dell’interprete, dei caratteri propri dell’attività in concreto esercitata e non tanto del rapporto di dipendenza tra il soggetto e la P.A. (Sez. 2, 6096/2019).

L’elemento che differenzia il pubblico ufficiale dall’incaricato di pubblico servizio è costituito dal fatto che il primo è dotato di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, mentre l’incaricato di pubblico servizio difetta di tali poteri, nonostante la sua attività sia comunque riferibile alla sfera pubblica. L’art. 358 attribuisce la qualifica di incaricato dì pubblico servizio a coloro che, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, prescindendo dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione, fornendo poi, nel secondo comma, la definizione di pubblico servizio, inteso come un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma senza i poteri tipici di questa, con esclusione di attività consistenti in semplici mansioni di ordine o di opera meramente materiale.

Pertanto, servizio pubblico è quello che realizza direttamente finalità pubbliche e, nell’ambito delle attività pubblicistiche, la qualifica di incaricato di pubblico servizio spetta soltanto a coloro che svolgono compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine o materiali: tali compiti si identificano in attività in senso lato intellettive, rimanendo escluse quelle meramente esecutive (Sez. 6, 9385 /2018).

È pubblico ufficiale non solo colui che con la sua attività concorre a formare quella dello Stato o di altri enti pubblici, ma anche chi svolge attività accessorie o sussidiarie ai fini istituzionali di tali enti, in quanto in questi casi si verifica, attraverso l’attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della pubblica amministrazione.

Per rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, non è, pertanto, indispensabile svolgere un’attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi  nel senso cioè che caratteristica della pubblica funzione debba essere quella della rilevanza esterna dell’attività medesima  giacché ogni atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nell’ambito del procedimento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi, seppure destinato a produrre effetti interni alla pubblica amministrazione, comporta, in ogni caso, l’attuazione completa e connaturale dei fini dell’ente pubblico e non può essere isolato dall’intero contesto delle funzioni pubbliche (Sez. 6, 42667/2018).

 

Casistica

Il coadiutore del curatore fallimentare è pubblico ufficiale (Sez. 6, 11626/2020).

Occorre stabilire se lo statuto dei reati contro la pubblica amministrazione sia compatibile con le funzioni parlamentari. Al quesito deve darsi con certezza risposta positiva, in quanto, al contrario, dall’art. 357 già sul piano letterale si desume che è specificamente prevista la riferibilità dei reati contro la pubblica amministrazione a coloro che svolgono funzioni legislative, qualificati di per sé come pubblici ufficiali. Si tratta di elemento che consente di dare ai fini penali alla nozione di pubblica amministrazione un significato più ampio di quello discendente dal mero riferimento all’esercizio di attività amministrativa in senso stretto, dovendosi aver più in generale riguardo all’apparato cui è attribuito lo svolgimento delle funzioni volte ad assicurare la realizzazione di interessi presi in considerazione da norme di diritto pubblico di vario rango.

Si tratta però ora di verificare in che misura debba essere inteso il riferimento fatto dall’art. 357 alla funzione legislativa. La norma citata nella formulazione introdotta dalla L. 86/1990, poi ulteriormente modificata dalla L. 181/1992, fa riferimento a coloro i quali svolgono una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Più specificamente poi la nozione di funzione amministrativa sì connota per il fatto di essere disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

D’altro canto l’art. 358 disciplina l’ipotesi dell’incaricato di un pubblico servizio, nozione che parimenti concorre alla definizione dello statuto dei reati contro la pubblica amministrazione: è previsto al riguardo che costituisca pubblico servizio l’attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, con esclusione dello svolgimento di mansioni di ordine o di prestazioni di opera materiale. Valutando il sistema discendente da tali norme sembra dirimente il rilievo che si sia inteso correlare la veste di pubblico ufficiale allo svolgimento di una pubblica funzione e che questa sia stata intesa nel senso più ampio, così da riflettere la classica tripartizione delle funzioni primarie, inquadrate nel vigente sistema costituzionale.

Si intende cioè affermare che il riferimento alle funzioni legislative sia parimenti da inquadrare nell’alveo più generale della pubblica funzione e dunque da correlare non alla mera partecipazione, nelle forme tipiche, disciplinate dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari, al procedimento di formazione delle leggi, ma più in generale allo svolgimento di quelle funzioni che spettano a chi assume la veste di parlamentare, che possono esercitarsi, sempre nel rispetto dei regolamenti e delle disposizioni di legge, sul versante delle funzioni di indirizzo politico, di ispezione e controllo, di impulso e garanzia. Ed invero si tratta in generale di funzioni contrassegnate dal crisma dell’esercizio della sovranità, volte, sotto tale profilo, ad esplicare in modo omogeneo il mandato parlamentare.

Conferma tale conclusione il rilievo che ogni attività parlamentare è comunque disciplinata da norme di diritto pubblico, ma non è riducibile all’espletamento di mansioni d’ordine o di prestazione d’opera materiale. Ciò significa che la disciplina della nozione di pubblico servizio, destinata a rimanere sullo sfondo, non è comunque compatibile con lo svolgimento di funzioni parlamentari, proprio perché ontologicamente dissimili da ciò che non attinge neppure al rango di pubblica funzione amministrativa.

Va peraltro rilevato che le varie funzioni parlamentari, anche quando non riferite al procedimento di formazione delle leggi, ineriscono comunque alla manifestazione di una volontà che è del Parlamento o comunque di ciascuna Camera, come nel caso della nomina del Presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali o dei componenti del Consiglio superiore della magistratura o come nel caso del voto di fiducia.

Escludere tale attività dalla sfera delle funzioni legislative contemplate dall’art. 357 comporterebbe la loro diversa classificazione all’interno degli altri tipi di funzione, ma con la strutturale difficoltà di dar conto del fatto che si tratta di attività che esprimono la sovranità del Parlamento e che non possono in alcun modo ridursi ad un mero pubblico servizio. Non può del resto sottacersi che nel caso dell’attività delle commissioni parlamentari di inchiesta è stato autorevolmente affermato che le funzioni delle stesse, pur non inerendo direttamente al procedimento di formazione delle leggi, costituiscono nondimeno espressione della sfera di controllo esercitabile dalle Camere, eventualmente anche in forma congiunta, in vista dell’esercizio del potere legislativo e quale forma di esso, dovendosi dunque da un lato ritenere che esse siano espressione di sovranità delle assemblee legislative e dall’altro che non possano ricondursi all’esercizio di funzioni giudiziarie (SU, 4/1984).

Ciò dunque impone di intendere la nozione di esercenti funzioni legislative in senso ampio, non sulla base di un’interpretazione destinata a colmare lacune ma alla luce di un inquadramento, anche costituzionalmente coerente, delle funzioni, nei termini in cui le stesse trovano risconto nella disciplina dettata dai regolamenti parlamentari o quale risultato dell’esercizio del potere legislativo. Si tratta di conclusione del tutto conforme a quella espressa in un precedente, assai significativo arresto, che si avrà occasione di richiamare di nuovo (Sez. 6, 36769/2017), nel quale solo in termini dialettici è stata in motivazione prospettata la qualificazione delle attività parlamentari, diverse da quelle correlate alla funzione legislativa, almeno come pubblico servizio, ivi essendosi in realtà concluso nel senso dell’equiparazione delle attività che trovano riscontro nei regolamenti parlamentari, ai fini della qualificazione del soggetto come pubblico ufficiale.

Pare dunque possibile ribadire che il parlamentare riveste la qualifica di pubblico ufficiale nello svolgimento sia dell’attività legislativa in senso stretto, sia delle attività parlamentari tipiche (disciplinate dai regolamenti della Camera di appartenenza o direttamente dalla legge) connesse all’attività legislativa o da essa, direttamente o indirettamente, discendenti.

È stato a ciò contrapposto dalle difese che una nozione ampia di pubblico ufficiale in servizio permanente sarebbe incompatibile proprio con le prerogative di sovranità e di autonomia che trovano espressione nell’insindacabilità dei voti e delle opinioni del parlamentare, sancita dall’art. 68 Cost., e più in generale nell’autonomia delle Camere dal sindacato di poteri diversi. Ma in realtà si tratta di prospettazione che, se certamente meritevole del massimo approfondimento sul versante dell’individuazione della concreta sfera di operatività degli artt. 67 e 68 Cost., non sembra in alcun modo rilevante ai fini della qualificazione ora in esame. In primo luogo deve escludersi che il parlamentare sia come tale pubblico ufficiale in servizio permanente effettivo, occorrendo invece che venga in evidenza l’esercizio delle funzioni. In secondo luogo deve osservarsi che la sfera di ciò che è o meno sindacabile non ha alcuna attinenza con la qualificazione del parlamentare.

È sufficiente al riguardo rilevare che proprio le funzioni legislative, cui fa riferimento l’art. 357, sono quelle in massimo grado investite dall’immunità di cui all’art. 68 Cost., giacché le stesse si svolgono mediante la manifestazione di voti e di opinioni. Ciò significa che l’interpretazione dell’art. 357 deve prescindere dall’art. 68 Cost. e dalla relativa sfera di insindacabilità, la quale ha riguardo, come si avrà modo di precisare, all’effettivo svolgimento della funzione, ma prescinde dall’astratta qualificabilità del soggetto come pubblico ufficiale. Corrispondentemente non possono rinvenirsi ostacoli, sulla base degli argomenti dedotti dalle difese, all’inquadramento omogeneo delle funzioni parlamentari, nei termini sopra indicati.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 357, per contrasto con gli artt. 64, 67, 68, 70, 72, 94, 96 Cost., risulta alla luce di quanto fin qui osservato, manifestamente infondata, non potendosi sovrapporre il tema dell’applicabilità dell’art. 357 a quello della configurabilità di determinati reati alla luce delle garanzie costituzionali del parlamentare, tema sul quale ampiamente si tornerà, e non assumendo rilievo ai fini della prospettata questione di costituzionalità la distinzione tra l’attività legislativa e le altre funzioni del parlamentare. In conclusione, può dirsi che il parlamentare nell’esercizio delle funzioni riveste la qualità di pubblico ufficiale (Sez. 6, 40347/2018).

Il presidente di un gruppo consiliare regionale riveste la qualifica di pubblico ufficiale poiché partecipa, nel suo ruolo, alle modalità progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonché alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo (Sez. 6, 49976/2012, richiamata da Sez. 6, 1561/2019).

L’attività che in ragione del suo ruolo svolge il presidente (o capogruppo) di un gruppo consiliare regionale lo colloca in una posizione di particolare incidenza funzionale ed organizzativa nella vita del Consiglio regionale. Il capo del gruppo politico consiliare, infatti, concorre  attraverso la partecipazione alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi  alla organizzazione e calendarizzazione dei lavori dell’assemblea, alla organizzazione delle altre attività consiliari propedeutiche a quelle direttamente legiferanti, alla indicazione dei membri del proprio gruppo di riferimento che compongono le commissioni previste dallo Statuto in seno al Consiglio regionale.

Una serie di facoltà e di poteri, dunque, il cui esercizio esalta la rilevanza della figura del presidente del gruppo, rendendolo diretto partecipe di una peculiare modalità progettuale ed attuativa della funzione legislativa regionale, che lo qualifica senza dubbio come pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 (Sez. 6, 21458/2018).

I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (Sez. 6, 19484/2018).

Anche in caso di attività di verifica delle attitudini psico-fisiche richieste per il conseguimento della patente di guida espletata in regime privatistico, il medico accertatore riveste la qualifica di pubblico ufficiale ed è investito della pubblica funzione di accertare i requisiti psicofisici dei candidati (Sez. 5, 1899/1994).

In tema di falsità documentale, ai fini dell’individuazione della qualifica di pubblico ufficiale, occorre avere riguardo non tanto al rapporto di dipendenza tra il soggetto e la P.A., quanto ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata dal soggetto ed oggettivamente considerata (Sez. 5, 29377/2013).

Il verbale di udienza del processo penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto attestato, perché è atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale dell’art. 2700 CC (Sez. 4, 7677/2019).

L’agente di polizia penitenziaria, allorquando riferisca, anche per iscritto, in ordine ad accadimenti ai quali ha direttamente assistito ovvero a condotte proprie o di detenuti affidati alla sua custodia, esercita poteri certificativi, sicché gli va riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale (Sez. 1, 41115/2012).

Gli artt. 2, 3 e 4 della L. 349/1973 disciplinano la figura e l’attività del presentatore delle cambiali, delegato dal notaio o dall’ufficiale giudiziario per il compimento degli atti prodromici all’eventuale protesto delle medesime; essi chiariscono, quanto al ruolo ricoperto dallo stesso, che costui deve considerarsi, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2, un pubblico ufficiale “ai sensi e per gli effetti delle disposizioni del titolo II del libro II del codice penale”, con un richiamo che non è limitato ai delitti previsti dall’art. 314 all’art. 356 ma rimanda anche alla norma che definisce che debba considerarsi pubblico ufficiale contenuta nell’art. 357 (Sez. 5, 3274/2019).

I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (Sez. 6, 19484/2018).

Integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, avendo concordato con la struttura ospedaliera lo svolgimento dell’attività libero - professionale consentita dal DPR 270/1987 (cosiddetta intramoenia), e ricevendo per consuetudine dai pazienti (anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente) le somme dovute per la sua prestazione, ne ometta il successivo versamento all’azienda sanitaria. Infatti, per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attività intramuraria (la quale è retta da un regime privatistico), detta qualità deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che le prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione.

Assume rilevanza non già l’attività professionale, ma la virtuale sostituzione del medico ai funzionari amministrativi nell’attività pubblicistica di riscossione dei pagamenti. In questa veste, egli è sicuramente pubblico ufficiale, trattandosi di un incarico in cui si sostituisce ai funzionari dell’economato nel ricevere i pagamenti degli assistiti, e le somme da lui incassate sono senza dubbio possedute per ragioni di ufficio, essendosi chiarito che queste ultime devono essere intese in senso lato sì da comprendere anche il possesso derivante da prassi e consuetudini invalse in un determinato ufficio (Sez. 6, 2005/2019).

La normativa di settore assegna alla funzione sanitaria ed ai suoi organi valenza pubblicistica, evenienza che impone il riconoscimento del carattere pubblico agli atti redatti per il raggiungimento di tali fini. In tal senso depone la legislazione istitutiva del Servizio sanitario nazionale che all’art. art. 1, L. 833/1978, prevede che lo Stato tuteli la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale, norma a cui rinvia, il DLGS 502/1992, in tema di riordino della disciplina in materia sanitaria: l’art. 1 del citato DLGS ribadisce che la tutela della salute è garantita dal Servizio sanitario nazionale; l’art. 2 ha riconosciuto alle regioni le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, cui spettano la determinazione dei principi sull’organizzazione dei servizi, che l’art. 3 demanda alle unità sanitarie locali per l’assicurazione dei livelli essenziali di assistenza.

Sempre l’art. 3, comma 1-bis, del medesimo DLGS conferisce personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale che prevede la necessità di improntare l’attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e rispetto dei vincoli di bilancio, pur agendo mediante atti di diritto privato. Il direttore generale viene definito, quindi, organo dell’azienda che esercita le proprie funzioni con l’ausilio del direttore amministrativo e sanitario.

Risulta allora evidente che, in tale ambito, la selezione attivata dalla ASL, e per essa dal direttore generale, al fine di nominare il dirigente medico di struttura complessa di un ospedale, risente necessariamente della natura di tale funzione che viene a condizionare detta attività di cui viene data diffusione istituzionale attraverso i normali canali di natura pubblica propri della Regione ed inserita in verbali e provvedimenti la cui procedura risulta corrispondente alle finalità dell’ente; non è inutile evidenziare come i provvedimenti, appunto amministrativi, adottati in tale contesto, debbano essere motivati onde dare contezza dei criteri seguiti.

L’art. 3, DLGS citato, secondo cui al direttore generale compete verificare, tra l’altro, l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa, dispone che i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, pur adottati senza la necessità di effettuare valutazioni comparative, devono essere comunque motivati qualora assunti in difformità dal parere reso dal direttore sanitario.

L’opera di selezione delle domande formulate dai partecipanti in ordine al concorso in questione, in quanto accede alla procedura che termina con la scelta del direttore generale del nominativo a cui conferire il posto di direttore di struttura complessa come da apposita proposta della commissione, risulta inserito nell’ambito del procedimento amministrativo che risente in ogni sua fase della natura pubblica della funzione esercitata (quanto a natura pubblica degli atti endoprocedimentali, Sez. 3, 16449/2017); costituisce atto pubblico, infatti, non solo l’atto destinato ad assolvere una funzione attestatrice o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e P.A., ma anche gli atti cosiddetti interni cioè sia quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, che quelli che si collocano nel contesto di una complesso iter procedimentale, ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi (Sez. 5, 4322/2013).

Poiché l’art. 357 ricollega esplicitamente la qualifica ai caratteri oggettivi dell’attività concretamente esercitata dall’agente, nessuna incidenza su detta qualifica può assumere la tipologia del rapporto che lega il soggetto all’ente, la cui natura pubblica è prevista dalla norma sopra esaminata, tenuto conto che l’attività del soggetto è spesso caratterizzata da funzioni propriamente pubblicistiche pur in assenza di alcun rapporto di dipendenza, tanto da far ritenere la sussistenza del rapporto privato quale dato inconferente rispetto alla qualifica posseduta dal soggetto agente (Sez. 6, 12197/2019).

Il registro di classe è pacificamente ritenuto un atto pubblico, dal momento che le annotazioni su di esso effettuate  ivi comprese quelle concernenti la presenza o l’assenza degli alunni  attestano di attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l’atto rispetto a fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti; tali attestazioni sono dotate di valenza probatoria sia ex se, sia nell’ottica del procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, quali il conseguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell’ordinamento giuridico statale.

Tale natura è stata costantemente riconosciuta, dal diritto vivente, anche ai registri di classe delle scuole legalmente riconosciute. Il docente/vicepreside che compili il registro di classe non si muove nell’ambito di un facere estraneo alla propria sfera di attribuzioni, ma nel novero di un’attività, ancorché esercitata in luogo dei soggetti a ciò specificamente abilitati, pur sempre gravitante nella sfera di controllo e di influenza propria della mansione svolta.

Ne consegue che non può ragionevolmente opinarsi circa un rapporto di estraneità del soggetto-agente rispetto all’attività svolta ovvero di assoluta eterogeneità dei compiti che possa giustificare il ridimensionamento dello statuto punitivo, che troverebbe giustificazione solo laddove ad aver agito fosse stato un soggetto completamente avulso dall’apparato organizzativo a cui apparteneva il soggetto deputato alla redazione dell’atto e privo di qualsiasi incidenza sull’attività di quest’ultimo.

Risponde pertanto del reato di falso ideologico in atto pubblico, ai sensi dell’art. 479, e non del delitto di cui all’art. 482, il docente e vicepreside che concorra ad attestare, nei registri di classe, la frequenza scolastica di alunni inesistenti per raggiungere il numero minimo per la composizione delle classi e la presenza di studenti effettivamente iscritti all’istituto paritario, ancorché essi fossero assenti alle lezioni (Sez. 5, 38913/2018).

Se è vero che la qualità di pubblico ufficiale compete al testimone, che l’acquista al momento della citazione, conservandola anche successivamente alla sua audizione, sino alla definizione del processo, siffatto discorso non si attaglia alla persona informata sui fatti. Invero, il testimone contribuisce, con la propria deposizione, alla formazione del convincimento del giudice, da ciò discendendo l’esigenza di tutelarne la libertà di deporre e la sincerità delle dichiarazioni, in ultima analisi, lo stesso prestigio della sua persona; il che si correla al disposto dell’art. 357 e dà ragione dell’acquisizione della relativa qualità, in coincidenza con il provvedimento che abbia disposto l’ammissione della prova e comunque la citazione del soggetto.

Così non è per la persona informata sui fatti, il cui contributo conoscitivo si colloca nella fase delle indagini preliminari, dunque in un momento in cui è ancora fluida l’acquisizione del materiale probatorio, che s’ignora addirittura se condurrà al rinvio a giudizio dell’indagato/imputato (Sez. 6, 39280/2018).

Lo stato di avanzamento dei lavori di opera pubblica ha natura di atto pubblico in quanto è redatto dal direttore dei lavori che, quale pubblico ufficiale, attesta verifiche dallo stesso effettuate e il compimento di attività e di opere eseguite sotto il suo diretto controllo (Sez. 5, 22418/2009).

Va attribuita la qualità di pubblico ufficiale in capo al libero professionista che, nello svolgimento di un’opera di consulenza presso il comune, venga in concreto ad espletare la funzione di tecnico comunale, ad esempio, istruendo pratiche edilizie e partecipando, in tale veste, alle sedute della commissione edilizia volte all’approvazione di dette pratiche ovvero stendendo  su incarico della municipalità  gli strumenti urbanistici comunali, atteso che in situazioni siffatte, pur in mancanza di un rapporto d’impiego con l’ente territoriale, l’agente svolge un’attività disciplinata da norme di diritto pubblico e concorre alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione e/o all’esercizio di poteri autoritativi o certificativi (Sez. 6, 24744/2018).

È pubblico ufficiale anche il dipendente al quale siano assegnati compiti istruttori e preparatori funzionali a dare un impulso determinante ai fini della adozione di provvedimenti, in quanto il medesimo, attraverso l’attività svolta, partecipa alla formazione e manifestazione della volontà dell’ente di appartenenza (nella specie si trattava di un dipendente di EQUITALIA SUD SPA) (Sez. 6, 43820/2014).

Il «controllore» di un’azienda di trasporto urbano riveste la funzione di incaricato di pubblico servizio essendo pubblica la funzione svolta da tali aziende e non meramente esecutive le funzioni assolte dal predetto dipendente (Sez. 5, 45524/2016).

In senso contrario: il personale di TRENITALIA SPA (o in precedenza delle Ferrovie dello Stato) incaricato del controllo dei biglietti di linea riveste la qualifica di pubblico ufficiale, essendo tenuto a provvedere alla constatazione dei fatti ed alle relative verbalizzazioni nell’ambito delle attività di prevenzione e di accertamento delle infrazioni relative ai trasporti (Sez. 6, 15113/2016).

I componenti della commissione medica per il riconoscimento delle invalidità civili rivestono la qualifica di pubblici ufficiali ai sensi dell’art. 357, in quanto esercitano una funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica Amministrazione, considerato che alle commissioni mediche sono attribuiti per legge ed in modo esclusivo gli accertamenti sanitari (Sez. 5, 25570/2013).

Il medico convenzionato con la ASL (e quindi con il Servizio sanitario nazionale) riveste la qualifica di pubblico ufficiale e non quella di incaricato di pubblico servizio poiché svolge l’attività per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di esami e prestazioni alla cui erogazione il cittadino ha diritto presso strutture pubbliche ovvero presso strutture private convenzionate (Sez. 6, 35836/2007).

In senso contrario: deve ritenersi corretta la qualificazione di incaricato di pubblico servizio attribuita al medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale perché investito di funzioni di carattere pubblicistico aventi nel contempo natura sanitaria ed amministrativa (Sez. 6, 51946/2018).

Riveste la qualifica di pubblico ufficiale il dipendente comunale incaricato di funzioni preparatorie di determinazioni di competenza dei dirigenti dell’ente in quanto, attraverso la sua attività, si verifica una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della pubblica amministrazione (Sez. 6, 22707/2014).

Il commesso giudiziario non rientri nelle categorie dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio, delineate dagli artt. 357 e 358. Essi di certo non esercitano una pubblica funzione amministrativa caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

D’altro canto i suoi compiti sono caratterizzati non solo dalla mancanza dei poteri tipici della pubblica funzione ma anche dal risolversi nello svolgimento di mansioni d’ordine e di prestazioni di opera meramente materiale. Lo stesso può rivestire la qualifica soggettiva almeno di incaricato di pubblico servizio solo in relazione all’affidamento di fatto di mansioni ulteriori che vengano concretamente svolte purché il servizio venga espletato con il beneplacito della pubblica amministrazione, sulla base dì un’investitura sia pure di fatto, lecita e non abusiva (Sez. 6, 9438/2016).