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Concorso esterno in associazione mafiosa: la declinazione pratica

Parte terza
Lecce
Ph. Antonio Capodieci / Lecce

3. La declinazione pratica del concorso esterno

È quantomai vasto l’ambito dei comportamenti, e dei ceti sociali cui appartengono i loro autori, ai quali sono state attribuite le stimmate del concorso esterno, talmente vasto da incrociarsi con ciascuno dei settori portanti del Paese e dunque le istituzioni, la politica, l’economia e le professioni.

Quest’area complessiva, variamente denominata “zona (o anche area) grigia” o della “collusione” o “contiguità” mafiosa, accomuna gli individui partecipi della società civile disponibili ad entrare in relazione con esponenti di organismi mafiosi ed assicurargli prestazioni che, come si è visto, devono servire a

incrementare il macro-evento rappresentato dalla esistenza e permanenza dell’associazione[1].

Non è dunque indispensabile un sinallagma, non essendo richiesto che gli individui grigi o collusi o contigui perseguano e realizzino anche vantaggi propri, ma, ove si aggiunga questa finalizzazione, peraltro piuttosto scontata, il concorso esterno non ne sarà indebolito o escluso.

 

3.1 Le condotte

La declinazione casistica di queste coordinate d’insieme è ampia e inizia a manifestarsi già nell’individuazione e nelle modalità di contestazione delle condotte ritenute significative del concorso esterno.

Si ricorrerà ad alcuni esempi concreti, in parte tratti dalle stesse vicende giudiziarie analizzate in precedenza.

Si è citata la sentenza Mannino del 2005.

Calogero Mannino era ed è una persona, prima che un caso giudiziario.

A questa persona in carne e ossa fu appunto contestato il concorso esterno

per avere - avvalendosi del potere personale e delle relazioni derivanti dalla sua qualità di esponente di rilievo della Democrazia Cristiana siciliana, di esponente principale di una importante corrente del partito in Sicilia, di segretario regionale del partito nonché di membro del consiglio nazionale dello stesso - contribuito sistematicamente e consapevolmente alle attività e al raggiungimento degli scopi criminali di Cosa nostra, mediante la strumentalizzazione della propria attività politica, nonché delle attività politiche ed amministrative di esponenti della stessa area, collocati in centri di potere istituzionale (amministratori comunali, provinciali e regionali) e sub-istituzionali (enti pubblici e privati) onde agevolare l’attribuzione di appalti, concessioni, licenze, finanziamenti, posti di lavoro ed altre utilità in favore di membri di organizzazioni criminali di stampo mafioso”.

L’architrave della contestazione fu dunque individuato nella correlazione tra la strumentalizzazione funzionale e l’agevolazione dell’ottenimento di varie utilità a favore di mafiosi di Cosa nostra.

Non venne tuttavia fornita alcuna aggiunta descrittiva che consentisse di comprendere come fosse avvenuta la strumentalizzazione, quali sarebbero state in concreto le utilità, se l’agevolazione avesse avuto buon fine, chi sarebbero stati i destinatari, in che modo l’attribuzione di quei vantaggi piuttosto che limitarsi alla loro sfera personale sarebbe ridondata a favore di Cosa nostra nella sua interezza.

È chiaro allora che questi indispensabili elementi di chiarezza, richiesti a pena di nullità dal combinato disposto dei commi 1, lettera c) e 2 dell’art. 429 c.p.p., furono proposti non nell’atto fisiologicamente destinato a contenerli ma negli elementi conoscitivi acquisiti nelle indagini e di seguito offerti al giudice per il tramite dell’istruttoria dibattimentale.

Un’altra contestazione in fatto, così l’avrebbe chiamata il PG Iacoviello.

Un ulteriore caso degno di nota è stato quello del procedimento Dell’Utri, conclusosi come si è visto con la sua condanna definitiva.

Così fu confezionato il manifesto d’accusa:

mettendo a disposizione [di Cosa nostra] l’influenza e il potere derivante dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario e imprenditoriale, in tal modo partecipando al mantenimento ed al rafforzamento, oltre che all’espansione dell’associazione medesima: ciò attraverso la partecipazione a incontri con esponenti di vertice di Cosa nostra, e intrattenendo tramite essi  […] rapporti continuativi con la associazione e quindi determinando nei capi di Cosa nostra la consapevolezza dell’assunzione di responsabilità, da parte del Dell’Utri medesimo, di assumere condotte volte ad influenzare, a vantaggio dell’associazione per delinquere, soggetti operanti nel mondo istituzionale e imprenditoriale”.

A questa prima contestazione, che copriva un periodo da epoca imprecisata fino al 28 settembre 1982, ne fu aggiunta una seconda che copriva il periodo successivo,

con condotte analoghe a quelle descritte sopra”.

La vicenda sottostante a questo giudizio, soprattutto nella parte attinente al ruolo protettivo verso le pressioni estorsive mafiose che Dell’Utri avrebbe assunto a favore di Silvio Berlusconi, è talmente nota da rendere inutile qualunque riepilogo.

Qui interessa piuttosto prendere atto degli snodi cruciali della contestazione: il perno è la “messa a disposizione” del patrimonio relazionale dell’accusato, il risultato è il rafforzamento di Cosa nostra, in mezzo gli incontri con mafiosi di vertice. Null’altro.

Accanto a questi casi che hanno conquistato la ribalta nazionale per la notorietà degli accusati e la conseguente mediaticità dei relativi giudizi, ce ne sono molti altri che, pur ignoti al grande pubblico, vanno iscritti significativamente nel percorso di messa a punto delle forme di contestazione del concorso esterno.

Si segnala anzitutto in questo secondo gruppo il caso di un dirigente tecnico di un ente locale, accusato di avere, in tale sua qualità,

contribuito, senza farne parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell'associazione armata denominata 'ndrangheta, in particolare consentendo a un esponente di spicco della associazione, di influenzare le principali scelte dell'ufficio comunale diretto in funzione degli interessi e delle strategie dell'organizzazione, per garantire l'infiltrazione della stessa nel settore degli appalti pubblici e nella gestione dei flussi di spesa da ciò derivanti, nonché per avere agevolato gli interessi di imprenditori collusi con l'associazione[2].

Da questo capo di imputazione emerge un’ulteriore tipologia comportamentale: il consenso a mafiosi di influenzare le scelte di una pubblica amministrazione, dunque una sorta di cessione di sovranità amministrativa, al quale conseguono l’infiltrazione dell’associazione criminale nel settore degli appalti pubblici e la connessa agevolazione degli imprenditori collusi.

Il dizionario si arricchisce così di altri lemmi: influenza, infiltrazione e collusione.

Proprio la collusione occupa la scena in un giudizio nei confronti di alcuni imprenditori accusati e condannati nelle fasi di merito di aver fatto parte di un’associazione mafiosa con la quale avrebbero stipulato un rapporto di scambio: costoro avrebbero acquisito una posizione dominante nel mercato degli appalti di opere pubbliche e l’associazione a sua volta avrebbe acquisito risorse finanziarie e informazioni utili per il compimento di illeciti estorsivi.

Giunta la vicenda alla fase di legittimità, la Cassazione[3] mette a fuoco la nozione di imprenditore colluso e la colloca più propriamente nell’area del concorso esterno, distinguendola da quella dell’imprenditore vittima: è colluso chi si inserisce in un sinallagma da cui ricava benefici, è vittima chi scende a patti solo per limitare i danni; in altri termini è colluso chi riesce a trasformare la pressione mafiosa di cui è vittima in un’opportunità vantaggiosa; è vittima chi sopporta i danni senza trarne alcun vantaggio.

Così, altrove[4], è descritta la differenza:

Il tema dei rapporti tra imprenditori e mafia è stato negli ultimi anni più volte affrontato dagli studiosi della materia, sotto il profilo sia sociologico sia giuridico, ed è sempre più frequentemente oggetto di esame nei provvedimenti giudiziari, specialmente, per ovvie ragioni, in quelli relativi alle misure di prevenzione patrimoniali, che possono incidere direttamente sui beni dell'imprenditore, anche quando - come solitamente avviene - l'impresa sia esercitata in forma societaria. I rapporti che concretamente si possono instaurare tra imprenditori e mafia si risolvono di solito o nel rapporto di protezione-estorsione, o in quello relativo alla manipolazione degli appalti pubblici, o altre agevolazioni; e l'atteggiamento dell'imprenditore nei confronti dell'associazione mafiosa può essere non solo quello dell'imprenditore vittima o comunque subordinato, ma anche di tipo strumentale, clientelare o collusivo. A queste ultime due situazioni può corrispondere la formazione della cosiddetta impresa mafiosa, che trova fondamento normativo nell'art. 416 bis c.p. e che è espressione della tendenza delle associazioni mafiose a svolgere attività produttive, commerciali e finanziarie mediante l'utilizzo di capitali di provenienza illecita, ovvero avvalendosi nell'esercizio dell'attività imprenditoriale delle tipiche modalità operative dell'associazione, cioè la forza di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, che fungono da componenti anomale dell'avviamento”.

Una differenza che in altre occasioni viene declinata tramite le espressioni “contiguità compiacente” e “contiguità soggiacente”[5].

Comunque sia, e a prescindere dal valore descrittivo delle formule coniate di volta in volta, il fenomeno della collusione imprenditoriale è ben lontano da un inquadramento univoco. Se infatti, come si è visto, c’è chi ritiene che debba essere riportato nell’area del concorso esterno, non mancano ed anzi abbondano visioni interpretative che lo classificano alla stregua di una vera e propria partecipazione associativa.

Rientra a pieno titolo in questo secondo indirizzo interpretativo il caso dell’imprenditore che assume il ruolo di “garante ambientale” (o con ancora maggiore pretesa descrittiva “garante della sicurezza ambientale”) della cosca di riferimento, prestandosi a fare da tramite tra questa e gli operatori economici di un determinato territorio così che costoro possano fare “il loro dovere” e riconoscere al gruppo egemone tutti i privilegi che gli spettano[6].

È considerato ugualmente partecipe l’imprenditore colluso che tiene la contabilità delle attività di usura svolte dalla cosca[7], che approfitta della capacità intimidatoria dell’associazione mafiosa per indurre funzionari pubblici ad affidargli indebitamente appalti[8], che mette a disposizione della cosca autovetture e armi[9].

Sono state ricondotte invece nell’area del concorso esterno la condotta di un imprenditore che ha ottenuto il monopolio in un determinato quartiere della gestione di videopoker retrocedendo a Cosa nostra una parte dei proventi[10] e quella analoga dell’imprenditore che, trasportando rifiuti presso un termovalorizzatore, ha sovrafatturato il compenso dovutogli dalla società che lo gestiva, così consentendole di occultare il “pizzo” da versare all’associazione mafiosa[11].

La casistica offre poi ulteriori sfumature che però non aggiungono nulla al conflitto e lasciano intatte le complicazioni attuative che ne derivano.

Tanto è vero che i suoi stessi artefici hanno avvertito la necessità di disinnescarlo e lo hanno fatto in questi termini:

se le nozioni di «imprenditore colluso» e di «imprenditore vittima» offrono all'accertamento giudiziario un punto di riferimento per tracciare il confine dell'area dei fatti penalmente rilevanti, resta imprescindibile la ricostruzione della fattispecie concreta alla luce del fatto tipico, secondo le direttive interpretative offerte dalla giurisprudenza di legittimità e in forza del rigoroso vaglio dei dati conoscitivi acquisiti accompagnato dalla rigida osservanza del dovere di motivazione[12].

Le alternative colluso/vittima e compiacenza/soggezione degradano così a mero spunto e il nuovo spirito guida viene individuato in un percorso predefinito (vaglio rigoroso dei dati conoscitivi e motivazione puntuale nel rispetto delle direttive impartite dalla giurisprudenza di legittimità) che non potrebbe essere più tautologico e autoreferenziale.

Del resto, a conferma della debolezza del criterio distintivo possono essere citate le tante pronunce in cui si riconosce che

La mera "contiguità compiacente", così come la "vicinanza" o "disponibilità" nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non bastano per integrare la condotta di partecipazione a una associazione a delinquere di stampo mafioso, se non è dimostrato che la vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un effettivo contributo causale rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria[13].

Non solo. All’interno del vasto ambito degli imprenditori “collusi”, c’è chi ha proposto la distinzione tra imprenditori clienti e imprenditori strumentali: i primi instaurano con le associazioni mafiose relazioni stabili e convenienti per ambo le parti; i secondi si accontentano di accordi occasionali e di durata limitata[14].

Ciò che rimane è una babele linguistica e semantica la quale consente contestazioni largamente influenzate da visioni e sensibilità particolari che sarebbe vano tentare di ricondurre ad unità[15].

 

3.2 I ceti

Si è rilevata in precedenza l’ampiezza della platea delle categorie entrate nell’area del concorso esterno.

Del ceto imprenditoriale si è detto.

Vi sono stati fatti poi rientrare i “professionisti dell’area legale[16], essenzialmente gli avvocati, distinguendo in questi termini l’area della partecipazione da quella del concorso esterno:

Il professionista nell'area legale (avvocato, notaio) che non si limiti a fornire al proprio cliente, che sia partecipe di una associazione a delinquere ex art. 416-bis, consigli e pareri mantenendosi nell'ambito di quanto legalmente consentito ma si trasformi nel consigliere di fiducia del capo di una associazione mafiosa in quanto conoscitore delle leggi e dei modi per eluderle ("consigliori", nel gergo italo-americano), assicurando un'assistenza tecnico legale finalizzata a suggerire sistemi e modalità di elusione fraudolenta della legge, risponde del delitto di partecipazione all'associazione, se ricorrono gli ulteriori presupposti della affectio societatis e dello stabile inserimento nella sua struttura organizzativa. Quando manchino questi ulteriori presupposti, rimane configurabile il concorso esterno se la condotta costituisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo (di natura materiale o morale) dotato di apprezzabile rilevanza causale per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso dell'associazione: in altri termini, per integrare l'elemento oggettivo nel concorso nel reato associativo è sempre necessario che il contributo del concorrente valga a conservare o rafforzare le capacità operative dell'associazione e non soltanto gli interessi personali di alcuni suoi appartenenti, anche se identificabili con i soggetti costituenti il nucleo egemone all'interno dell'associazione[17].

E ancora:

In tema di associazione di tipo mafioso, integra la condotta di "concorso esterno" l'attività del professionista che, in esecuzione di una promessa fatta ai vertici dell'associazione mafiosa, assicuri il suo concreto impegno nell'irregolare gestione di un procedimento giudiziario, posto che il sodalizio si rafforza comunque per effetto di quel contributo, non essendo necessario che i propositi delittuosi siano stati concretamente realizzati[18].

Ma finanche:

integrano gli estremi della condotta di concorso esterno anche le prestazioni rese da un professionista del settore legale che, seppur astrattamente dovute in favore di chiunque ne faccia richiesta, devono essere rifiutate allorché possa ragionevolmente ritenersi che riguardino atti od operazioni illecite compiute da soggetti mafiosi[19].

Uguale attenzione è stata riservata agli esponenti politici.

Il punto di partenza è che

Non appaiono sussistere particolari ragioni per distinguere l'ipotesi del politico colluso da quella dell'imprenditore colluso, cosicché deve concludersi che in entrambe le ipotesi è necessario che il concorrente esterno non solo si sia impegnato a contribuire al perseguimento delle finalità dell'associazione criminale, ma abbia effettivamente apportato un concreto contributo avente rilevanza causale[20].

Il versante più esplorato, comprensibilmente, è quello della strumentalizzazione delle funzioni già ricoperte o da ricoprire dopo eventuali e sperati successi elettorali.

Si afferma, in via generale, che

Il fenomeno dei rapporti mafia-politica è […] riconducibile alla fattispecie di concorso esterno nell'associazione ex art. 416-bis cod. pen. quando, in mancanza di prova dell'organico inserimento, si sia appurata l'esistenza di relazioni tra esponenti politici anche locali ed organizzazioni criminali, rappresentate da membri delle stesse, in virtù dei quali, ottenuto l'appoggio elettorale ovvero altro tipo di sostegno "politico", a seguito dell'esito elettorale il rappresentante politico si impegni ad assicurare corrispettivi in termini di appalti, forniture, atti amministrativi comunque favorevoli all'organizzazione ovvero "consegni" ad esponenti del gruppo criminale la macchina amministrativa comunale o singole branche, permettendo una totale o comunque pervasiva presenza di rappresentanti della cosca all'interno della stessa che la gestiscano di fatto ed in concreto nel proprio esclusivo interesse[21].

Sempre in via generale si ammette che

Integra la fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa la promessa di un esponente politico di favorire, in cambio del sostegno elettorale, il sodalizio nei futuri rapporti con la pubblica amministrazione[22].

Ed ancora:

nel caso di un patto di scambio politico-mafioso, quando, a seguito dell'accordo, il sodalizio criminale inizi ad attivarsi per l'accaparramento dei voti necessari all'elezione del politico (alterando così il sistema democratico che dovrebbe governare l'elezione ed attuando «la finalità di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali», previsto dall'art. 416-bis, comma 3, cod. pen.) e quest'ultimo mantenga fermo l'impegno serio e concreto di agire, una volta eletto, per gli interessi e vantaggi dell'organizzazione delinquenziale, non è necessario individuare la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta dell'extraneus e il mantenimento o il rafforzamento della consorteria[23].

Si precisa che

Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell'ipotesi del "patto di scambio politico-mafioso", in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale (dunque non inserito stabilmente nel relativo tessuto organizzativo e privo dell’affectio societatis") si impegna, a fronte dell'appoggio richiesto all'associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo. Per la integrazione del reato è necessario che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell'associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell'accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all'esito della verifica probatoria "ex post" della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell'accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell'intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali[24].

Non mancano però pronunce che pretendono la prova dell’avvenuta controprestazione:

Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell'ipotesi del "patto di scambio politico-mafioso", in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale, si impegna, a fronte dell'appoggio richiesto all'associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo nei futuri rapporti con l'Amministrazione. A tal fine occorre provare la controprestazione da parte del politico e cioè individuare le concrete condotte successivamente poste in essere per favorire l'associazione mafiosa[25].

Si chiude questo riquadro con una decisione cautelare che ha riguardato un politico non più in carica e che esprime assai bene l’effetto inerziale di una contestazione per concorso esterno:

nella fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso di soggetto decaduto dalle cariche pubbliche e di partito costituenti il presupposto fattuale della condotta contestata, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari non è vincibile sulla base di un'astratta applicazione della massima di esperienza secondo cui le organizzazioni camorristico-mafiose non hanno interesse a servirsi di politici «bruciati», ma sono solite individuare referenti politici «dal potere in ascesa», dovendosi, invece, verificare la continuità dei rapporti dell'indagato o dell'imputato con gli ambienti criminali e la eventuale persistenza degli interessi scambievoli che possono in concreto mantenere inalterato, nonostante la perdita delle cariche, il legame con il sodalizio criminoso[26].

È presente anche la categoria dei magistrati, in relazione ai quali la citata sentenza Carnevale enumerò plurime situazioni indiziariamente rilevanti di un possibile concorso esterno e i relativi canoni valutativi:

un'attività reiterata e costante di intervento nei procedimenti giudiziari, a prescindere dall'esito favorevole o meno delle decisioni ivi assunte, può integrare gli estremi di un concreto contributo al rafforzamento del sodalizio criminale”; “le "anomalie" di un determinato procedimento giurisdizionale e il contenuto stesso del provvedimento finale al fine di rinvenirne elementi a conferma della fondatezza di una prospettazione accusatoria, ove si assuma che l'esito della decisione sia stato alterato o si sia tentato di alterare per scopi illeciti”; “Va detto, infine, della possibilità di sindacare, in chiave di accertamento di eventuali responsabilità penali il contenuto dei provvedimenti giurisdizionali tra i quali la corte di merito include, giustamente, anche quelli di legittimità. Non si dubita che elementi rilevatori di un condizionamento esercitato sulla formazione della volontà del giudice e, quindi, significativi di comportamenti rientranti nell'ambito di fattispecie penali, possono essere desunti anche dallo stesso tenore della decisione. Ma deve trattarsi, ben inteso, di un decisum apertamente arbitrario, in alcun modo giustificabile, affetto da un grado di abnormità tale da superare ogni limite di ragionevolezza: non già solo opinabile o semplicemente errato”.

La casistica ulteriore comprende poi esercenti professioni sanitarie, funzionari pubblici, esponenti delle forze dell’ordine, liberi professionisti di ogni tipo, ecclesiastici, giornalisti, sindacalisti, perfino lavoratori addetti a mansioni meramente esecutive come, ad esempio, gli operatori dei centri di assistenza agricola[27].

 

[1] Cass. pen., Sez. I, 452/2019.

[2] La vicenda, limitatamente al procedimento cautelare, è trattata da Cass. pen., Sez. VI, 16500/2017.

[3] Cass. pen., Sez. VI, 37726/2014.

[4] Cass. pen., Sez. VI, 27806/2017.

[5] Usata fin da Cass. pen., Sez. I, 5 gennaio 1999, Cabib. È degno di nota che queste formule abbiano preso piede anche in ambito extra-penale, ad esempio nel linguaggio prefettizio usato nella motivazione delle informazioni interdittive antimafia e nella relativa giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato.

[6] Cass. pen., Sez. V, 50130/2015.

[7] Cass. pen., Sez. V, 3019/2018.

[8] Cass. pen., 49093/2015.

[9] Cass. pen., Sez. II, 24771/2015.

[10] Cass. pen., Sez. V, 30133/2018.

[11] Cass. pen., Sez. VI, 25261/2018.

[12] Cass. pen., Sez. V, 43639/2017.

[13] Cass. pen., Sez. VI, 40746/2016, richiamata adesivamente da Cass. pen., Sez. VI, 22804/2020.

[14] R. Sciarrone, Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria, in Quaderni di sociologia, Volume XXXVII, n. 5, 1993.

[15] Sono molti gli studiosi che hanno rilevato l’ambiguità strutturale dei criteri ai quali è affidata la selezione delle condotte imputabili a titolo di concorso esterno, le rilevanti incertezze applicative che ne derivano e il danno arrecato al principio di tipicità. Per la loro particolare pertinenza al tema della collusione imprenditoriale, si segnalano, senza pretese di completezza: G. Amarelli, Contiguità mafiosa e controllo penale: dall’euforia giurisprudenziale al ritorno alla legalità, in Materiali per una cultura della legalità, Giappichelli, 2018; S. De Flammineis, Impresa mafiosa ed impresa vittima: segmenti di intersecazione e la figura del concorrente esterno estorto in Diritto Penale Contemporaneo, 2/2018; L. Giordano, L’imprenditore e l’associazione di tipo mafioso: il “colluso” e la “vittima, in Il Penalista, 16 febbraio 2018; E. Montani, Partecipazione e concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso: un confine liquido, Rivista di studi e ricerche sulla criminalità organizzata, Vol. 2, n. 4, 2016.

[16] Per un’ampia rassegna della questione, si rinvia a G. Insolera e L. Zilletti, Il rischio penale del difensore, Milano, Giuffrè, 2009 e, assai più di recente, E. Damante, Da consigliere a “consigliori”: la responsabilità penale del difensore nei procedimenti di criminalità organizzata, tra ermeneutica di garanzia ed esigenze di politica criminale, in Filodiritto, 19 ottobre 2020.

[17] Cass. pen., Sez. VI, 58411/2018.

[18] Cass. pen., Sez. VI, 32373/2019.

[19] Cass. pen., Sez. VI, 32373/2019.

[20] Cass. pen., Sez. V, 35564/2019.

[21] Cass. pen., Sez. II, 56088/2017.

[22] Cass. pen., Sez. I, 8531/2013.

[23] Cass. pen., Sez. II, 8028/2015.

[24] Sezioni unite penali, 33748/2005, Mannino.

[25] Cass. pen., Sez. II, 56088/2017.

[26] Cass. pen., Sez. II, 14773/2014.

[27] Cass. pen., Sez. VI, 36221/2020.