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Concussione e induzione indebita, tra “spacchettamento” e patchwork normativo: istruzioni per l’uso

Concussione e induzione indebita, tra “spacchettamento” e patchwork normativo: istruzioni per l’uso
Concussione e induzione indebita, tra “spacchettamento” e patchwork normativo: istruzioni per l’uso

1. Il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità

Il delitto di induzione indebita a dare o a promettere utilità è previsto e punito dal nuovo articolo 319-quater del Codice penale, secondo cui “salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità e punito con la reclusione da sei anni dieci anni e 6 mesi.  Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni”.

La presente incriminazione è stata introdotta come fattispecie autonoma di reato dall’articolo 1, comma 75, L. 6.11.2012, n. 190, cd. “pacchetto Severino” o “riforma Severino” che, come si suol dire, ha operato uno “spacchettamento” del vecchio articolo 317 del Codice penale, norma incriminatrice della concussione, che riconduceva nella medesima figura delittuosa sia la condotta costrittiva che quella induttiva, posta in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. La novità più rilevante della riforma operata dal legislatore del 2012 coincide, tuttavia, non tanto nell’aver limitato, quanto alla concussione, l’area del penalmente rilevante alle sole condotte poste in essere mediante costrizione, quanto nell’aver previsto, in modo del tutto innovativo, la punibilità per induzione indebita del privato che dà o promette denaro o altra utilità al pubblico agente. Tale circostanza, come osservato da autorevole dottrina, induce a ritenere che “la riforma non comporta un semplice riassestamento sul piano sanzionatorio, costituendo piuttosto il frutto di una scelta politico criminale volta ad una ridefinizione degli ambiti di illiceità”.[1] Ecco che la punibilità del soggetto indotto vorrebbe, nelle intenzioni del legislatore, promuovere un nuovo modo di porsi del privato nel rapporto con la pubblica amministrazione, obbligandolo a non cedere più innanzi a semplici condotte induttive dell’intraneus.

Per dovere di completezza va ulteriormente precisato che il legislatore della riforma, segnando un’inversione di rotta rispetto al passato, aveva originariamente espunto dal novero dei soggetti attivi del reato la figura dell’incaricato di pubblico servizio, poi reintrodotta con l’approvazione del disegno di legge A. C. n. 3008, in data 21 maggio 2015, superando così l’irragionevole distinzione tra ipotesi di reato riferibili al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio e la conseguente imperseguibilità del secondo.

 

2. Profili di diritto intertemporale

Le novità apportate dalla novella, in assenza di disposizioni transitorie, hanno comportato rilevanti problemi di diritto intertemporale: benché si è affermato che “le novità legislative non hanno comportato alcuna eliminazione di fattispecie in precedenza punite[2], tale conclusione non appare totalmente condivisibile per due ordini di ragioni: in primo luogo perché la costrizione per farsi dare o promettere denaro o altra utilità realizzata dell’incaricato di pubblico servizio, ante riforma 2015, non costituiva fatto penalmente rilevante a titolo di concussione, bensì un fatto integrante il reato di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, 61 comma 1 n. 9 del Codice penale, sempre che si fosse concretizzato un depauperamento patrimoniale o, in mancanza, di violenza privata aggravata, ex articolo 610, 61 co 1 n. 9 del Codice penale, ovvero di violenza sessuale ex articolo 609-bis del Codice penale qualora la vittima fosse stata costretta a concedersi sessualmente; in secondo luogo, la necessità di confrontarsi con i problemi concernenti la successione di norme penali nel tempo, ha posto l’interrogativo circa la possibilità o meno di considerare la nuova fattispecie di cui all’articolo 319-quater del Codice penale come un fenomeno successorio rispetto alla precedente concussione per induzione, o, al contrario, un’ipotesi di abolitio criminis ovvero di cd. abrogatio sine abolitione. Infatti, poiché la riforma ha amputato parte del testo legislativo dell’originario articolo 317 del Codice penale, occorre chiedersi se l’insieme delle condotte astrattamente punite in forza della parte di dettato espunta, continuino ad essere perseguite sulla base di una diversa disposizione e quindi se, nonostante l’abrogazione di quella parte di testo, la norma ricavabile dallo stesso sia ancora presente nel sistema giuridico. 

 

La giurisprudenza[3], unanimamente, e la dottrina[4], parzialmente, hanno escluso tale ipotesi affermando la piena continuità normativa tra il previgente reato di concussione per induzione ed il nuovo delitto d’induzione indebita. In particolare, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite[5], mediante una pronuncia destinata ad essere faro illuminante su molte delle situazioni di penombra interpretative e applicative originatesi con l’intervento riformatore, ha risolto la questione facendo richiamo al criterio del rapporto strutturale di continenza fra norme, operando, quindi, un confronto tra fattispecie astratte che ha condotto alla conclusione secondo cui “vi é totale continuità normativa tra presente e passato con riguardo alla posizione del soggetto qualificato, chiamato a rispondere di fatti già riconducibili, in relazione all’epoca di commissione degli stessi, nel paradigma del previgente articolo 317 del Codice penale”, diversamente invece per il soggetto indotto in quanto la nuova disciplina di cui all’articolo 319-quater del Codice penale risulta essere operativa solo per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della norma, in applicazione dell’articolo 2, co 1 del Codice penale.

Tuttavia, la soluzione della sussistenza di una sostanziale continuità normativa non può affatto dirsi così pacifica; a ben vedere, infatti, pur volendo privilegiare, tra gli altri, il criterio del confronto strutturale tra fattispecie astratte, nel caso di specie, lo stesso potrebbe condurre paradossalmente ad un esito differente: la diversità dei beni giuridici tutelati dalle norme[6], la natura di reato a concorso necessario del nuovo articolo  319-quater del Codice penale che ha introdotto la punibilità del privato, un diverso significato della nozione di induzione, nonché la maggiore prossimità del  disposto normativo dell’articolo di nuovo conio al reato di corruzione,  indurrebbero a ritenere che ricorra, anziché una continuità normativa, un vero e proprio fenomeno di abolitio criminis.

 

3. La nozione di “induzione”

L’intervento del legislatore del 2012 ha rappresentato, altresì, l’occasione per compiere una diversa ricostruzione, rispetto al passato, del significato attribuibile alla nozione di induzione, troppo a lungo riempita di contenuti non univoci.

Dal punto di vista etimologico “indurre”, dal latino in-ducere, equivale a spingere, trascinare qualcuno a fare qualcosa, e nella lingua italiana è comunemente utilizzato come sinonimo di provocare, suscitare, stimolare un sentimento o un’idea, presentandosi, quindi, come un concetto che lascia spazio a più possibili letture ermeneutiche. Nonostante un simile gap di determinatezza, il legislatore ne fa ampio utilizzo sino a costruire un vero e proprio “modello di condizionamento psichico” al pari della costrizione, della determinazione, dell’istigazione o della provocazione: all’interno del nostro sistema penale talvolta assume il ruolo di “condotta”, talaltro quello di “evento del reato”[7], ma in ogni caso è riconducibile genericamente al flebile condizionamento dell’altrui sfera psichica.

Sulla stretta interpretazione del termine e sulla sua spendibilità in materia penale vi è sempre stata discordanza ed i percorsi ricostruttivi intrapresi si sono rivelati spesso insoddisfacenti, finendo con l’individuare l’ambito applicativo di taluni determinati illeciti penali, anziché definire un modello generale di induzione. Da un esame delle diverse fattispecie di reato previste dal codice emerge, infatti, come accanto a limitati casi di induzione semplice in cui il termine compare in modo esclusivo (articolo 600-bis co 1 n. 1 e 600 ter co1 n. 2 del Codice penale) ve ne siano altri, che potremmo definire di induzione combinata, le cui estrinsecazioni portano a rilevare almeno altre quattro ulteriori sottospecie di induzione: quella abusiva, caratterizzata dall’abuso, alternativamente, di poteri o qualità, (articolo 507 del Codice penale) ovvero altrui condizioni di inferiorità ( articolo 600-bis co 1 n. 1 e 600-ter co1 n. 2 del Codice penale, 609-bis co 2 n. 1del Codice penale); quella fraudolenta, incentrata sulla condotta di inganno e sull’effetto di errore (articolo 494 del Codice penale, 558 del Codice penale, 601 del Codice penale, 640 del Codice penale); quella violenta , anche mediante minaccia (articolo 377-bis del Codice penale); quella corruttiva attuata mediante offerta o promessa di denaro o altra utilità (articolo  322, co 2 del Codice penale,  377 e 377-bis del Codice penale).

Allo stato dell’arte, l’induzione sembra, dunque, costituire un mero distintivo formale di condotte profondamente diverse tra loro quali inviti, richieste, pressioni, sollecitazioni, allusioni, ammiccamenti, consigli, suggerimenti, insinuazioni, finanche il silenzio, la cui specificazione è ravvisabile solo a livello di singole fattispecie mediante previsione delle relative modalità di condotta (vale a dire con abuso, minaccia, inganno, violenza). Un arduo compito assegnato all’interprete sarebbe, quindi, quello di verificare se, entro il perimetro semantico, al termine induzione possa attribuirsi un significato normativo tale da accomunare tutte le ipotesi di reato in cui esso viene utilizzato dal legislatore. In attesa di un auspicato e più strutturato lavoro interpretativo generalizzante, i problemi che la poliformità dell’induzione ha fatto venir alla luce sul piano applicativo, sono stati tendenzialmente affrontati dalla giurisprudenza secondo un approccio di tipo casistico, che, com’è facilmente percepibile, stride con le rigidità e le esigenze di determinatezza e prevedibilità del nostro sistema di civil law.

 

4. La distinzione tra condotte induttive e costrittive: gli sforzi interpretativi fino alle Sezioni Unite Maldera

Un ultimo distinguo definitorio sul quale si è tornati a riflettere, a seguito dello spacchettamento operato dalla riforma Severino, ha riguardato, infine, la differenziazione concettuale dell’induzione rispetto alla costrizione. La precedente formulazione del reato di concussione, come reato a condotte alternative, rendeva pressoché superflua la qualificazione della condotta in termini di costrizione o di induzione, nozioni che comunemente venivano utilizzate quali forme alternative di coazione; tuttavia “nel momento in cui il concetto di induzione è riuscito a ritagliarsi uno specifico ed autonomo ambito di tipicità penale, nella giurisprudenza di legittimità sono affiorati almeno tre diversi indirizzi interpretativi in ordine al significato da attribuire ai concetti di induzione e costrizione”[8].

Il primo orientamento[9] individuò il criterio discretivo nell’intensità della pressione prevaricatrice: nella costrizione la pressione sarebbe più forte ed incisiva poichè posta in essere con metodi segnatamente intimidatori, in grado di comprimere significativamente la libera autodeterminazione del concusso; nell’induzione, invece, sarebbe più tenue e blanda, sovrapponibile ad un’attività di persuasione o pressione morale. Ambedue le condotte cagionano, però, un danno ed a nulla rileva il fatto che il pregiudizio prospettato sia contro o secundum ius.

Quanto al parametro atto a determinare il grado di intensità della pressione, inizialmente la Suprema Corte[10] lo ravvisò nel mezzo usato per la realizzazione dell’evento che, nella condotta costrittiva, andava a coincidere con la minaccia; successivamente, in occasione delle sentenze Vaccaro[11] e Bellini[12], la Corte diede maggior rilievo all’effettivo impatto della condotta abusiva sulla psiche del privato, statuendo che l’induzione “è integrata da un’attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nei confronti del privato, che, avvertibile come illecita da quest’ultimo, non ne condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione, rendendo a lui possibile di non accedere alla richiesta di denaro o di altra utilità[13]; al contrario, la condotta costrittiva, propria della concussione “consiste in una coazione psichica che, pur non eliminandola del tutto, condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo”.[14]

Il secondo orientamento fondò, invece, il carattere differenziale tra costrizione e induzione sulla conformità o meno all’ordinamento giuridico del male prospettato: nell’ipotesi di induzione si realizza un danno secundum ius, vale a dire “derivante dall’applicazione della legge”[15] o, comunque, “conforme alla legge e alla disciplina del peculiare settore amministrativo di interesse”[16]. In detta prospettiva ha luogo una condotta di induzione qualora il pubblico agente, senza ricorrere alla minaccia, prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della legge e, in tal caso, il privato sarebbe punibile perché, anziché resistervi, non esita a coglierne la convenienza e ne approfitta, traendone in tal modo un vantaggio.

Un terzo orientamento giurisprudenziale, cd. criterio misto, tenendo conto delle difficoltà che spesso emergono nel dover determinare il grado di condizionamento della libertà morale del privato, ha, poi, individuato un criterio integrativo, fondato sul tipo di vantaggio che il privato consegue o ambisce a conseguire per mezzo dell’indebita dazione o promessa di dazione[17]: il privato è vittima, non punibile, se, posto davanti all’alternativa di soddisfare l’indebita pretesa o subire un danno ingiusto,  accondiscende alla prima per sfuggire alla seconda; il privato è “correo indotto”[18], non già una vittima, qualora, rimanendo possibile un certo spazio di autodeterminazione, ottempera all’indebita richiesta per ottenere un indebito beneficio.

Stante la stratificazione di orientamenti differenti è intervenuta in senso dirimente la già citata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[19], cd. Sezioni Unite Maldera, pronuncia attraverso cui la Suprema Corte, criticando le precedenti soluzioni[20], ha sostenuto l’esigenza di orientare l’attività interpretativa del dettato normativo “verso approdi più sicuri” , conciliando maggiormente gli aspetti colti dalla giurisprudenza di legittimità, come illustrati nella disamina che precede, con un’interpretazione letterale non esuberante il perimetro semantico del disposto codicistico. In via preliminare, la Suprema Corte ha chiarito come l’abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio è elemento essenziale della condotta, non già mero presupposto del reato, poiché in mancanza l’induzione si risolve esclusivamente in un consiglio. A seguire le SS.UU. hanno enunciato un criterio distintivo basato sulla presenza o meno di una minaccia, intesa come prospettazione di un male futuro ed ingiusto[21], caratterizzante la condotta costrittiva e, al contrario, sconosciuta a quella induttiva, individuando il danno ingiusto ed il vantaggio indebito quali elementi costitutivi impliciti di costrizione e induzione.

La costrizione si risolve in un’etero-determinazione dell’altrui volontà realizzata per il tramite della condotta abusiva[22], mediante minaccia; mentre la condotta induttiva si estrinseca in atteggiamenti di persuasione, suggestione, allusione, silenzio e inganno[23], eventualmente combinati tra loro, ma mai sconfinando nella minaccia implicita di un danno antigiuridico[24]. In tal senso ha affermato la Corte: “Ed allora, il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione, più che essere affidato alla dicotomia male ingiusto-male giusto (…) deve essere ricercato nella dicotomia minaccia-non minaccia, che è l’altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo”.[25]

Parimenti alla minaccia tipizzante il reato di concussione, la Corte ha elevato, poi, il vantaggio indebito a “criterio di essenza” dell’induzione, giustificando così la punibilità del privato indotto; l’induzione, infatti, “non costringe ma convince[26]” il privato, la cui  accondiscendenza alla richiesta del pubblico agente non è frutto di una coartazione, bensì di una sua scelta di cogliere l’opportunità di trarre un vantaggio indebito, ciò che non può che trasformarlo inevitabilmente da vittima a correo.

In detta prospettiva, il nuovo reato di cui all’articolo 319-quater del Codice penale appare, dunque, più prossimo ai reati di corruzione con cui “condivide la logica negoziale di reato-contratto bilateralmente illecito[27], così atteggiandosi, come sostenuto da autorevole dottrina[28], ad una sorta di “concussione attenuata” per il soggetto pubblico e di “corruzione mitigata dall’induzione” per l’agente privato.[29]

 

5. Riflessioni conclusive

Pur non volendo toglier lustro alla pregevole pronuncia chiarificatrice delle Sezioni Unite, né sminuire il significativo sforzo interpretativo compiuto a livello giurisprudenziale nel suo complesso, preme volgere al termine la presente analisi conducendo il lettore verso un’ultima guidata riflessione attraverso le nuove strettoie emerse proprio in occasione della citata sentenza della Suprema Corte. È di tutta evidenza come i criteri fin qui esplicitati,  sono certamente utilizzabili nelle situazioni di fatto che appaiono chiare e pacifiche, non altrettanto può dirsi, però, per i casi di dubbio inquadramento, casi cd. border line[30],  quali quello in cui il funzionario spenda la propria qualità in modo abusivo, o prospetti in modo implicito conseguenze dannose solo genericamente, ovvero vantaggi indebiti anziché mali ingiusti.[31] In detti sopraccitati casi, la Corte ha ritenuto che il giudice “deve apprezzare il livello di pressione psicologica direzionata verso il privato-extraneus”[32] suggerendo, quindi, nei casi difficili, di fondare il discrimen su un profilo soggettivo, e tanto in quanto il giudice è chiamato ad indagare sulle motivazioni che hanno indotto le parti ad agire. Appare, dunque, in questo modo, legittimata, la possibilità, per l’interprete in difficoltà, di operare una deviazione arbitraria da una dovuta prospettiva oggettivizzante verso valutazioni di tipo soggettivo, per nulla confacenti a tipicità, tassatività e certezza del diritto penale, la cui interpretazione, al contrario, dovrebbe (deve) sempre rimanere ancorata a criteri certi, impersonali ed obiettivi.

Rimane, pertanto, almeno quest’ultima zona grigia nell’applicazione concreta di una norma incriminatrice palesatasi approssimativa fin dalla nascita, e ciò nonostante il faticoso correttivo operato dalla giurisprudenza, ormai sempre più chiamata a perfezionare il prodotto di un legislatore troppo spesso impreciso.

[1] S. SEMINARA, I delitti di concussione e induzione indebita,  p. 384;

[2] R.CANTONE- G. FIDELBO, Relazione n. 19/2013 in Relazioni del Massimario della Corte di Cassazione, p. 4;

[3] a titolo esemlificativo Cass. Sez VI 3 dicembre 2012 n. 3521; Cass. Sez VI 11 febbraio 2013 n. 12388; Cass. Sez VI 21 febbraio 2013 n. 10891; Cass. Sez VI 11 gennaio 2013 n. 17285;

[4] T. PADOVANI, La messa a “libro paga” del pubblico ufficiale ricade nel nuovo reato di corruzione impropria p. IX; D. PULITANÒ, La novella in materia di corruzione pp. 16-17; E. DOLCINI- F. VIGANÒ, Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione pp. 244-245; P. SEVERINO DI BENEDETTO, La nuova legge anticorruzione;

[5] Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014);

[6] L’art. 317 c.p. ante riforma aveva natura plurioffensiva tutelando al tempo stesso il buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, nonché l’interesse del cittadino a non subire danni dall’abuso di potere del pubblico agente;  il nuovo art. 319-quater c.p., invece, si presenta come reato monoffensivo posto a tutela esclusivamente dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione;

[7] Cfr. D. PIVA, Premesse ad un’indagine sull’induzione come forma di concorso e condotta-evento del reato, JOVENE EDITORE 2013;

[8] G. DOMENICONI, La disciplina dei reati di corruzione, concussione e induzione indebita alla luce della legge n. 190 del 2012, p.85, tesi di dottorato, Università di Bologna;

[9] orientamento ricostruito da Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), punto 2 p. 11;

[10] Cass. Sez VI, 4 dicembre 2012 – 21 febbraio 2013, n. 8695, ric. Nardi;

[11] Cass. Sez VI 15 aprile 2013 n. 17285, ric. Vaccaro;

[12] Cass. Sez VI 30 aprile 2013 n. 18968, ric. Bellini;

[13] Cass. Sez VI 15 aprile 2013 n. 17285, ric. Vaccaro;

[14] Cass. Sez VI 30 aprile 2013 n. 18968, ric. Bellini;

[15] Cass. Sez VI, 3 dicembre 2012 – 22 gennaio 2013, n. 3521;

[16] Cass. Sez VI 15 febbraio 2013 n. 17943, ric. Sammatrice;

[17] G. FORTE, Concussione, in Trattato di Diritto Penal. Parte Speciale- I delitti dei Pubblici Ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, a cura di A. CADOPPI- S. CANESTRARI- A. MANNA- M. PAPA, 2008 p 194;

[18] M. DONINI, Il corr(eo) indotto tra passato e futuro. Note critiche a SS. UU., 24 ottobre 2013-14 marzo2014, n. 29180, Cifarelli, Maldera e a., e alla l. n. 190 del 2012 p. 1482;

[19] Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), punto 3 p. 16;

[20] Per approfondimenti G. DOMENICONI, La disciplina dei reati di corruzione, concussione e induzione indebita alla luce della legge n. 190 del 2012, p.85, tesi di dottorato, Università di Bologna, p. 78;

[21]  La Corte in Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), cit., punto 13.4 specifica che “(..) il concetto giuridico di minaccia, pertanto, deve essere circoscrittoall’annuncio da parte dell’agente di un male o danno ingiusto, vale a dire di un sorpruso, di un illecito che abbia idoneità ad incutere timore, paura in chi lo percepisce, sì da pregiudicare l’integrità del benessere psichico e la libertà di autodeterminazione;

[22] M. GAMBARDELLA, , La linea di demarcazione tra concussione e induzione indebita: i requisiti impliciti del “danno ingiusto” e “vantaggio indebito”, i casi ambigui, le vicende intertemporali,  p. 2021;

[23] G. DOMENICONI, La disciplina dei reati di corruzione, concussione e induzione indebita alla luce della legge n. 190 del 2012, p.85, tesi di dottorato, Università di Bologna;

[24] M. ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministarzione. I delitti dei Pubblici Ufficiali. Art. 314-335 bis c.p.

[25] Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), cit. punto 14.4;

[26] Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), cit. punto 14.6;

[27] G.L. GATTA , La concussione riformata, tra diritto penale e processo. Note a marginedi un’importante sentenza delle Sezioni Unite, in Riv. It. Dir. E Proc. Pen., 2014, III, p.1576; E. DOLCINI, Appunti su corruzione e legge anti-corruzione, in Riv. It. Dir. E Proc. Pen., 2013 p. 548;

[28] G.L. GATTA , La concussione riformata, tra diritto penale e processo. Note a marginedi un’importante sentenza delle Sezioni Unite, in Riv. It. Dir. E Proc. Pen., 2014, III, p.1566;

[29] La Corte in Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014), cit., punto 14.6 afferma che la fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. “si colloca figurativamente in una posizione intermdia tra la condotta sopraffattrice, propria della concussion, e lo scambio corruttivo, quasi a superamento del cosiddetto canone della mutual esclusività di questi due illeciti”;

[30] G. DOMENICONI, La disciplina dei reati di corruzione, concussione e induzione indebita alla luce della legge n. 190 del 2012, p.85, tesi di dottorato, Università di Bologna;

[31] La Corte ha indicato a titolo esemplificativo casi ormai noti nella prassi giudiziaria come l’ipotesi di un poliziotto che lasci il ristorante omettendo di pagare il conto, il medico specialista che per curare in via prioritaria un paziente, in una struttura del servizio sanitario pubblico, pretende denaro per favorirlo rispetto agli altri; la prostituta immigrata clandestina che consuma un rapporto sessuale con un pubblico agente al fine di evitare l’espulsione. Per un maggiore approfondimento V. VALENTINI, Le Sezioni Unite e la politica giudiziaria delle dimensioni parallele, p. 10;

[32] M. GAMBARDELLA, La linea di demarcazione tra concussione e induzione indebita: i requisiti impliciti del “danno ingiusto” e “vantaggio indebito”, i casi ambigui, le vicende intertemporali,  p. 2025;