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Coppia: non lezioni, ma iniezioni di amore

Amore
Ph. Arbër Arapi / Amore

Abstract

L’amore non riguarda solo le scienze umane ma anche il diritto, perché funzione primaria del diritto è quello di congiungere i rapporti proprio come l’amore.

 

Sempre più coppie si rompono perché uno dei due scopre di non amare più l’altro o che si è sbagliato sul suo conto o che ha bisogno di libertà. Spesso ciò accade innanzitutto perché non si conosce se stessi e perché non ci s’intende con l’altro sul senso dell’amore (che subissa e surclassa l’intesa sessuale), che non si può stabilire ma si può cogliere, coltivare e cui contribuire. L’amore è come le lenzuola matrimoniali che hanno una larghezza speciale per cui divise in due non sono più funzionali: non si può spiegare ma solo dispiegare.

Legarsi sentimentalmente a qualcuno non deve essere al ribasso, per consolazione o disperazione, per ripiego o mancato impiego, ma deve essere (perché può essere) un’elevazione. L’amore, per quanto indefinibile, è percepibile e concretizzabile, per cui lo si riconosce e lo si fa conoscere. Diversamente è un abbaglio o uno sbaglio che rovina la propria vita e quella altrui, delle persone presenti e future. Essere coppia, vivere insieme, fare famiglia non è avere le chiavi dello stesso appartamento cui far ritorno perché si è abituati a tornarci o perché ci si deve tornare, ma costituire e consolidare abitudini comuni, crescere nella voglia di tornare nella stessa dimora per ritrovarsi dopo i quotidiani percorsi differenti, “manutenere” lo spazio in cui appartarsi dal resto del mondo. E, quando si perdono le chiavi, affannarsi e adoperarsi nel cercarle oppure farne di nuove per varcare l’uscio e richiudersi nell’unione delle stesse pareti.

Amarsi è “consumarsi” (dal latino “cum” e “sumere”) nell’amore: letteralmente è compiersi nella vita, raggiungere il punto supremo della vita l’uno dell’altro.

Ben altro e ben oltre del congiungersi carnalmente: c’è differenza tra essere in due ed essere coppia.

“Vedovo” significa “privo, vuoto, mancante”, e lo si può essere anche con qualcuno accanto se quel qualcuno toglie anziché dare. Mariti senza moglie seppure in vita o mogli senza marito seppure in vita o comunque pseudocoppie senza una persona che condivida veramente percorso e ogni corso di vita.

Amare non è andare sempre incontro all’altro, annuire per non sollevare questioni, alzarsi dal letto o dalla sedia al posto dell’altro (quando piangono i figli o per altra esigenza), accomodare ogni cosa, arrampicarsi sugli specchi per giustificare l’altro. L’altro è la misura del rispetto di sé, di quanto ci si vuol bene e si può voler bene agli altri, a ogni altro che ha la stessa dignità, né di più né di meno, di se stessi e della persona che si è scelto di avere accanto nella vita (altrimenti non si ha la costruzione della coppia ma la costrizione nella coppia). Il segreto e anche la difficoltà della stabilità della coppia è educarsi nella e alla coppia, assicurarsi assistenza morale e materiale (articolo 143 comma 2 codice civile; elencata come secondo obbligo reciproco dopo la fedeltà perché è di supporto alla fedeltà e di presupposto alla collaborazione), l’assistenza è proprio l’esplicarsi della cura che è quello che viene spontaneo nei confronti di chi si ha a cuore (da cui è nata la figura del “caregiver”): reggersi e leggersi, correggersi e sorreggersi, sopportarsi e supportarsi, solleticarsi e sollecitarsi, comprendersi e sorprendersi, confrontarsi e confortarsi… (creare una cosiddetta “cultura emotiva della coppia”, fatta di simboli e riti). Il bilancio non va fatto solo in caso di crisi o fine rapporto ma andrebbe fatto a ogni fine giornata e non accumulare il non detto o il frainteso (“Pensavo…, credevo…, ma tu…, ma io.., quella volta.., tua madre…, mia madre…, sì, però…).

Rapporto di coppia: tra il duettare e il duellare. Affinché il “gioco” non sia impari occorre la conoscenza, consapevolezza e condivisione delle stesse regole di gioco.

Le regole principali sono date dall’articolo 143 codice civile e i coniugi le declinano nella loro vita quotidiana in base all’indirizzo concordato di cui all’articolo 144 codice civile.

Amare qualcuno non è chiudere gli occhi su tutto, condividere o dire tutto, aiutare l’altro/a in tutto. L’amore totalizzante finisce col diventare accecante, alienante, annientante, innanzitutto di se stessi. Si è qualcuno (figlio/a, fratello/sorella, amico/a, collega o altro) prima della vita di coppia e bisogna continuare a essere quel qualcuno anche oltre la vita di coppia. La vita di coppia deve completare la persona, non peggiorarla o isolarla. La vita di coppia non comporta sacrifici e rinunce, ma rispetto dell’altro che è anche e innanzitutto rispetto di sé. La misura di questo rispetto è data in particolare dagli obblighi reciproci (che è più di vicendevoli) di cui all’articolo 143 comma 2 codice civile. L’altro va “com-preso”, non sopportato, tollerato, giustificato, servito o riverito. Si è coniugi e non genitori o figli l’uno/a dell’altro/a. La vera passione non è fugace, ma sempre audace e verace, carburante e corroborante di vita. Perché passione, da “pathos”, è presente in molte parole e componenti della vita: pazienza, compassione, simpatia, antipatia, empatia, apatia, patire, patologia… Nell’amore non ci si possiede né ci si opprime né ci si schiaccia, ma ci si prende, comprende, riprende e, soprattutto, si apprende: questo l’esempio da dare alle nuove generazioni. Questa è la consapevolezza da cui dovrebbe partire una coppia prima di intraprendere la vita insieme e la successiva vita familiare.

L’amore non conosce scadenza, come i prodotti del supermercato, anche se può morire: questo dice che non è la coppia la fonte e il criterio dell’amore, ma che esso è altro da loro, è una realtà più grande, con cui sono chiamati a rimanere in comunione” (il gesuita Giovanni Cucci). L’amore prima e dopo ogni relazione, l’amore al di sopra di ogni situazione: di questo sia consapevole e responsabile soprattutto la coppia genitoriale.

Il contrario dell’amore non è l’odio, il contrario dell’amore è il potere” (la scrittrice Marina Terragni). Il potere è diverso dall’autorità: il potere è prevaricazione e non vede le persone, l’autorità è relazione. L’amore (in ogni sua sembianza, da quello di coppia a quello genitoriale) è anche autorità (dal verbo latino “augere”, far crescere, innalzare, arricchire): perché voler bene è volere il bene dell’altro.

 “[…] una perfetta sintonia, non c’è bisogno di altro, come quando senti l’amore che si diffonde e ha il sapore di un liquido dolce” (lo scrittore Fulvio Ervas). La famiglia nasce da una scelta d’amore e dovrebbe continuare a essere fonte di amore nella quotidianità, nonostante le difficoltà e proprio nelle difficoltà.

“Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio di ciò che hanno” (K. Gibran). Così l’amore in famiglia: non è prevenzione di problemi, ma condivisione di problemi.

Si dice che col tempo le ferite guariscono, ma alcune ferite, come quelle d’amore, col tempo diventano profonde, sempre più profonde” (dal film “Non dire mai addio”). Ferire significa etimologicamente “forare, tagliare”: se si riuscisse a forare i propri egoismi, tagliare il proprio individualismo ci si renderebbe conto della comune fragilità. Nelle coppie e nelle famiglie ci sarebbe così più comunicazione e meno conflittualità.

“[...] l’amore è così poco, così a rischio, così raro. Quante volte ci è venuto a mancare quel “nonsoché” che dà qualità alla vita, un non-so-che di gioia, di passione, di amicizia, di entusiasmo, di salute, di energia che dia profumo e sapore alle cose e ai giorni, faccia navigare la fragile barca del cuore!” (padre Ermes Ronchi). L’amore va vissuto e vivificato, come ogni amore nei confronti del proprio amato (dal figlio al partner) va vissuto e vivificato senza ritenerlo scontato: l’amore, fondamento e fonte della famiglia.

Cerimonia nuziale: i due guardano con emozione, si guardano con commozione. Cerimonia ha lo stesso significato etimologico di sacrificio: “fare cosa sacra”. Quale sacrificio migliore se non l’amore? Peccato che molti lo dimentichino dopo la cerimonia e a spese dei figli.

Resistere è una bellissima parola. Significa sentire ciò che ci trascina, non chiudere gli occhi e non cedere, ma anzi desiderare di combattere, perché c’è un valore bello da difendere, un amore. Può capitare che resistere indichi la capacità di assecondare quel che non possiamo evitare, scegliere di non estenuare la vita in una lotta già persa. Ma rimane comunque la parola giusta” (la scrittrice Mariapia Veladiano). Vita in famiglia è anche scegliere insieme se e quando resistere. Resistere è un verbo che comincia col prefisso re- come relazione, perché ogni relazione comporta anche il resistere. La famiglia dovrebbe essere palestra e scuola di resilienza.

“Quanto amore serve a salvare un amore” (da “Il tempo è un Dio breve” di Mariapia Veladiano). Come quello di una futura madre che, nonostante una diagnosi di cancro, porta avanti la gravidanza con tutta la speranza nella e per la vita: così bisognerebbe fare quando una crisi è cancerogena o cancerosa.