Corte Europea dei Diritti Umani: Italia condanna per discriminazione nei confronti di bambino autistico
Abstract
Con sentenza depositata il 10 settembre del 2020 la Corte Europea ha condannato lo stato Italiano per discriminazione, nonché per mancata diligenza nei confronti di un minore affetto da disturbo autistico con assenza di linguaggio verbale. Questo è l’epilogo di un lungo procedimento giudiziario che, all’interno dell’ordinamento nazionale è partito dal Tar per finire al Consiglio di Stato e, in entrambi i casi, vi è stato il rigetto del ricorso presentato dai genitori della vittima.
Indice:
1. I fatti di causa
2. Motivi del ricorso
3. La difesa del governo italiano
4. Decisione del ricorso
1. I fatti di causa
La ricorrente, rappresentata in giudizio dai genitori e dal legale di fiducia, soffre di disturbo di tipo autistico con assenza di linguaggio verbale e, per tale motivo, sin dalla scuola dell’infanzia ha beneficiato di un accompagnamento di ventiquattro ore a settimana fornito da un insegnante di sostegno, e dell’ausilio di un’assistenza specializzata.
La funzione di questa particolare figura d’ausilio si rinviene nella possibilità di far giungere la persona affetta da questo tipo di disabilità ad una migliore inclusione sociale e a una migliore capacità di autonomia.
Purtroppo, con il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla prima elementare la ricorrente non ha più avuto sostegno da questa figura specializzata, che si ricorda essere espressamente prevista dall’articolo 13 della legge 104 del 1992.
A ridosso dell’inizio del secondo anno di scuola elementare, i genitori chiesero al proprio Comune di residenza (Eboli) di reintrodurre l’assistenza di sostegno specializzata, così come avuta nel periodo dell’asilo.
Il Comune intimato, dopo un lungo silenzio, riscontrava precisando che sarebbe stato difficile rimettere in atto una assistenza specializzata pubblica e, per questo, i genitori si facevano carico di assistenza specializzata privata a pagamento.
Ritenuta ingiusta la posizione del Comune, i genitori proponevano ricorso dinanzi al TAR lamentando che la loro figlia non poteva beneficiare dell’assistenza specializzata a cui aveva diritto ai sensi dell’articolo 13 della Legge n. 104 del 1992, e chiedendo di condannare l’amministrazione a indennizzare la loro figlia.
Il TAR respingeva il ricorso rilevando che il Comune aveva avviato le pratiche necessarie in tempo utile e tenendo conto del fatto che la regione aveva dovuto far fronte a una riduzione delle risorse stanziate dallo Stato.
I genitori impugnavano la sentenza del TAR dinanzi al Consiglio di Stato. Anche in questa sede il ricorso veniva respinto. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’istanza risarcitoria risultava essere vaga e mancava il nesso causale tra l’assenza dell’assistente specializzato e il danno. Nel prosieguo delle motivazioni veniva altresì riportato che la Regione non potesse pagare un’assistenza specializzata privata, escludendo ogni addebito all’amministrazione comunale. Infine, per quanto riguarda la richiesta di condanna del Comune di Eboli a fornire l’assistenza prevista dalla legge, il Consiglio di Stato rilevava che poteva emettere nei confronti dell’amministrazione comunale un’ingiunzione di fare solo quando la causa rientrava nella competenza esclusiva della giurisdizione amministrativa, ma non era questo il caso.
2. Motivi del ricorso
Dopo aver incassato i ripetuti dinieghi dagli organi giudiziari statali, i genitori del disabile hanno deciso di intraprendere azione giudiziaria dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani.
Il ricorso in questa sede è fondato sull’articolo 14 Cedu, quindi sul divieto di discriminazione, in combinato disposto con l’articolo 2 del protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che testualmente recita: “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.”
3. La difesa del Governo Italiano
Il Governo, nel costituirsi nel giudizio in esame, ha fondato la propria difesa sull’assunto che, a seguito delle restrizioni imposte dal bilancio regionale tale tipo di assistenza speciale è stato deliberato dando precedenza alle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica e che, quindi, giunti all’esaurimento delle risorse stanziate per lo scopo, non residuavano fondi per garantire quanto richiesto dalla ricorrente. La difesa è proseguita evidenziando che al netto delle risorse disponibili, il Comune ha adottato le migliori misure atte a garantire i diritti della ricorrente.
4. Decisione del ricorso
Dopo aver rigettato alcune eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso, avanzate dal governo Italiano, la Corte è entrata nel merito della questione, decretando l’accoglimento.
Con riferimento all’interpretazione dell’articolo 2 del Protocollo 1, la Corte ha chiarito che bisogna tener a mente che la Convenzione “deve essere vista come un insieme compatto e interpretata in maniera tale da promuovere la sua coerenza interna e l’armonia tra le sue diverse disposizioni. Anche l’articolo 2 del Protocollo n. 1 deve essere interpretato alla luce, soprattutto, dell’articolo 8 della Convenzione, che esprime il diritto di ogni persona «al rispetto della sua vita privata»”.
Con riferimento, invece, all’interpretazione dell’articolo 14 Cedu, il ragionamento è stato molto più complesso. Sul punto, infatti, l’analisi è partita dal concetto di discriminazione in sé, che deve essere inteso come “trattare in maniera diversa e senza giustificazione oggettiva delle persone che si ritrovano in situazioni simili”.
Analizzando poi il sistema giuridico italiano, benché abbia riconosciuto come l’Italia in realtà garantisca il diritto all’istruzione dei bambini affetti da handicap, ha comunque evidenziato che per il caso oggetto di causa si raffigurano gli estremi che conducono a una censura ex articolo 14 Cedu.
Molta importanza è stata attribuita al fatto che le autorità non hanno cercato di determinare le vere necessità della ricorrente e le soluzioni che potessero rispondervi al fine di permetterle di frequentare la scuola elementare in condizioni equivalenti, per quanto possibile, a quelle di cui beneficiavano gli altri bambini.
A parere della Corte, inoltre la discriminazione subita dalla ricorrente assume un carattere di maggiore gravità in quanto è avvenuta nell’ambito dell’insegnamento primario, che fornisce le basi dell’istruzione e dell’integrazione sociale e le prime esperienze di vita sociale.
Dopo aver considerato questi elementi la Corte ha infine sentenziato che, nel caso di specie, il Governo non ha dimostrato che le autorità nazionali hanno agito con la diligenza richiesta per garantire alla ricorrente il godimento del suo diritto all’istruzione su un piano di parità con gli altri alunni e, pertanto, ha ritenuto violati l’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 2 del Protocollo n. 1.