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Cosa serve per essere competitivi

Competizione
Competizione

Cosa serve all’avvocato oggi per essere competitivo sul mercato? Questa domanda capeggia nella testa di ogni professionista, dal momento che il mercato è diventato molto più competitivo di un tempo ed emergere non è facile. Cosa serve oggi dunque?

Una volta c’era il nome, oggi è il brand, ma basta? Direi proprio di no.

Sono tre i fattori oggi che possono fare la differenza per un avvocato:

1) la specializzazione: usiamo in modo atecnico questo termine, intendendo la focalizzazione su determinate materie/settori; i generalisti resteranno anonimi sul mercato;

2) la modalità di erogazione delle prestazioni: ci riferiamo qui all’uso della tecnologia e dell’organizzazione dello studio e conseguente modalità di interazione con il cliente e gestione della consulenza (velocità, efficienza, comodità);

3) relazione empatica: il rapporto diretto e la capacità di instaurare buone relazioni resta imprescindibile alla base della fiducia.

 

Cosa è cambiato

Dal dopoguerra fino a fine secolo era sufficiente un abbonamento ad una buona rivista giuridica, magari a cadenza settimanale, per rimanere aggiornati. Periodicamente l’agente di zona di un editore passava dallo Studio a proporre nuove uscite e finiva lì. Una volta ogni due/tre anni, poi, si cambiavano i 4 codici fondamentali, laddove proprio necessario. Per chi guardava oltre confine, un corso di inglese giuridico e un periodo all’estero avrebbero completato le basi del professionista pronto e preparato.

Ma si sa, nulla è per sempre (a parte di diamanti, pare) e le cose sono cominciate anche per il mercato legale lentamente a cambiare.

Per gli avvocati d’affari già con lo “sbarco” da fine anni ’90 degli Studi inglesi e americani in Italia si intravedono nuove opportunità e, di conseguenza, nuove modalità per svolgere la professione. La new economy introduce nuovi filoni e nuove competenze che, al passo con la velocità della materia, richiedevano aggiornamento costante. Comincia poi il periodo delle riforme e si approda all’anno zero: il 2008. Dagli Stati Uniti arriva come l’onda d’urto di uno tzunami anche in Europa la crisi finanziaria, che l’Italia, come piazza di secondo (forse anche terzo) ordine risente con italico ritardo dal 2010. Il mercato rallenta, la spending review tocca anche i professionisti dell’area legale e gli oltre 240mila avvocati cominciano a toccare con mano che qualcosa è cambiato, e non sarà passeggero.

Gli ingredienti per un mix esplosivo non sono ancora completi. Alla crisi economica e finanziaria che mette in ginocchio (o congela) l’economia e le imprese-clienti, si sommano le riforme legislative a pioggia e spesso incoerenti, mal fatte e parziali. L’Europa ci mette lo zampino con la Direttiva Bolkstein che l’Italia recepisce con il decreto Bersani. Si comincia così a far fronte alla crisi del mercato con il marketing e la comunicazione.

Gli Studi legali diventano sempre più associati e quindi organizzati con mentalità imprenditoriale (almeno così avrebbe dovuto essere) che professionale da libero battitore. Lavorare in team diventa un must. Si riformano a questo punto i codici deontologici, che devono riconoscere maggior spazio alle pratiche comunicative e promozionali del professionista. Ciò che non si riforma è la mentalità di chi dovrà poi applicarle, dentro e fuori lo Studio. Ci riferiamo, rispettivamente, ai soci e titolari di Studio, che procedono formalmente in team, ma sostanzialmente con spirito da lupo solitario e ai componenti delle Commissioni deontologiche degli Ordini professionali, ancorate ad una poco aggiornata visione della professione. Così da Ordine ad Ordine l’applicazione delle norme deontologiche (e delle sanzioni disciplinari) cambia e spesso anche di molto.

La ciliegina sulla torta la mette poi il web. I cambiamenti tecnologici e culturali subiscono una impennata verso l’uso massivo e capillare di Internet, anche con finalità di business e professionali. Spuntano siti web di Studio, sulla carta (ancora oggi solo lì) si prevede il processo telematico, cancellerie dei Tribunali più lungimiranti aprono gli sportelli digitali. Gli Studi legali d’affari investono nel marketing e nella comunicazione, sorgono agenzie di media relation, sezioni dedicate su quotidiani e magazine, oltre a riviste di settore.

Oggi la nuova frontiera è l’App di Studio e tutti i principali Studi hanno un proprio sito web, alcuni alla seconda o terza generazione per rimanere al passo con i tempi.

 

Ed eccoci oggi

La storia non finisce qui. Arriviamo ai nostri giorni dove un esserino chiamato Covid-19 rimescola di nuovo le carte in tavola. Smartworking, videoconference, lavoro in remoto si aggiungono ai cambiamenti che il 5G, la blockchain, l’IoT e l?intelligenza Artificiale avevano già promesso per questo nuovo decennio. Nulla sarà più come prima.

In tutto questo le famose hard skills giuridiche, quindi le competenze acquisite negli anni di università e nella pratica legale possono da sole fare la differenza? Essere bravi è fondamentale., ma è sufficiente?  

Oggi sono richieste nuova mentalità, nuove competenze, nuova organizzazione. Da qui ai prossimi anni lo studio diventerà azienda, organizzato come un’azienda e gestito come un’impresa. Vediamo dunque cosa serve conoscere e avere nella propria organizzazione.

Mentalità manageriale - Lo Studio associato organizzato con mentalità imprenditoriale, sul modello organizzativo aziendale, richiede necessariamente competenze manageriali, quindi di gestione del tempo (nostro e dei collaboratori), delle attività (quindi competenze di pianificazione e programmazione) e di leadership (abilità di delega, di feedback e di gestire riunioni efficaci). In mancanza, è come aver comprato una bellissima barca a vela trialbero e non avere il patentino nautico per condurla e raggiungere le ambite mete.

Mentalità comunicativa – Per poter rimanere competitivi, dopo aver strutturato l’organizzazione di Studio e aver lavorato sull’eccellenza delle competenze professionali, è necessario farle conoscere al pubblico. E, ancor meglio, è necessario emergere, distinguersi, attrarre i prospect per le nostre peculiarità. Saper comunicare, saper promuovere diventa non più un’attività marginale, ma centrale nella professione. Esattamente come il marketing lo è per chi svolge attività commerciale. Come dire: posso avere ottimi prodotti, ma se li tengo chiusi in magazzino, lì rimarranno.

Mentalità di squadra – Abbiamo detto che oggi non basta affatto essere in tanti per dire che si è una squadra. Al massimo, si sarà un gruppo. Ma la squadra è altra cosa. Per capire la differenza, ricordiamoci quando da bambini giocavamo a pallone, oppure per chi ha figli piccoli basti guardare cosa fanno la domenica al campetto di calcio. I bambini corrono dietro la palla noncuranti di schemi e ruoli. Là dove c’è una palla scatta la competizione e si corre tutti. Ecco, quello al massimo è un gruppo di giocatori, non una squadra. Tale diventerà solo quando rispetteranno i ruoli, sapranno coordinarsi e soprattutto avranno la mentalità del giocare tutti per uno scopo comune. Ecco, molti Studi legali assomigliano ancora a tanti bambini (simpatici, per l’amor del cielo) che corrono dietro una palla anche se sono in gruppo, piuttosto che come una squadra lottare per un fine comune, dove tutti condividono gioie e dolori in vista della meta comune.

Queste abilità e competenze oggi necessarie nel bagaglio formativo e culturale dell’avvocato si chiamano soft skills, competenze leggere o, meglio, trasversali. Sono il completamento dello zoccolo duro della formazione del professionista legale, gli studi giuridici. Ma non sono certo meno importanti. Essere eccellente e non saperlo comunicare, piuttosto che essere un pozzo di scienza, ma non sapersi coordinare con gli altri, oppure avere esperienza da vendere, ma non saperla mettere a disposizione della squadra non gioverà per la competitività dello Studio.

E per concludere, molta attenzione va posta ad un nemico silenzioso che trasversalmente accomuna tutti i legali (e non solo): l’alibi della mancanza di tempo. Tutti, dico tutti, siamo abituati a giustificare le proprie mancanze, con “non ho tempo”, “lo farò appena trovo un attimo”, “so che dovrei, ma non riesco proprio oggi” etc. etc.

Alibi, nient’altro che alibi. E ricordiamoci che tutto ha un prezzo, anche il non avere tempo.

Il futuro è servito.