Crowfunding e trust: questo matrimonio non s’ha da fare

Trust e crowfunding
Trust e crowfunding

A far tempo dal 9 novembre di quest’anno entreranno in vigore, sia pure con efficacia differita, due importanti provvedimenti di carattere comunitario. Si tratta in particolare:

  • del Regolamento (UE) 2020/1503 (il Regolamento sul crowdfunding), che si applicherà dal 10 novembre 2021;
  • della Direttiva (UE) 2020/1504 che modifica la Direttiva 2014/65 / UE sui mercati degli strumenti finanziari, MiFID II (la direttiva sul crowdfunding ) per la quale gli Stati membri dovranno attuare la legislazione di attuazione prima del 10 maggio 2021 e applicare le misure di attuazione della direttiva a far tempo dal 10 novembre 2021.

 

Il regolamento sul crowdfunding

Il meccanismo di funzionamento del crowdfunding è semplice. Si tratta, in breve, di una modalità di raccolta di fondi all’interno di una platea di soggetti, potenzialmente indeterminata, attraverso la quale si dà a un’azienda o a un privato la possibilità di raccogliere capitali e a un investitore di fornirli. Per inquadrare meglio il tema possiamo usare direttamente le parole usate nel citato Regolamento Il crowdfunding rappresenta un tipo di intermediazione sempre più importante in cui il fornitore di servizi di crowdfunding, senza assumere a proprio titolo alcun rischio, gestisce una piattaforma digitale aperta al pubblico per realizzare o facilitare l’abbinamento tra potenziali investitori o erogatori di prestiti e imprese che cercano finanziamenti. Tali finanziamenti potrebbero assumere la forma di prestiti o di emissione di valori mobiliari o di altri strumenti ammessi a fini di crowdfunding. È opportuno pertanto includere nell’ambito di applicazione del presente regolamento sia il crowdfunding basato sul prestito sia il crowdfunding basato sull’investimento, dal momento che tali tipologie di crowdfunding possono essere strutturate come alternative di finanziamento comparabili.

Questo meccanismo coinvolge quindi tre centri di interesse. Di conseguenza sono coinvolte tre entità: (1) l'organizzazione intermediaria che gestisce la piattaforma di crowdfunding (ossia la piattaforma online); (2) le aziende o gli individui che cercano finanziamenti tramite la piattaforma di crowdfunding (proprietari del progetto); e (3) gli investitori.

È l'organizzazione intermediaria che gestisce la piattaforma di crowdfunding, al contrario dei proprietari del progetto, che è al centro della regolamentazione ai sensi del regolamento sul crowdfunding.

Il "fornitore di servizi di crowdfunding" è definito nel regolamento come una persona giuridica che fornisce un "servizio di crowdfunding". Un servizio di crowdfunding è definito come l'incontro degli interessi di finanziamento delle imprese di investitori e proprietari di progetti attraverso l'uso di una "piattaforma di crowdfunding" e che consiste in una delle seguenti attività; (1) agevolazione dei prestiti (ossia crowdfunding basato su prestiti); e / o (2) il collocamento, senza una base di impegno irrevocabile, di valori mobiliari e "strumenti ammessi a fini di crowdfunding" emessi da proprietari di progetti o società veicolo (e la ricezione e trasmissione di ordini dei clienti correlati) (ossia raccolta di fondi).

Una piattaforma di crowdfunding è definita come "un sistema informativo basato su Internet accessibile al pubblico, gestito o gestito da un fornitore di servizi di crowdfunding". 

L’Italia è stata il primo Membro dell’Unione Europea che si è dotato di una normativa sul crowdfunding, disciplinando prima gli equity crowdfunding e, successivamente anche il debt crowdfunding. (Articoli 50-quinquies,100-ter, 190-quater del TUF, e Regolamento adottato con Delibera Consob n. 18592 del 26 giugno 2013).

Mancava invece una normativa a livello comunitario con evidenti ripercussioni, in negativo, che si traducevano in una serie di normative diverse all’interno dei vari paesi che impedivano di poter raccogliere capitali in ambito europeo e che le attuali disposizioni hanno integrato. Il Regolamento di recentissima approvazione colma queste lacune andando ad applicarsi ai fornitori di servizi di crowdfunding, stabilendo una soglia di 5 milioni di Euro, per ciascun progetto nell’ambito di dodici mesi.

Rispetto alla normativa interna rimangono alcune differenze circa i rispettivi ambiti di applicazione.

Mentre infatti questa trova applicazione per l’equity crowdfunding, in cui, chi investe in un progetto diviene titolare di quote o azioni e  per il debt crowdfunding (offerte relative a obbligazioni o titoli di debito), il Regolamento appena approvato apre anche al lending crowdfunding in cui l’investimento viene effettuato, a beneficio di start up e piccole e medie imprese, per la concessione di prestiti volti a realizzare specifici progetti con la sola esclusione dei servizi relativi a prestiti ai consumatori.

Un paper di qualche anno fa (2015) tratta espressamente di un tema che aveva suscitato il mio interesse: Crowdfunding and the Law of Trusts, autore un docente dell’Università di Toronto, Albert H. Oosterhoff. L’interesse dell’autore si concentra essenzialmente su due punti, quello della raccolta di fondi per fini caritatevoli o filantropici, derivanti da donazioni, e il caso in cui le somme raccolte si rivelino insufficienti, ovvero esuberanti, rispetto all’obiettivo prefissato. In Canada il Crowdfunding prevede più modalità attuative:

  1. non-Equity Crowdfunding, una tipologia che non rientra nell’ambito previsionale della normativa italiana vigente perché non rientrano fra i servizi finanziari- che a loro volta comprendono i Crowdfunding donation based, che riguardano essenzialmente il campo delle charities e delle finalità altruistiche; i Crowdfunding reward based in cui un imprenditore ricerca finanziamenti per la realizzazione di un progetto in cambio di una ricompensa o di un vantaggio fornito dallo stesso imprenditore che ha promosso la raccolta, i Crowdfunding pre purchased based in cui coloro che contribuiscono versando anticipatamente dei fondi riceveranno in cambio il prodotto una volta completato.
  2. I Lending Crowdfunding che riguardano coloro che erogano liquidità tramite un prestito non garantito a un'impresa, e che riceveranno il loro capitale con gli interessi maturati;
  3. Equity Crowdfunding in cui i donors investono denaro in un'impresa in cambio di una posizione azionaria nell'azienda.

Lo schema operativo è ovviamente il medesimo di quello sopra delineato, con la presenza di un platform provider, di un promoter e del (o dei) donor le cui relazioni sono di norma regolate su base contrattuale o sulla base di un rapporto di agenzia, mentre non c’è contratto fra promoter e donor perché non c’è consideration (vale a dire, un po' sbrigativamente, perché manca la controprestazione), ma nondimeno si costituisce, anche fra questi soggetti, una relazione di carattere fiduciario.

Le criticità, nell’analisi dell’autore, vengono in rilievo perché in questi contesti, le relazioni intervengono fra soggetti, anche fisicamente, fra loro distanti, che quindi non si conoscono, sono infatti sovente coperti dall’anonimato, i cui rapporti presuppongono nondimeno relazioni su base fiduciaria e prevedono il trasferimento, come montante finale, anche di non indifferenti quantità di denaro.

Si comprende quindi come, in un contesto di questo tipo, il problema delle truffe sia all’ordine del giorno, senza contare che, spesso, le iniziative che col Crowdfunding vengono promosse non poggiamo su una solida base progettuale, ma sono per, così dire, lasciate un po’ all’improvvisazione. Si consideri inoltre che prima di giungere a destinazione il denaro transita, anche fisicamente, nelle tasche di un terzo (il promoter). A questo proposito l’autore fornisce anche una serie di suggerimenti e di cautele da adottare per evitare appunto il rischio di incorrere in una iniziativa poco serie o truffaldina che sono indicazioni di buon senso, che rientrano in un quadro di diligenza che una persona avveduta dovrebbe rispettare prima di avventurarsi in una operazione di rischio, ma che non possono comunque fornire le stesse garanzie offerte da un controllo pubblico. 

Coerentemente con il sistema giuridico all’interno del quale si muove, l’autore, ritiene che possa dirsi essere sorto un trust al momento in cui taluno (donor) versa una somma di denaro

per uno scopo particolare a un platform provider su indicazione di un promoter.

Può anche darsi che questa relazione trovi la sua fonte in un contratto o in un rapporto di agenzia, e a tal fine per escludere queste ipotesi, occorrerà far riferimento all’intenzione del donante, perché se la sostanza del rapporto è quella di dar vita a una raccolta di fondi per un fine determinato, e questo avviene su base fiduciaria la conclusione porta a propendere per l’istituzione di un trust in cui il promoter assume il ruolo di trustee onerato di obbligazioni fiduciarie nei confronti del donor,  anche se queste relazioni possono variare a seconda di quanto stabilito dal platform provider.

In ogni caso il denaro viene versato in primo luogo al provider e poi destinato al raggiungimento di uno specifico scopo. È pertanto in questo, nel trasferimento cioè di un’obbligazione fiduciaria, che consiste l’essenza di un trust così che il donor a è legittimato a richiedere al provider di effettuare i versamenti dovuti nel caso in cui egli non gestisse correttamente le somme raccolte. Peraltro, anche se il provider dovesse esser configurato come un agente del donor, del promoter o di entrambi, anche in questo caso dovrebbe usare i suoi poteri correttamente e per gli scopi per i quali sono stati conferiti, nonché tenuto ad agire onestamente e in buona fede.

Pertanto la donazione di somme per un fine determinato unita al all’assunzione dell’obbligazione fiduciaria di attuare il compito convenuto determina la venuta  esistenza di un trust, direi in questo caso di un implied trust, che rientra nell’ambito della categoria dei trust non espressamente istituiti che rappresenta una delle due famiglie in cui si suddividono i trust nel mondo anglosassone e che configura una forma di istituzione del trust che non è stata riconosciuta valida da parte della Convenzione dell’Aja (ma qui siamo in Canada).

Ipotizzando di essere quindi di fronte a un trust, se le somme raccolte non possono essere destinate al conseguimento del programma (o dello scopo), in tutto o in parte, o perché la raccolta è stata esuberante, o perché è stata insufficiente, e a meno che i termini del programma di raccolta non prevedano come si debba procedere in tal caso, le somme devono essere restituite a coloro che le hanno versate in forza di un resulting trust (che rientra anch’esso nell’ambito dei trust non espressamente istituiti).

Questo meccanismo restitutorio può sorgere tuttavia a condizione che le donazioni non siano state effettuate in forma anonima perché non sarebbe possibile, in questo caso, risalire al donante. In queste ipotesi trova applicazione allora la cy près doctrine che consente di destinare le somme raccolte in esubero, ovvero quelle già raccolte, ma che non sono sufficienti, e quindi inidonee a realizzare il progetto originario, a favore di una iniziativa analoga. Oltre alle soluzioni elencate, in Canada, sono state apprestate soluzioni anche a livello legislativo: la s 52 del Nova Scotia Trustee Act autorizza il trustee ad adire una Corte per farsi approvare uno schema di distribuzione delle somme che tenga conto dei desideri dei donors; secondo l’Uniform Informal Public Appeals Act (2011), relativamente alla raccolta effettuata per finalità non-charitable è previsto uno schema di distribuzione che preveda anche il rimborso ai donors, ovvero che si faccia luogo a un trust con indicazioni sul modo in cui predisporre il relativo atto istituivo. Infine, l’Uniform Trustee Act (2012) conferisce alla Corte un amplissimo potere di intervento al ricorrere di determinate circostanze.

Riprendendo quindi le fila di quanto finora detto, possiamo svolgere queste considerazioni conclusive:

  • il sistema normativo operante o che sarà operativo in Italia a far tempo dalla fine di novembre del prossimo anno riguarda solo alcune delle diverse tipologie ricomprese nella fattispecie Crowfunding;
  • relativamente alle tipologie ammesse, il sistema normativo apprestato sembra fornire adeguate garanzie rispetto al rischio di frodi ipotizzato in diversi scenari. Si prevede infatti che i fornitori di crowfunding debbano essere espressamente autorizzati; che la loro attività sia soggetta a controllo da parte di un organismo pubblico; che sia tenuto un registro, a livello europeo di coloro che possono svolgere questo servizio;
  • le preoccupazioni e i timori evidenziati dall’autore dell’articolo esaminato sembrano riferirsi a una realtà in cui è possibile operare in una sorta di mercato libero in cui la prestazione di determinati servizi non è soggetta al controllo di un potere pubblico, ma rimessa sostanzialmente a una gestione di carattere privatistico, il che legittima quindi le cautele particolari da attuare prima di affidarsi a questo meccanismo.
  • quanto al trust, che nel caso esaminato non rappresenta una cautela, ma piuttosto è un effetto che deriva da certi comportamenti concludenti, non mi pare che possa essere utilmente impiegato nel contesto interno, a questi fini e questo sia per la ragione sopra detta, e cioè quella della predisposizione di precisi controlli pubblici relativamente a questo tipo di attività, che finirebbero per renderlo ultroneo, sia perché, anche alla luce di quanto rilevato dalla sentenza 10105 del 2014 della Corte di Cassazione a proposito del trust liquidatorio, non può ritenersi ammessa la sostituzione di strumenti privatistici in ambiti normati dal legislatore.