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CSM: anno zero, dalla riforma Cartabia alla querelle Storari

Gli attori della vicenda giocano, in queste ore, la loro partita. Dagli spalti non è ancora visibile il vincitore ma è certa la sconfitta della magistratura e della sua residua credibilità.
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Il CSM, per bocca di alcuni suoi componenti, chiede, anzi pretende, che il governo non ponga la fiducia sulla riforma Cartabia prima che il Consiglio Superiore della Magistratura esprima il suo giudizio.

La richiesta dimentica il monito di Montesquieu: “Il giudice deve essere soltanto la bocca della legge”.

A questa pretesa si aggiunge la vicenda Amara-Storari-Davigo e dei tanti comprimari, Salvi-Ermini-Greco, che la caratterizzano. L’edificante querelle si è arrichita con la lettera firmata, al momento, da 50 su 64 magistrati della procura di Milano.

La petizione in favore di Storari, è sottoscritta da quasi 2/3 dei pubblici ministeri in servizio alla procura di Milano. L’iniziativa è stata promossa da Alberto Nobili, il responsabile dell'antiterrorismo milanese, uno dei magistrati che ha fatto la storia d'Italia, e da altri tre aggiunti.

"Avendo appreso da fonti giornalistiche - questo è il testo integrale - che è stato chiesto al CSM il trasferimento d'urgenza del collega Paolo Storari, anche 'per la serenità di tutti i magistrati del distretto', i sottoscritti magistrati rappresentano che, esclusa ogni valutazione di merito, la loro serenità non è turbata dalla permanenza del collega, nell'esercizio delle sue funzioni, presso la Procura della Repubblica di Milano.

Siamo turbati dalla situazione che sta emergendo da notizie incontrollate e fonti aperte e sentiamo solo il bisogno impellente di chiarezza, di decisioni rapide che poggiano sull'accertamento completo dei fatti e prendano posizione netta e celere su ipotetiche responsabilità dei colleghi coinvolti".

La presa di posizione dei pubblici ministeri meneghini sembra una sorta di rivendicazione di autonomia del distretto milanese. Il rito ambrosiano ribadisce di non voler accettare di essere giudicato.   

La procura milanese, con un pronunciamento di una assemblea, difende il collega Storari dal procedimento disciplinare del CSM.

Negli anni passati, il capoluogo lombardo era il luogo simbolo della giustizia giusta, quella che non guarda in faccia a nessuno.

Un corollario primario di questa diffusa convinzione era che la Procura milanese fosse un ufficio saldo e coeso e incarnasse ai livelli più alti la tensione etica solo in presenza della quale a ognuno viene attribuito il suo.

Che dire? La lettura dei quotidiani di questo periodo fa vacillare ognuna di queste premesse.

A Milano il processo ENI-Shell ha svelato uno scenario inquietante:

lo scontro tra la Procura e il Tribunale;

la gestione oscura del mestatore Amara e la conseguente diffusione urbi et orbi dei verbali;

l’occultamento di prove ritenute rilevanti dal tribunale da parte della procura;

Il ”'pacchetto” delle indagini su Eni, in cui si inserisce il caso Amara e lo scontro tra Storari e il Procuratore Francesco Greco e l'aggiunto Laura Pedio, riguarda anche la gestione di Vincenzo Armanna e le sue dichiarazioni accusatorie nel processo Nigeria (in primo grado gli imputati sono stati tutti assolti) da parte dell'aggiunto Fabio De Pasquale e il pm, ora alla procura europea, Sergio Spadaro.

Su queste vicende, sono stati avviate indagini ministeriale e del CSM (oggi cominciano le audizioni) e anche la Procura di Brescia ha aperto una inchiesta e ha indagato da un lato Storari e l'ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura Piercamillo Davigo per rivelazione del segreto di ufficio, mentre dall'altro ha iscritto De Pasquale e Spadaro per rifiuto di atti d'ufficio.

La petizione in difesa di Paolo Storari è una chiara risposta di aperto dissenso al provvedimento che il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi ha richiesto alla sezione disciplinare del CSM per il pm della procura di Milano. 

Le contestazioni mosse sul piano disciplinare da Salvi, ancora prima della conclusione delle indagini bresciane, si fondano non solo sulla scelta di “divulgare i verbali” di Amara consegnandoli a Davigo. Ma anche sul “comportamento gravemente scorretto nei confronti” dei vertici della procura a cui non avrebbe “comunicato formalmente il proprio dissenso”. E sul fatto che Storari avrebbe “rallentato” le indagini sulla fuga di notizie, una volta che quei verbali sono arrivati ai giornali.

Accuse a cui il pm Storari dovrà rispondere davanti al CSM nell’udienza fissata d’urgenza per venerdì.

Nel frattempo però, tra oggi e domani, molti magistrati milanesi sono stati chiamati a testimoniare nell’ambito del più vasto procedimento per incompatibilità ambientale in procura che è stato aperto al CSM.

In tutto questo ricordiamo che Piercamillo Davigo ha dichiarato al Corriere della Sera che lui i famosi verbali che gli aveva portato Storari esasperato li aveva mostrati e fatti leggere al vicepresidente del CSM Ermini ed al procuratore Salvi.

Il dottor Sottile lascia intendere che entrambi sono rimasti inoperosi senza avviare (come forse sarebbe stato logico) una analoga iniziativa disciplinare o accertamento sui vertici della procura di Milano, accusati di inerzia da Storari che è invece l’unico sotto minaccia di trasferimento.

Tutti gli attori hanno giocato e giocano in queste ore la loro partita. Dagli spalti assistiamo attoniti alla competizione. Della partita non è ancora visibile il vincitore ma è certo lo sconfitto: la magistratura e la sua credibilità.

In questo bailamme, che non risparmia nessuno, esce ridimensionata anche la linea del silenzio e di non intervento adottata dal Presidente della Repubblica Mattarella, che ha preferito al ruolo dell’arbitro quello dello spettatore.

Ricordiamo che per molto meno il picconatore Cossiga allertò i carabinieri per circondare il Palazzo dei Marescialli.

Siamo nel 1985 il CSM aveva posto all’ordine del giorno una “censura” al presidente del Consiglio dei ministri, che
era Craxi, che si era permesso di criticare i magistrati che non avevano indagato a sufficienza sull’assassinio del giornalista Tobagi.

Cossiga tolse la delega a presiedere la riunione del Csm al vicepresidente, il democristiano Galloni, e preannunciò che ci sarebbe andato lui.

Cossiga fece chiamare il comandante dei carabinieri del Quirinale e gli ordinò di precederlo e di “circondare” con i suoi uomini il Palazzo dei Marescialli e di “tenersi pronti a intervenire” se, dopo il suo discorso, il Consiglio non avesse tolto dall’ordine del giorno la minacciata “censura” a Craxi.

Dai carabinieri di Cossiga al silenzio assordante di Mattarella in un palazzo dei Marescialli dove gli attori, i caratteristi e le comparse non comprendono di aver perso l’ethos.

La giustizia non è solo una questione di codici e procedure. E’ anche, anzi, questione di giudici e di ethos che essi si portano dietro. Prima che questione giuridica, è questione culturale”.

(Gustavo Zagrebelsky)