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Della relazione: comunque generatrice

Relazione
Relazione

Non sia percepito come forviante il titolo, evocativo del de più ablativo latino, calco perfetto del peri più genitivo greco, ovvero intorno a… Nessun trattato! Semplicemente il desiderio – intrinsecamente legato all’essere complemento di argomento, fattispecie della classe dei complementi di limitazione, richiamato nel titolo – di continuare il nostro viaggio introspettivo, per coglierne gli effetti su noi stessi e su chi è accanto a noi.

Il mondo contemporaneo è caratterizzato per un incessante processo di differenziazione il quale, continuamente, genera, demolisce, rivede, riordina le relazioni secondo sempre nuove e diverse formali “linee-guida”, le quali operano nei diversi spazi abitati dall’uomo. Ad esempio, in ambito professionale-lavorativo, noi abbiamo le relazioni medico-paziente, professionista-cliente, docente-alunno, e potremmo continuare.

Tale processo di differenziazione si attua attraverso un uso della relazione che ha riflessi sulle persone che le pongono in essere e, contemporaneamente, sulle persone che vengono in contatto con le persone che le hanno poste in essere.

Ciò che fa problema è proprio l’uso della relazione.

Quelle che abbiamo definito come formali “linee-guida”, tendenzialmente, vorrebbero far percepire la strumentalità della relazione e, quest’ultima, si vorrebbe caratterizzata come neutrale. Proprio qui iniziano gli inganni i quali, purtroppo, possono moltiplicarsi in modo esponenziale e generare un’escalation di negatività che va dai piccoli dissapori ai, più o meno, grandi conflitti.

Non esistono relazioni caratterizzate da neutralità!

Ogni relazione è, sempre, portatrice e generatrice, anche se pur inconsapevolmente, di dinamiche valoriali o disvaloriali nonostante si presenti come meramente formale-strumentale-funzionale.

Ma cos’è un valore? Più precisamente, che cosa si vuol dire quando si parla di valori? Con quali criteri si possono riconoscere? Qual è il loro rapporto con la realtà?

Senza nessuna pretesa di esaustività, possiamo affermare che “valore”, nella sua immaterialità, è qualcosa che percepiamo come positiva novità, vissuta proprio nella relazione, capace di unificare la nostra personalità e, contemporaneamente, significativo per il riconoscimento della nostra ed altrui dignità. Se può, il valore, variare per livello di generalità ed astrazione, affinché possa essere riconosciuto nel suo valere, ovvero essere percepito e riconosciuto tangibilmente nella realtà della relazione stessa, è chiamato a sottoporsi alla verifica con la modalità di assunzione della nostra libertà in gioco e se sia capace di generare reciprocità mostrando il senso di appartenenza all’umanità.

Occorre, quindi, rendersi conto che ogni relazione, di fatto, racchiude in sé diverse finalità, le quali oltrepassano, sono sempre oltre, la semplicità dello scopo dichiarato. Questo non perché chi le pone in essere abbia, immediatamente, secondi fini non dichiarati, quanto piuttosto perché nella relazione entrano in gioco, almeno, due libertà di comprensione, ovvero quelle di coloro che pongono in essere la relazione stessa.

Già nel IV secolo d. C. un uomo di Tagaste, che visse ad Ippona, di nome Agostino, sosteneva che: nulla enim omnino res est qui se gignat ut sit (De Trinitate, I), non c’è alcuna cosa che si generi solo per esistere; ovvero tutto ha un fine!

La finalità della relazione, di ogni relazione, è, a sua volta, un relazionarsi fra il suo interno ed il suo esterno, ovvero fra ciò che essa indica come direzione, la sua intenzionalità, e la percezione che di essa si ha nell’ambiente nel quale essa cade ed accade.

Onde evitare espedienti relazionali interpretabili machiavellicamente, è richiesto che la dignità della persona sia costantemente anteposta ad ogni bieca strumentalizzazione: questo è veramente umano!