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Chiedere scusa

Bologna
Ph. Anna Romualdi / Bologna

Nell’ambiente di lavoro e nelle relazioni che lì si realizzano, possono accadere comportamenti inadeguati, intesi come inadatti, inopportuni, imprudenti, impulsivi e così via: talora accadono con una certa frequenza e tali evenienze producono, un po’ inevitabilmente, varie reazioni emotive nelle persone che assistono o sono oggetto di simili condotte. Tali reazioni creano nel gruppo, un clima di insofferenza, fastidio, ridicolo, imbarazzo, protesta, irrigidimento, confusione, fuga e così via.

Ci sono poi gli sbagli o gli errori (rinvio al bel contributo sull’argomento di Barbara Neri su Filodiritto del 29 marzo 2021 – Link) che si possono fare in merito ad un compito assegnato: un ritardo notevole nel completamento dell’incarico, un’informazione sbagliata che ha portato ad una sequenza di altri errori sono altri eventi simili. In questi casi, pur trovandoci in una situazione lavorativa in cui ci vanno dimezzo dei sentimenti personali, è assolutamente opportuno, per evitare strascichi, esprimere le proprie scuse di persona in modo autentico e semplice, senza eccedere. È meglio farlo di persona, anche se è più faticoso, perché vi è la possibilità di avere un feed-back immediato più vicino alla realtà, rispetto a comunicazioni a distanza (mail, WhatsApp, ad es.) che portano facilmente a fraintendimenti.

Ritornando, invece, ai comportamenti relazionali inadeguati ed alle citate reazioni emotive provocate nell’ambiente, si può dire che spesso esse si sovrappongono, mutano l’una nell’altra, si confondono fra loro: se poi il comportamento inadeguato accade tra persone con un diverso livello gerarchico, facilmente si può determinare nell’ambiente lavorativo un’atmosfera emotiva che si stabilizza in uno degli stati emotivi prima elencati, in particolare potranno prevalere l’insofferenza verso l’autore del gesto o la protesta palese o nascosta.

La cristallizzazione in un clima emotivo di questo tipo è certamente più disturbante nel tempo, rispetto a quello mutevole e cangiante, prima descritto, perché la rigidità e ripetitività dei comportamenti da esso prodotti, porta ad un lavoro comune molto difficoltoso e faticoso, anche se indispensabile, al limite dell’impossibile.

Propongo alcune suggestioni: è ormai noto che chiedere scusa modifica favorevolmente i rapporti fra le persone e nel gruppo di lavoro e si conoscono vari modi per farlo. Anche senza usare la formula classica, utile in caso di errore/sbaglio, nelle occasioni a cui mi riferisco può bastare un gesto, un atteggiamento mimico o posturale, una parola detta al momento giusto in modo naturale per mutare il clima, se ovviamente non vi è già una condizione di lavoro fossilizzata.

Perché allora questa strada non è percorsa subito? Perché si parla di scuse autentiche e non autentiche? È un problema dovuto al fatto che non si riesce ad ammettere la propria colpa o ad assumersi la responsabilità? Si tratta di mancanza di umiltà?

Sono tutte domande molto pertinenti e alle ultime si può senz’altro rispondere positivamente, ma vorrei introdurre un altro modo di vedere il problema, per dare qualche opinione sul primo quesito.

Secondo l’antropologa M. Mead la nostra è “la società della colpa”, mentre le società orientali si fondano sul sentimento della “vergogna”. Probabilmente al giorno d’oggi non vi è una distinzione così netta e forse ha meno senso quella dicotomia, tuttavia la colpa e la vergogna sono, sono stati e certamente saranno due stati d’animo fondamentali della persona, che la accompagnano per tutta la sua vita, differenziandosi nei singoli solo per la loro intensità.

Circa le loro caratteristiche qualitative, il senso di colpa è più definito e preciso, riconosciuto e studiato in vari ambiti (anche quello della patologia dell’affetto che sta alla sua base), e ha una declinazione positiva nei comportamenti sociali sotto forma di preoccupazione per gli altri o di assunzione di responsabilità.  

La colpa inoltre non induce quella sorta di evitamento che, invece, induce la vergogna, sentimento che è stato oggetto di molti meno studi e pubblicazioni, ed è stato alquanto trascurato, sembrando quasi scomparso in una società con tratti esibizionistici (qualche volta al giorno d’oggi se ne invoca la sua presenza, a fronte di una eccessiva spudoratezza, che è l’esatto opposto). La vergogna è accessuale, qualche volta imprevedibile, e mette in discussione come una persona è in quel momento, comportando un disvelamento di come si è e della constatazione dolorosa delle proprie debolezze e difetti: ritengo che possa essere invocata per comprendere un po’ la difficoltà di chiedere scusa.

Utilizzo la mitologia greca, che amplifica a dismisura azioni, reazioni, comportamenti, emozioni, vissuti e prese di coscienza, per rendere maggiormente comprensibili le vicende umane: consideriamo il notissimo Edipo come l’eroe della colpa (è talmente noto che trovo inutile aggiungere altro), mentre Aiace, per il gesto folle di uccidersi gettandosi sulla sua spada, sentendosi coperto di ridicolo e disprezzo, dopo aver realizzato che aveva sterminato, per la rabbia, una mandria di buoi invece dei greci che gli avevano negato le armi del suo nemico Achille, è l’eroe della vergogna (A. Green). Questo è uno stato d’animo che mette ancor più in gioco l’immagine sociale della persona e della sua sfera intima.

Un comportamento inadeguato nell’ambiente di lavoro è un atto esibito a tutti i presenti, ha immediatamente una dimensione pubblica ed è anche subito giudicato, magari non esplicitamente: in questa condizione chiedere scusa – qualora la vergogna abbia una grande importanza nel vissuto dell’autore del gesto – diventerebbe un ritornare sull’esibizione dei propri difetti, della propria debolezza, della mancanza di controllo delle emozioni, provocando una nuova perdita di valore e di dignità della propria immagine. Ormai si sente già svergognato in pubblico, quindi di essere diventato una persona spregevole.

Mentre un vissuto di colpa può aprire la strada alla riparazione dell’errore (in questo caso chiedere scusa ha questo significato), la vergogna non ha via d’uscita perché è un’emozione prodotta dall’esibizione di come si è fatti e di cui si può essere solo vergognosi oppure rabbiosi testimoni. È uno stato d’animo molto più difficile da elaborare e superare.

Introdurre questo altro punto di vista, ci può aiutare a comprendere meglio alcune difficoltà nel chiedere scusa, che costituisce comunque la via maestra per superare una condotta inadeguata nell’ambiente di lavoro.