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Errore

Vesuvio
Ph. Simona Balestra / Vesuvio

Era un mondo adulto. Si sbagliava da professionisti.

Paolo Conte

L’errore non è uno sbaglio, ma la differenza fra l’uno e l’altro è nella sostanza in quanto, che siano errori o sbagli, commessi nella vita o nel lavoro, ciò che li muove sono i diversi presupposti.

Lo sbaglio ha lo stesso etimo di “abbaglio” e ci comunica una deviazione istantanea, una scivolata, un lampo di disattenzione. È episodico, specifico, situazionale. È dettato da una distrazione occasionale.

Errore, invece, deriva dal latino error, derivato di errare, vagare, deviare.

L’errore implica quindi un vagare, allontanandosi dalla retta via, da ciò che è giusto e corretto.

L’errore è sistematico, ridondante nell’effetto. Va collocato all’interno di un ordine e organizzazione ideale o reale delle cose.

Commettiamo un errore quando ci allontaniamo da ciò che ci può far raggiungere i nostri obiettivi. Incorriamo in uno sbaglio quando la direzione è giusta ma nel nostro cammino prendiamo un abbaglio o pecchiamo di sbadataggine.
È quindi importante prestare attenzione alle diverse implicazioni che comporta il trovarsi in una situazione di errore o di sbaglio; ciò in quanto cambiano le strategie di gestione dell’una e dell’altra situazione.

Quando commettiamo un errore che ci allontana dai nostri obiettivi la strategia di gestione implica la necessità di prendersi uno spazio di riflessione, occorre prendere tempo per ridisegnare e recuperare il nostro percorso. Se invece stiamo sbagliando, i presupposti all’azione sono confermati, restano validi e basterà quindi, più semplicemente, correggere l’incidente di percorso.

Dunque, a differenza dello sbaglio e cioè a una devianza dovuta a disattenzione momentanea, l’errore di riferisce ad una devianza che ci allontana dai nostri obiettivi.

L’approccio formalistico considerava l'errore come un fenomeno assolutamente negativo, da punire per stroncarlo. L’effetto è che, fin dall’infanzia, l’insegnamento ricevuto è di affiancare alla parola “errore” un segno con pochi preamboli, una sentenza al negativo. Il voto o la nota a scuola, il rimprovero a casa. In un modo o nell’altro qualcuno avrà agito con la finalità, più o meno esplicita, di farci pesare quell’errore con una sentenza definitiva e senza soffermarsi più di tanto su significato e ricadute, spesso, ponendo l’accento sul giudizio personale a discapito della valutazione oggettiva dei fatti e dei presupposti.

Non necessariamente questi stessi copioni è sano si ripetano nella vita adulta e ancor meno è sano siano perpetrati nei contesti professionali anche se, spesso, ciò che avviene in contesti lavorativi poco maturi è che la gestione dell’errore non venga affrontata, ma sia giudicata e si basi per lo più sull’individuazione del colpevole, sull’attribuzione della colpa e sull’analisi delle intenzioni.

Atteggiamenti questi che hanno a che vedere con la naturale ritrosia dell'essere umano a mettersi in discussione ma l’effetto che ne deriva, nel medio periodo, è il rafforzarsi di un atteggiamento individualista, di difesa e che porta alla generazione di una diffusa e informale “burocrazia delle relazioni” dove predominano, ingiustificati e inutili, rallentamenti del processo decisionale e/o operativo.

L’atteggiamento dominante in questi contesti è di scarsa fiducia e la scarsa fiducia genera paura che, a sua volta, porta all’immobilismo.

Nel tempo, a partire dall’approccio comunicativo e come effetto delle ricerche psicolinguistiche, l'atteggiamento verso l'errore è cambiato. Lungi dall'essere un fatto puramente negativo e da punire, l'errore viene visto come fonte per cogliere, attraverso incertezze e approssimazioni, il processo di acquisizione della competenza. L’errore diviene così una fonte preziosa di informazione, che va analizzata e corretta solo in quanto impedisce l’esercizio corretto della conoscenza e dell’esperienza.

L’errore da analizzato quale colpa diviene quindi valorizzato in quanto causa.

In questo processo, qual è dunque il ruolo del manager?

Innanzitutto il ruolo implica un’assunzione di responsabilità, in quanto responsabile del proprio gruppo di lavoro, dei propri collaboratori, delle loro azioni e conseguenze. Assumersi la responsabilità dell’accaduto non implica la ricerca della colpa o del colpevole, bensì la presa in carico dell’accaduto. Sviare un processo di analisi critica e costruttiva dell’accaduto potrebbe, infatti, portare alla coazione a ripetere del medesimo errore.

Dunque, l’errore va compreso e per comprenderlo occorre analizzarlo. Occorre analizzare attori, situazione, contesto che ha generato l’errore e ciò al fine di formulare una risposta adeguata agli eventi che si sono venuti a determinare e a definire la nuova direzione per il futuro, adatta a non generare gli stessi problemi. In questi termini, l’errore funge da indicatore e diviene quindi parte integrante di un percorso di apprendimento e crescita, comune e condivisa.

L’individuo porta con sé, nei contesti professionali, proprie competenze, valori, ambizioni, proprie risorse cognitive e propri limiti. Per questo, nel ruolo di manager, l’errore non va censurato ma analizzato e compreso al fine di mettere in campo un’ulteriore risorsa, fungere da guida per i propri collaboratori e concertarne la correzione. Come indicato poco sopra, l’errore implica il vagare fuori dalla retta via, per questa ragione è importante che il manager fornisca la giusta direzione e funga da guida per l’individuazione del percorso più corretto da percorrere per giungere alla meta e al risultato auspicato.

Il manager in questo contesto cambierà quindi il proprio paradigma di gestione che da focalizzato sul compito e sul risultato si orienterà verso una leadership partecipativa e diffusa in cui favorirà l’espressione dell’individuo in quanto professionista nel quale, la dimensione errante, prenderà la forma di processo sperimentale volto all’innovazione.

A questo proposito il manager dovrà quindi pianificare attentamente gli ambiti della delega al fine di definire un perimetro di sperimentazione in cui l’individuo abbia la possibilità di esprimersi e il manager sia disposto ad assumersi la responsabilità dell’errore per tramutarlo in gestione del feedback e tradurre quindi l’esperienza in un percorso di apprendimento e sviluppo professionale.

In questo contesto, lavorare sulla dimensione dell’errore favorisce una gestione dei collaboratori basata sulla reciproca fiducia e con indubbi effetti motivazionali positivi. Secondo il filosofo Gaston Bachelard “la rivalutazione dell’errore comporta una concezione dinamica e non statica della conoscenza” tracciando così una direzione in cui il leader, nel proprio ruolo, si farà primo promotore dell’azione.

In questa dimensione il modello dell’adattamento al contesto cederà quindi il passo a scenari di possibilità in cui prevale – secondo le parole di Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value – “non un potere che intervenga a ripristinare le cose com’erano, ma che riesca a imparare da quanto successo e ad andare oltre”. Un contesto in cui “il manager dovrebbe fare della condivisione e dell’ascolto i propri punti di forza, un leader capace di assumere dei rischi pur di andare avanti”. Un leader, appunto, capace di fare dell’antifragilità la propria forza e con essa, la forza dei propri collaboratori.