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Diritto alla salute e scuola in presenza ai tempi del Covid

scuola e Covid-19
scuola e Covid-19

Indice:

1. Introduzione

2. Il servizio scolastico in Italia durante la pandemia

3. L’evidenza scientifica rispetto al ‘rischio scolastico’, in entrambe le direzioni

4. Il necessario contemperamento fra diversi diritti costituzionali

5. Restrizioni regionali ulteriori rispetto ai DPCM. Completa anomalia del ‘caso Campania’

6. La difficile tutela cautelare verso provvedimenti di brevissima durata e continuamente reiterati

7. Conclusioni

 

1. Introduzione

In tutti i Paesi colpiti dalla pandemia, il servizio scolastico è stato per alcuni periodi interrotto – o più spesso trasformato in servizio erogato a distanza.  L’obiettivo, ovviamente, è stato quello di contenere il contagio.

Nel presente contributo:

- indicherò le modalità con cui ciò è avvenuto in Italia e in particolare in alcune regioni;

- sintetizzerò l’evidenza scientifica in merito al ‘rischio’ scolastico in entrambe le direzioni (contributo alla diffusione del contagio causato dalla scuola in presenza; rischio per bambini e adolescenti derivante dalla mancanza della scuola in presenza);

- ricorderò i principi riguardanti il bilanciamento fra diversi diritti costituzionali in caso di conflitto;

- analizzerò infine la giurisprudenza amministrativa del 2021 riguardante lo specifico tema del servizio scolastico durante la pandemia, illustrando anche il significativo contributo offerto da alcuni Decreti presidenziali dei TAR per rendere effettiva la tutela cautelare verso ordinanze della pubblica amministrazione di durata brevissima e continuamente reiterate.

 

2. Il servizio scolastico in Italia durante la pandemia

Prima ondata

Durante la primavera 2020 (cd. Prima ondata della pandemia) il servizio scolastico in presenza è stato sospeso nel nostro Paese in tutto il territorio nazionale, con limitatissime eccezioni, fra le quali la più significativa ha riguardato l’esame di maturità, svoltosi in presenza (anche se in forma soltanto orale).

Anche negli altri Paesi europei vi sono stati, durante la stessa stagione primaverile, periodi di sospensione del servizio. Nella maggior parte dei casi, si è trattato di periodi più brevi e/o di sospensioni meno significative rispetto all’Italia. Ad esempio, in alcuni Paesi la sospensione della didattica in presenza si è prolungata per diversi mesi solo per le scuole superiori; in altri Paesi si è comunque garantito il servizio ai ragazzi provenienti da zone svantaggiate e/o che lo richiedevano; in altri ancora sono stati sperimentati e/o adottati modelli innovativi, alcuni dei quali – come la didattica parzialmente all’aperto – favoriti dalla stagione estiva.

Già pertanto alla ripresa di settembre, l’Italia presentava un divario negativo rispetto agli altri Paesi europei, con riferimento alla tutela del normale servizio educativo e di istruzione. Durante l’estate, quando la pandemia appariva in una fase recessiva, non sono purtroppo state accolte le richieste di anticipare il rientro in classe almeno a inizio settembre, anche per recuperare in parte il tempo perduto, sia dal punto di vista dei programmi che da quello della socialità, e per riservare eventuali temporanee sospensioni al più critico periodo invernale. 

Anzi, le elezioni regionali del 20 settembre 2020, l’attesa quasi messianica dei nuovi ‘banchi con le rotelle’ ed alcuni allarmi meteo forse sopravvalutati hanno fatto sì che, di fatto, il rientro a scuola si sia verificato tra gli ultimi giorni di settembre e l’inizio di ottobre 2020.

 

Seconda ondata

Con l’avvio, in autunno, della seconda ondata della pandemia, le richieste di chiusura della didattica in presenza sono state da più parti nuovamente avanzate.

Questa volta, tuttavia, il Governo ha opportunamente abbandonato la linea delle decisioni generali, valide per tutto il territorio nazionale, per scegliere quella della ragionevole differenziazione fra diverse aree di rischio.

Così, il DPCM del 3.11.2020 ha adottato un sistema di classificazione del rischio ripartito per territori regionali attraverso un monitoraggio settimanale (descritto all’art. 2 co. 2 e allegato 25, DPCM 3.11.2020) allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del contagio della Covid-19. A ciò hanno fatto seguito il DPCM del 3.12.2020 e il DPCM 14.01.2021 (efficace sino al 05.03.2020), che hanno mantenuto e implementato la differenziazione del territorio in fasce di rischio.

L’individuazione dei livelli di rischio delle Regioni avviene sulla base del monitoraggio dei dati epidemiologici e della resilienza dei servizi sanitari, come descritto dettagliatamente nel documento di “Prevenzione e risposta a COVID-19”, allegato 25 del DPCM 14.01.2021.

Da ultimo, con il D.L. del 5 gennaio 2021, n. 1 e con D.L. del 14 gennaio 2021, n. 2, sono stati rivisti, in modo più restrittivo rispetto a quanto accadeva prima del c.d. Decreto Natale, i parametri utilizzati per l’individuazione degli scenari di rischio epidemiologico per classificare le Regioni.

Il DPCM 14.01.2021 prevede, anche per le scuole, misure di carattere generale che si applicano all’intero territorio nazionale, fatte salve misure aggiuntive di restrizione per le sole Regioni classificate come ‘arancioni’ o ‘rosse’.

 

Norme statali differenziate per fasce di rischio

La differenziazione delle “chiusure” scolastiche in relazione alle diverse fasce di rischio muove dalla ovvia constatazione che queste restrizioni presentano gravi “effetti collaterali” e devono pertanto essere strettamente rapportate al livello di rischio, navigando con proporzionalità e saggezza tra lo scoglio del virus e quello della compromissione dei diritti costituzionali, in particolare dei minori.

Persino per la fascia di rischio più grave (cd. Regioni ‘rosse’), le norme statali prevedono perciò che la scuola resti aperta in presenza fino alla prima classe della scuola secondaria di primo grado compresa. Dalla seconda classe della scuola secondaria di primo grado, l’insegnamento, appunto per la sola fascia di rischio più grave (‘rossa’), è previsto con DDI (Didattica Digitale Integrata).

Per le due fasce di rischio meno gravi (‘gialla’ e ‘arancione’), le norme statali invece non prevedono limiti alla didattica in presenza per le scuole primarie e per le secondarie di primo grado, ma solo (e diversamente per le zone arancioni e per quelle rosse) per le scuole secondarie di secondo grado. Ciò si collega, da un lato, alla minore capacità dei bambini più piccoli di contagiarsi e di contagiare; dall’altro, alla evidente assai minore utilità della Didattica Digitale Integrata per i primi cicli di istruzione. Entrambe queste circostanze verranno documentate nel ricorso.

Come è ovvio, a prescindere dalla fascia di rischio, singole classi o scuole possono essere chiuse in caso di gravi fenomeni di contagio al loro interno.

 

Norme più restrittive emesse da alcune regioni

Diverse regioni hanno ritenuto di aggravare le restrizioni alla scuola in presenza rispetto a quanto previsto, per la propria fascia di rischio, dalle predette norme statali.

Ciò è avvenuto principalmente in tre modi.

Molte Regioni (fra le altre Lombardia e Veneto) hanno ritenuto di prevedere, in alcuni periodi, la DAD al 100% per le superiori nonostante la propria fascia di rischio (gialla o arancione) consentisse una parziale didattica in presenza.

La Campania ha di fatto sospeso l’intero servizio scolastico in presenza per lunghissimi periodi anche in autunno e inverno 2020 (nonché nel gennaio 2021), e ciò persino per le scuole medie e larga parte delle elementari.

Altre Regioni infine – e per prime le Puglie – hanno introdotto una anomala forma di didattica a distanza On Demand, prevedendo pertanto la lezione in classe, con possibilità però per le famiglie di tenere a casa gli studenti, cui doveva essere assicurato, non è chiaro con quale livello di affidabilità tecnica, il collegamento con la classe.

 

3. L’evidenza scientifica in merito al ‘rischio’ scolastico, in entrambe le direzioni

La prevalente letteratura scientifica nazionale e internazionale evidenzia che i minori (soprattutto nella fascia di età fino a dodici anni) si contagiano e contagiano meno rispetto alla popolazione generale e che tutte le scuole – grazie ai rigorosi protocolli utilizzati - non sono ambienti dove il contagio si diffonde in modo significativamente più elevato rispetto a quanto avvenga altrove. Solo a titolo di esempio, si ricordi il rapporto ISS COVID-19 n. 63/2020, “Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di SARS-CoV-2: la situazione in Italia”: le sue conclusioni qualificano le scuole come “ambienti relativamente sicuri, purché si continui ad adottare una serie di precauzioni ormai consolidate quali indossare le mascherine, lavarsi le mani, ventilare le aule, e si ritiene che il loro ruolo nell’accelerare la trasmissione del coronavirus […] sia limitato”.

La stessa letteratura mostra inoltre come i danni derivanti ai ragazzi – e soprattutto ai più piccoli – da periodi molto prolungati di didattica a distanza sono enormi, in termini di apprendimento, possibilità economiche e di carriera per il futuro, socialità ed anche salute (intesa, secondo l’insegnamento di OMS, come complessivo benessere fisico e psichico).  Significative, al riguardo, ad esempio, sono le dichiarazioni pubbliche del Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico del Governo, dr. Miozzo, nelle quali si fanno presenti i danni della chiusura della scuola in presenza, soprattutto per i più piccoli, concludendo: “La DAD fa più danni della presenza ben gestita” e la recentissima presa di posizione del CTS (Comitato Tecnico-Scientifico) del Governo di domenica 17 gennaio 2021 (nella quale il Comitato ha confermato che “esistono tutte le condizioni che consentono il ritorno in classe nelle zone gialle e arancioni”, anche per le superiori).

 

4. Il necessario contemperamento fra diversi diritti costituzionali

Il tema delle scuole riguarda ovviamente il necessario contemperamento fra diversi diritti costituzionali (segnatamente, diritto alla salute e diritto all’istruzione), nonché fra i diversi profili del diritto alla salute, inteso – secondo la definizione dell’OMS – come “stato complessivo di benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia(Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, New York, 1948).

Come sopra ricordato, durante la pandemia sono state decise, tanto a livello nazionale come a livello regionale, svariate limitazioni al servizio scolastico in presenza, in nome della salvaguardia del diritto alla salute, qualificato come “fondamentale” dalla Costituzione.

Sebbene tuttavia il diritto alla salute sia, appunto, un diritto fondamentale, la giurisprudenza ha sempre ricordato che non esiste una rigida gerarchia di valori costituzionali, in quanto tutti concorrono a garantire la formazione e il pieno sviluppo della persona, tutelati dall'articolo 3 Cost.

Anzi, il diritto all’istruzione, sancito dall’articolo 34 Cost., oltre ad appartenere alla stessa categoria dei diritti “sociali” cui appartiene il diritto alla salute, assume un valore altrettanto fondamentale in quanto, come sottolineato anche recentemente dal TAR Calabria (sentenza n. 2075/2020), “permette l’accesso al lavoro su cui la Repubblica è fondata” e soprattutto “è strumento ex art. 3 co. 2 Cost. con cui lo Stato rimuove le disuguaglianze, quegli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

La stessa Corte costituzionale, occupandosi alcuni anni addietro del diritto alla salute nel suo potenziale conflitto con il diritto al lavoro, ha affermato che non esistono “diritti tiranni”: una espressione folgorante che resterà nella nostra storia giuridica. Al contrario, la Corte sostiene, tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”. Ne consegue “un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi”, fermo naturalmente che il bilanciamento deve rispondere a “criteri di proporzionalità e di ragionevolezza” (v. sentenze Corte Cost. n. 85 del 2013, che segue a Corte cost. n. 264 del 2012 n. 63 del 2016).

E pertanto, come recentemente ricordato – con riferimento proprio alle scuole - da  TAR Emilia, decreto 14 gennaio 2021, n. 30, “l’attività amministrativa di adozione di misure fronteggianti situazioni di pur così notevole gravità non può spingersi al punto tale da sacrificare in toto altri interessi costituzionalmente protetti, dovendo l’agire della P.A. svolgersi in un quadro di bilanciamento delle tutele di entrambe le esigenze pubbliche in rilievo, quella sanitaria e quella del diritto all’istruzione”.

 

5. Restrizioni regionali ulteriori rispetto ai dpcm.  Completa anomalia del ‘caso Campania’

Le restrizioni regionali decise in molte regioni per le superiori

Nel quadro del bilanciamento fra diritti costituzionali, punto centrale appare dunque, come si è visto, quello della ragionevolezza delle restrizioni.

Certamente ragionevoli appaiono al riguardo le restrizioni al servizio scolastico in presenza decise dal Governo con i vari DPCM: non solo per il loro contenuto attentamente calibrato, ma anche per la decisiva circostanza che, almeno a partire da inizio novembre 2020, si è trattato di restrizioni diversificate in relazione alle diverse fasce di rischio in cui le singole aree del Paese si sono trovate e si trovano.

Molte restrizioni ‘aggiuntive’ decise da alcune regioni sono invece state considerate dalla giurisprudenza amministrativa eccessive ed eccentriche rispetto al necessario bilanciamento fra diritti costituzionali.

In gran parte delle regioni (ad esempio Lombardia ed Emilia) tali restrizioni ‘aggiuntive’ hanno riguardato soltanto le scuole superiori, per le quali è stata in alcuni periodi stabilita la sospensione totale della didattica in presenza anche in regioni non caratterizzate da rischio alto (regioni non in fascia ‘rossa’). Va notato che, per lo più, queste restrizioni aggiuntive hanno riguardato esclusivamente le scuole, che venivano chiuse oltre quanto deciso dai DPCM, mentre, nello stesso periodo, le regioni spesso insistevano con lo Stato addirittura per una attenuazione della propria fascia di rischio (questo è stato ad esempio il caso veramente paradossale della Lombardia).

Con una serie di decisioni cautelari (per lo più assunte inizialmente tramite decreto presidenziale) i TAR hanno affermato l’irragionevolezza di gran parte di queste ordinanze regionali.

Secondo i Tribunali amministrativi, le motivazioni addotte dalle diverse Regioni nei provvedimenti sulle scuole che hanno aggravato le restrizioni statali – motivazioni che per lo più richiamavano genericamente il possibile contributo della scuola al diffondersi del contagio – non hanno assolto il dovere (su cui insiste particolarmente Cons. Stato, sez. III, 11 gennaio 2021, Decreto n. 18)  di motivare misure così restrittive “per gli alunni più giovani … con dati scientifici evidenzianti il collegamento fra focolai attivi sul territorio e impatto dell’attività scolastica in presenza”.  Del resto, prosegue il Consiglio di Stato, la valutazione circa il livello di “chiusure” scolastiche ragionevoli per ciascuna fascia di rischio era già stata compiuta dallo Stato, e nemmeno “le problematiche relative al trasporto (movimentazione di persone)” - che sarebbero comunque “risolvibili con diligente ed efficace impegno nei servizi interessati” – “possono giustificare la compressione grave di diritti costituzionalmente tutelati”.

Conseguentemente, ad esempio, TAR Emilia, decreto 14 gennaio 2021, n. 30, nel sospendere la decisione regionale di chiusura della didattica in presenza per le superiori, ha ricordato che essa giungeva a “comprimere in maniera eccessiva (se non a conculcare integralmente) il diritto degli adolescenti a frequentare di persona la scuola quale luogo di istruzione e apprendimento culturale nonché di socializzazione, formazione e sviluppo della personalità dei discenti, condizioni di benessere che non appaiono adeguatamente assicurate con la modalità in DAD a mezzo dell’utilizzo di strumenti tecnici costituiti da videoterminali (di cui peraltro verosimilmente non tutta la popolazione scolastica interessata è dotata)”.

Decisioni simili sono state emanate dai TAR di altre regioni. Particolarmente interessante la motivazione di TAR Lombardia, decreto n. 32 del 13 gennaio 2021, che rileva la evidente contraddittorietà dell’ordinanza regionale di chiusura. Tale ordinanza, infatti, non motivava affatto circa una presunta pericolosità dell’attività interna alla scuola, ma faceva esclusivamente cenno al rischio di “assembramenti” al di fuori di essa. Ora, rileva il TAR, non ha alcun senso, “per contenere gli assembramenti”, adottare “misure incidenti sulla didattica in presenza”, soprattutto considerato che “il provvedimento regionale non tiene neppure conto dei piani” puntualmente predisposti dalle Prefetture “per consentire la progressiva ripresa in sicurezza della didattica frontale proprio in relazione agli spostamenti ad essa correlati”.

 

In Campania una anomalia assoluta in Europa: anche le scuole per i più piccoli chiuse ininterrottamente da marzo 2020 a gennaio 2021

Nel contesto in esame, il caso sicuramente più eclatante ha tuttavia riguardato Regione Campania.

Tale Regione, che pure è entrata solo per un breve periodo nella fascia di rischio più elevata (‘rossa’) ed è invece per lo più rimasta in fascia ‘gialla’ o ‘arancione’, ha nondimeno ritenuto di applicare continuativamente per le scuole primarie e secondarie di primo grado misure molto più restrittive di quelle invece previste dai DPCM persino per le Regioni ‘rosse’.

Segnatamente, in Campania, per i bambini delle ultime classi della scuola primaria e di tutte le classi della scuola secondaria di primo grado, l’attività didattica si è svolta ininterrottamente solo a distanza dall’inizio di marzo 2020 alla fine di gennaio 2021 (salvo una breve ‘pausa’ in presenza, di una decina di giorni, ad ottobre 2020).

Questo atteggiamento di paradossale rigore ha riguardato pressoché esclusivamente le scuole (comprese, come si è detto, quelle per i bambini più piccoli).  Non risulta infatti che Regione Campania abbia mai contestato il fatto di essere inclusa fra le Regioni a rischio basso o medio né che abbia applicato, per la gran parte delle attività diverse da quella scolastica (bar, ristoranti, attività economiche anche non essenziali), restrizioni superiori a quelle previste per il proprio livello di rischio. Solo per la scuola sono state applicate, unilateralmente, restrizioni addirittura più limitative rispetto a quelle previste dal Governo per le Regioni ‘rosse’. Questo livello di chiusura del servizio scolastico in presenza – persino per i bambini più piccoli - è stato, durante la pandemia, un caso unico non solo in Italia ma anche in tutta Europa.

Ciò ha evidentemente comportato una flagrante violazione, in primo luogo, del diritto all’istruzione, sancito dall’art. 34 della Costituzione.  In Campania, per un periodo di undici mesi (marzo 2020-gennaio 2021) la scuola non è stata “aperta a tutti”, anzi è rimasta chiusa proprio per chi ne avrebbe avuto maggiore necessità.

Né l’istruzione inferiore può essere stata impartita con regolarità a distanza, essendo inimmaginabile che attraverso mezzi digitali si possa assolvere al dovere costituzionale in questione per bambini così piccoli. Mentre va osservato che, anche fuori dai territori ad alto rischio di dispersione, si sta verificando una sorta di “dispersione oraria”, con i ragazzi, soprattutto i più piccoli, che riescono a frequentare virtualmente solo per una piccola parte delle ore. Infine, bambini campani “capaci e meritevoli” vedono pregiudicato il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. È evidente infatti che, nel confronto e competizione con ragazzi di altre Regioni o Paesi europei, i minori in questione risentiranno di questa prolungatissima compressione dell’istruzione in presenza, operata esclusivamente in Campania.

Del resto, la Corte Costituzionale ha da tempo sottolineato come sia fondamentale “la concreta, … messa a disposizione degli ambienti scolastici, del corpo insegnante e di tutto ciò che direttamente inerisce a tali elementi organizzativi” (cfr. Corte Cost. 4.2.1967, n. 7). Proprio ciò che le ordinanze della Campania hanno “smontato” in modo deliberato, irrazionale e persino aggressivo, con evidenti conseguenze, oltre che sull’apprendimento, sulla stessa salute dei bambini campani, nella sua accezione di complessivo benessere psico-fisico. Appare infine evidente che non è stata seguita la giurisprudenza costituzionale in merito al necessario bilanciamento fra i diversi diritti e valori costituzionali.

Comprensibilmente pertanto il TAR Campania, Decreto n. 142 del 20 gennaio 2021 ha senz’altro sospeso l’efficacia delle ordinanze regionali che, per le scuole medie e le ultime classi delle elementari, ancora impedivano ogni attività didattica in presenza. Il TAR ha al riguardo sottolineato che:

  • La valutazione delle misure necessarie per le diverse fasce di rischio è già stata operata a livello nazionale con i DPCM, “e tale valutazione non sembra sia stata contestata dalla Regione Campania” (in effetti tale Regione non ha mai formalmente contestato, per quanto noto, né i criteri per l’attribuzione del ‘colore’ alle regioni, né la mancata attribuzione ad essa, per la maggior parte del periodo, di un ‘colore’ diverso dal rosso);
  • Regione Campania non aveva dimostrato né la significativa idoneità né la proporzionalità della misura di chiusura della scuola in presenza per bambini così piccoli, rispetto all’obiettivo di riduzione del contagio;
  • Non risultavano implementati dalla regione i piani di incremento del servizio pubblico di trasporto, aspetto questo peraltro scarsamente incidente per le scuole elementari e medie (come era già stato affermato da TAR Calabria, decreto n. 2/2021, espressamente citato).

 

Potevano le regioni, in linea di principio, appesantire le misure sulle scuole decise dai DPCM?

Non potrebbe a mio avviso sostenersi che le Regioni abbiano fatto legittimamente uso della disposizione di cui all’art. 1, comma 16, D.L. n. 33/2020 conv. in L. 74/2020 e ss.mm.ii., sostenendo che essa consenta alle Regioni di ‘appesantire’ le restrizioni decise a livello nazionale. Ed infatti: 

  • in primo luogo, detta norma consente alle regioni di introdurre misure derogatorie restrittive solo “nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 2 D.L. n. 19 del 2020”, laddove invece le ordinanze regionali sono state emanate anche successivamente al DPCM del 3.11.2020 e non “nelle more”;
  • la facoltà qui attribuita alle Regioni di approvare disposizioni derogatorie è doppiamente ‘eccezionale’. È eccezionale, in primo luogo, in quanto le Regioni vengono autorizzate a derogare a norme statali in materia di istruzione, materia peraltro le cui “norme generali” sono riservate allo Stato (art. 117 della Costituzione). Ed è eccezionale anche perché si tratta di deroghe che incidono su diritti costituzionali;
  • nessun rilievo contro quanto sopra sostenuto potrebbe avere l’ordinanza della Corte costituzionale n. 4 del 14 gennaio 2021, nella parte in cui (sia pure con un giudizio provvisorio) sembra ammettere “diversificazioni regionali” in merito alle misure adottate in relazione alla pandemia, posto che tali diversificazioni vengono considerate ammissibili solonel quadro di una leale collaborazione”, che non pare esserci stata per le ordinanze regionali più restrittive rispetto al contenuto dei DPCM;
  • una interpretazione costituzionalmente orientata della norma che consente alle regioni alcune deroghe rispetto ai DPCM dovrebbe escludere che essa possa venire invocata per le scuole, e ancor meno esclusivamente per le scuole (mentre nel caso si considerasse tale interpretazione non consentita dalla lettera della disposizione, si porrebbe il problema della sua costituzionalità).

Nell’ordine di idee sopra sostenuto, TAR Calabria, Decreto 8 gennaio 2021 n. 23, nel sospendere l’efficacia dell’ordinanza regionale più restrittiva rispetto ai DPCM, ha ricordato che l’intervento statale, tanto più se mediante adozione di norme giuridiche di rango primario, volto a fronteggiare l’epidemia in atto, deve ritenersi caratterizzato da un previo bilanciamento e ricomposizione a livello nazionale dei vari interessi coinvolti e cioè quello alla salute, all’istruzione e quello allo svolgimento della personalità dei minori e degli adolescenti in un contesto di socialità che peraltro … non vede la scuola come luogo al cui interno esista un forte rischio di contagio”.

Ancor più esplicitamente, TAR Lombardia 13 gennaio 2021 Decreto Presidenziale n. 32 si è espresso nei seguenti testuali termini: “La competenza regionale sussiste solo nelle more dell’adozione dei DPCM di cui all’art. 2 del D.L. n. 19/2020”, mentre nei periodi di vigenza dei DPCM “non c’è spazio per una competenza regionale diretta ad introdurre misure più restrittive, perché i già richiamati d.l. n. 19/2020 e n. 33/2020 delimitano temporalmente tale competenza, escludendola una volta entrati in vigore i DPCM previsti dai medesimi d.l..”.

Né eventuali ordinanze restrittive rispetto ai DPCM – valide in tutto il territorio regionale – potrebbero giustificarsi in quanto ordinanze contingibili ed urgenti, anche ai sensi dell’art. 32, comma 3, L. n. 833/1978 in materia di igiene e sanità pubblica. Come infatti ricordato da TAR Lombardia, decreto 14 gennaio 2021 n. 61, “Il richiamo all’art. 32 della legge 833 del 1978 non può valere a legittimare il potere esercitato, in quanto la specifica situazione emergenziale che ha motivato l’intervento regionale trova completa disciplina nella sopravvenuta e speciale normativa di rango primario” relativa alla Covid-19, la quale ha “circoscritto e conformato il relativo potere regionale”.

Del resto, come osservato da Tar Campania, decreto 28 gennaio 2021 n. 345, il “modello astrattamente consentito di ordinanza emergenziale imponente misure restrittive” si giustifica “solo sulla base di situazioni sopravvenute, impreviste e imprevedibili, previa verifica della oggettiva loro idoneità e nella sola misura strettamente necessaria a scongiurare o eliminare il paventato pregiudizio”.

 

6. La difficile tutela cautelare verso provvedimenti di brevissima durata e continuamente reiterati

Alcune caratteristiche dei provvedimenti regionali che hanno derogato ai DPCM sono state tali da rendere particolarmente problematico ottenere dalla giurisprudenza amministrativa una tutela cautelare efficace.

Nella maggior parte dei casi, infatti, si trattava di ordinanze regionali di brevissima durata (due settimane o anche una sola), che venivano continuamente reiterate il giorno stesso della scadenza. Pertanto, anche in caso di presentazione di ricorso al TAR, la camera di consiglio per la decisione cautelare giungeva di fatto ad ordinanza scaduta. Ne derivavano problemi di sopravvenuta carenza di interesse e la necessità di presentare motivi aggiunti, con le inevitabili conseguenze in termini di costi e di inevitabile continuo differimento della camera di consiglio.

Per superare questa problematica, potenzialmente idonea a vanificare del tutto l’efficacia della tutela cautelare, i TAR sono intervenuti in due direzioni. Da un lato, in molti casi la sospensione dell’efficacia delle ordinanze regionali è stata decisa con decreto presidenziale (per lo più dopo un minimo contraddittorio scritto, realizzato attraverso la richiesta alla regione di presentare nuovi documenti in tempi brevissimi). D’altro lato, alcuni decreti e/o ordinanze dei TAR hanno avuto un contenuto in parte ‘conformativo’, non limitandosi pertanto a sospendere l’efficacia di un provvedimento regionale, ma anche contenendo criteri vincolanti per l’eventuale emanazione di provvedimenti futuri.

Particolarmente interessante, dal punto di vista cautelare e della effettività della tutela, è TAR Campania 28 gennaio 2021, decreto n. 345, in questi testuali termini: “La perdurante sospensione delle attività didattiche in presenza, saldandosi alle precedenti sospensioni, e dunque solo formalmente ‘temporanea’, anche in ragione della limitata vigenza temporale del provvedimento da ultimo impugnato” è “suscettibile di determinare un pregiudizio non riparabile nelle more della trattazione collegiale dell’istanza cautelare” e richiede pertanto necessariamente un decreto presidenziale.

 

7. Conclusioni

Dall’analisi svolta emerge la complessità del bilanciamento fra il diritto alla salute e il diritto alla istruzione durante la pandemia.

L’enorme e più che giustificata preoccupazione per il contagio – che solo i vaccini riusciranno a contenere definitivamente – ha spinto le autorità, in tutto il mondo, a prevedere alcune restrizioni anche per il servizio scolastico in presenza.

In gran parte dei Paesi diversi dall’Italia, si è trattato di restrizioni temporanee e prevalentemente riguardanti i ragazzi più grandi (per i quali la didattica a distanza può avere una buona efficacia e il contagio si diffonde maggiormente rispetto a quanto avviene per i più piccoli).

Le norme statali contenute nei vari DPCM si sono mosse in direzione simile e pienamente ragionevole. Le varie regioni sono state infatti suddivise in diverse fasce di rischio e il Governo ha stabilito – oltre a giusti e rigorosi protocolli di sicurezza per studenti e personale – restrizioni della scuola in presenza differenziate e ben calibrate per ciascuna fascia.

Molte regioni, nonostante questo, hanno ritenuto di ulteriormente appesantire le restrizioni decise dal Governo. Ciò è avvenuto in probabile violazione dei limiti di intervento concessi alle regioni e per lo più in modo non adeguatamente motivato, irragionevole e contraddittorio: anche perché restrizioni aggiuntive sono state disposte solo per le scuole, mentre per il resto le regioni in alcuni casi addirittura chiedevano, nello stesso periodo, l’alleggerimento dei vincoli decisi a livello statale.

In questo quadro, del tutto abnorme appare il caso della regione Campania, che ha sospeso del tutto, per quasi un anno, il servizio scolastico in presenza anche per le scuole medie e le ultime classi delle elementari: un caso unico in Italia, in Europa e probabilmente nel mondo intero.

Come abbiamo visto, la giurisprudenza amministrativa è intervenuta con efficacia, in sede cautelare, per ricostruire il necessario equilibrio fra i diversi valori e principi costituzionali, riuscendo anche ad ovviare alle difficoltà poste dalla continua reiterazione di ordinanze regionali di brevissima durata.