Diritto di copia dei supporti delle registrazioni: secondo la Cassazione penale vale solo per chi può permettersi la spesa
1. La decisione
Suona così la massima tratta dalla recente sentenza n. 16677/2021 della terza sezione penale della Corte di cassazione: “non viola il diritto di difesa, né integra alcuna sanzione processuale il solo fatto che l’imputato non possa sostenere le spese per ottenere la copia dei supporti magnetici delle registrazioni effettuate, ritualmente messi a disposizione dal pubblico ministero, rimanendo a carico della difesa, cui è pienamente garantito il diritto all’ascolto, ai sensi dell’articolo 268, comma 6, cod. proc. pen., l’onere di munirsi del necessario materiale tecnico su cui trasfondere il contenuto dei file, secondo la regola generale, di cui all’articolo 116, comma 1, cod. proc. pen., in materia di copie di atti processuali”.
Nel giudizio di primo grado la difesa del ricorrente aveva eccepito che la richiesta di rinvio a giudizio era viziata per l’impossibilità dell’interessato di consultare gli atti del procedimento penale. Gli era stata infatti impedita l’acquisizione dei 186 supporti informatici contenenti le intercettazioni telefoniche e tra presenti per via dell’esorbitante importo richiesto, calcolato in € 59.000, di cui non aveva la disponibilità.
Il giudice di primo grado aveva rigettato l’eccezione.
La difesa aveva impugnato sia l’ordinanza di rigetto che la sentenza ma la Corte di appello aveva respinto il suo gravame.
In sede di legittimità la difesa ha dedotto al riguardo il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), 24 e 111 Cost., 178, comma 1, 180 e 416, comma 1, cod. proc. pen.
Il collegio decidente ha ritenuto infondato il motivo.
Si afferma in motivazione che “nel momento in cui il Pubblico ministero ha messo a disposizione della difesa i suddetti supporti magnetici o informatici, ha adempiuto al proprio obbligo, rimanendo a carico del difensore l'onere di munirsi del necessario materiale tecnico su cui trasfondere il contenuto degli stessi (Sez. VI, n. 53425/2014)”.
Si aggiunge conclusivamente che “nessuna sanzione processuale può essere invocata per il semplice fatto che l'imputato non è in grado di sostenere economicamente le spese per ottenere le copie dei supporti magnetici, messi a disposizione, in cui sono riversati i filmati utilizzabili a supporto della domanda cautelare […] infatti, il diritto di accesso alle registrazioni utilizzate per l'adozione di una misura cautelare, si esercita attraverso la possibilità di ottenere copia dei files, essendo funzionale a operare il confronto di attendibilità tra quanto riportato dai brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria e quanto effettivamente contenuto nelle registrazioni (ex multis, Sez. VI, n. 43654/2011; Id. n. 41362/2013; Sez. II, n. 35692/2013) […] Peraltro, è incontestabile che le spese per il rilascio delle copie delle registrazioni su supporti informatici debbano essere poste a carico della parte che vi abbia interesse ad ottenerle, in considerazione della previsione dell'articolo 116 c.p.p., comma 1, come da tempo affermato da questa Corte in materia di regole generali disciplinanti la facoltà di ottenere copie degli atti processuali”.
2. Il commento
La sentenza di cui si parla rappresenta come meglio non si potrebbe una tra le più diffuse visioni della giurisprudenza di legittimità.
Le decisioni che ne sono espressione condividono alcune precise caratteristiche identitarie: richiamano pronunce precedenti cui assegnano il valore di dati di fatto immodificabili dei quali non serve verificare la tenuta; si esauriscono nell’esame della questione specifica senza nessuna propensione sistematica e nessuna attenzione agli effetti provocati nella sfera del ricorrente; non sono interessate al confronto con i principi costituzionali e convenzionali che potrebbero avere influenza sulla questione da decidere; non vanno mai oltre l’angusto reticolato delle norme di più immediata applicazione e ancor meno prendono in considerazione possibili influssi esterni.
Ognuna di queste caratteristiche è ben presente nella sentenza commentata.
La questione posta dal ricorrente era assai semplice ma tutt’altro che banale: il suo indiscutibile diritto di avere conoscenza delle registrazioni depositate dal PM era stato vanificato dall’importo esorbitante richiesto per i diritti di copia.
La risposta della Corte di cassazione è stata altrettanto semplice ma di singolare minimalismo: le copie spettano solo a chi può pagarle.
L’estensore cita perfino senza battere ciglio l’opinione del giudice di primo grado, condivisa da quello di secondo grado, ai quali “è apparsa del tutto infondata la pretesa della difesa dell'imputato P. di acquisire in copia i supporti informatici, contenenti la totalità delle intercettazioni eseguite nel corso delle indagini, così come la doglianza relativa all'eccessivo costo di tale operazione, essendo tale materiale visionabile ed ascoltabile presso gli uffici della Procura”.
Considerazioni che pare di poter tradurre così: non bisogna chiedere la luna, ci si accontenti di acquistare solo i supporti alla portata delle proprie tasche; non c’è comunque alcun danno dal momento che il difensore ha il permesso di guardare e ascoltare il materiale depositato in Procura e, in ipotesi, anche di bivaccare nei suoi uffici se ci volessero settimane o mesi per controllare tutte le registrazioni.
Altrettanto minimalista è la giustificazione della risposta: è la legge (articolo 116, comma 1, c.p.p.) a imporre il pagamento delle copie; è la stessa legge a non prevedere alcuna sanzione processuale a tutela di chi non può permettersi quel pagamento.
Così è se ci pare.
Eppure non mancavano gli alert.
Nei prossimi paragrafi ci si soffermerà su alcuni di essi.
2.1 ll diritto di accesso alla giustizia secondo la CEDU e la CDFUE
Si ricorderà che la difesa ha lamentato la violazione di legge, in direzione tra l’altro di due norme sovranazionali: l’articolo 6 CEDU e l’articolo 48 (ma sarebbe stato pertinente anche l’articolo 47) CDFUE.
Questa prospettazione difensiva non ha avuto fortuna e non è stata considerata nemmeno degna di essere specificamente confutata.
A Strasburgo però la si pensa assai diversamente.
Merita di essere ricordato preliminarmente che “In forza del diritto sia del CDE sia dell’UE il diritto di agire in giudizio (derivante dal diritto ad un’equa e pubblica udienza) dovrebbe essere effettivo per tutte le persone, indipendentemente dalle loro risorse finanziarie. Questo richiede che gli Stati adottino misure per garantire la parità di accesso ai procedimenti”.[1]
Conta pure ricordare che in questa visione il patrocinio a spese dello Stato è lo strumento più coerente per assicurare l’universalità dell’accesso alla giustizia ma potrebbe non essere sufficiente quando il diritto di accesso di un individuo sia condizionato da costi non sopportabili neanche da chi disponga di risorse superiori al limite entro il quale godrebbe del gratuito patrocinio.[2]
In effetti, gli Stati non sono obbligati a cercare di garantire, attraverso fondi pubblici, la totale condizione di reciprocità tra la persona assistita e la parte avversa ma “a condizione che a ciascuna parte sia accordata una ragionevole possibilità di presentare la propria causa, in condizioni che non la mettano in situazione di netto svantaggio rispetto alla parte avversa”[3] perché una condizione di squilibrio accentuato violerebbe il principio cardine della “parità delle armi”.
Ed ancora, l’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), CEDU e l’articolo 48, paragrafo 2, CDFUE garantiscono espressamente il diritto all’assistenza legale in materia penale.
L’effettività di tale diritto comporta l’accesso al fascicolo del procedimento[4] poiché la conoscenza integrale dei documenti che ne fanno parte è una pre-condizione per l’esercizio di una difesa consapevole.
Il diritto europeo riserva poi una specifica attenzione alle spese procedimentali. Se queste sono troppo elevate, ne può derivare un ostacolo insuperabile all’accesso alla giustizia.[5]
Merita infine una particolare sottolineatura il principio, dovuto come i precedenti alla giurisprudenza della Corte EDU, secondo il quale l’accesso alla giustizia può essere pregiudicato anche da interpretazioni troppo restrittive di norme procedurali che ricorrono quando il giudice non cerca un equilibrio adeguato tra dati di fatto e diritti fondamentali dei ricorrenti e non si serve delle “prassi autoriflessive” che potrebbero aiutare i tribunali ad evitare pratiche che neghino quei diritti.[6]
2.2 Il punto di vista del giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 4408/2015)
Alcune parti offese del procedimento penale conseguente al naufragio della nave Costa Concordia avevano chiesto la copia del materiale audiovisivo acquisito in istruttoria e riversato in 14 DVD e 76 Blue Ray.
Era stato loro chiesto il versamento di € 25.000 per diritti di copia. La somma era stata calcolata applicando a quel tipo di supporti digitali il tariffario previsto per i CD dall’articolo 269 del Testo unico delle spese di giustizia (TUSG) e dal suo allegato 8.
Gli interessati, e insieme ad essi il CODACONS, si sono rivolti al TAR Lazio chiedendo l’annullamento dell’atto di liquidazione dei diritti di copia, ritenendo abnorme l’importo richiesto.
L’amministrazione della giustizia si è costituita obiettando che la liquidazione è avvenuta nel rispetto della normativa vigente e che, avendo la stessa preso in considerazione solo i CD e non essendo stato ancora emanato il regolamento attuativo previsto dall’articolo 40 TUSG), era corretto applicare anche ad altre tipologie di supporto digitale la medesima tariffa prevista per i medesimi CD.
Il TAR adito ha accolto il ricorso ritenendo che “in attesa del regolamento previsto dal citato articolo 40, gli Uffici giudiziari possano chiedere, ai fini della copia della documentazione utile alla difesa, mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti informatici e telematici diversi da floppy e CD (secondo la scelta del supporto su cui riversare i dati da parte del richiedente, e non secondo la scelta dell’Amministrazione circa le loro modalità di archiviazione), esclusivamente e per una sola volta l’importo forfetario di Euro 295,16[7]”.
L’amministrazione convenuta ha impugnato la decisione deducendo molteplici vizi.
Il Consiglio di Stato ha confermato integralmente la decisione di primo grado e le sue ragioni giustificative.
Ha osservato, riportando adesivamente le argomentazioni del TAR, che: “i “costi” del servizio di copia e certificazione dei dati utili alla difesa in giudizio non possono certamente essere riferiti alla insindacabile scelta dell’Amministrazione giudiziaria circa il tipo ed il numero di supporti da utilizzare […] il “costo” non può neppure essere parametrato al numero degli accessi effettuati o alla quantità dei dati effettivamente estratti (fattori, come si è detto, tendenzialmente irrilevanti nella quantificazione del costo), mentre costituisce certamente un “costo” l’approntamento ed il presidio delle strumentazioni informatiche e telematiche (hardware e software) necessarie per garantire l’attuazione delle norme di legge sul nuovo processo telematico, ma anche sia per consentire lo svolgimento del “servizio” in favore degli utenti del servizio giustizia che si avvalgono di tale possibilità, costo che il medesimo T.U. approvato con DPR n. 115 del 2002, sulle spese di giustizia già quantifica, sia pure con riferimento al solo strumento all’epoca utilizzabile, cioè il CD, che al contrario dei nuovi supporti aveva una capacità limitata e richiedeva uno specifico intervento meccanico (e quindi un costo) ai fini della duplicazione di ciascun supporto, in Euro 295,16 […] Secondo l’amministrazione appellante, invece, alla luce della legislazione vigente, sarebbe il criterio di “capienza” ad essere discretivo e non quello di “costo”. Da ciò discenderebbe che a maggior capacità di memorizzazione del supporto dovrebbe corrispondere un maggior prelievo economico.
L’assunto non è condivisibile. È l’articolo 40 a disciplinare l’attività di necessario adeguamento legislativo del diritto di copia (anche) all’evoluzione dei mezzi tecnologici, e ciò fa mantenendo fermo il riferimento al paramento dei “costi del servizio e dei costi per l’incasso dei diritti”. Dunque, dinanzi ad una lacuna determinata dal mancato allineamento tra norma e tecnologia di comune diffusione, ed escluso che possa vietarsene od anche semplicemente disincentivarne l’utilizzo, occorre fare ricorso all’analogia utilizzando – come correttamente sostenuto dal primo giudice – il criterio guida del “costo”. Ed è noto che il costo di un’operazione di trasferimento dati su supporto informatico, grazie all’evoluzione tecnologica, tende, in generale, sempre più ad abbassarsi sino a diventare irrisorio o addirittura nullo nel caso in cui i dati siano accessibili e scaricabili da remoto dallo stesso utente. E così è anche per l’archiviazione dei dati essendo gli stessi ormai provenienti da fonti digitali (non occorre cioè la previa digitalizzazione di fonti cartacee)”.
Resta solo da dire che l’indirizzo adottato dal Consiglio è stato recepito dalla prima sezione del TAR di Reggio Calabria nella sentenza n. 195/2016.
3. Considerazioni di chiusura
Non sembra azzardato ipotizzare che se il giudice di legittimità avesse tenuto in considerazione gli elementi segnalati nei paragrafi precedenti avrebbe avuto la possibilità di allargare la sua riflessione e magari adottare una decisione differente e tale da valorizzare il precetto costituzionale dell’inviolabilità del diritto di difesa.
Così non è stato e quel giudice non si è concesso alcuna “prassi autoriflessiva”.
il risultato è che il decisore di ultima istanza indebolisce lo statuto garantistico posto a protezione dell’accusato in sede penale e contribuisce ad accentuare una vistosa e immotivata disparità tra chi ha le risorse finanziarie sufficienti ad affrontare i costi della giustizia e chi non le ha. La povertà diventa un vizio.
Di nuovo, cosi è se ci pare.
[1] Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali e Consiglio d’Europa, Manuale di diritto europeo in materia di accesso alla giustizia, edizione del 2016, pag. 63, reperibile a questo link.
[2] Corte EDU, Glaser c. Regno Unito, n. 32346/96, 19 settembre 2000, punto 99; Corte EDU, Santambrogio c. Italia, n. 61945/00, 21 settembre 2004, punto 58.
[3] Corte EDU, Steel e Morris c. Regno Unito, n. 68416/01, 15 febbraio 2005, punto 62.
[4] Corte EDU, Dayanan c. Turchia, n. 7377/03, 13 ottobre 2009.
[5] Corte EDU, Perdigao c. Portogallo, n. 24768/06, 16 novembre 2010, punto 74. Cfr. anche Nazioni Unite (ONU), Comitato sui Diritti Umani (HRC) (2008), comunicazione n. 1514/2006, Casanovas c. Francia, 28 ottobre 2008, punto 11.3 e Corte EDU, Kijewska c. Polonia, n. 73002/01, 6 settembre 2007, punto 47 (in quest’ultima pronuncia la Corte EDU ha ritenuto sproporzionate spese processuali ammontanti a circa quattro volte il reddito mensile del ricorrente).
[6] Corte EDU, Rodrigues Da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, n. 50435/99, 31 gennaio 2006, punto 44.
[7] Era l’importo previsto all’epoca per ogni CD contenente copie di atti. L’importo attuale è di € 320,48.