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Email - Cassazione Penale: accesso abusivo a casella di posta elettronica ad opera di superiore gerarchico

La Cassazione conferma che l’accesso abusivo a casella di posta elettronica può configurare la fattispecie prevista e punita dall’articolo 615 del codice penale. Di rilievo nella pronuncia, la questione dell’applicabilità dell’articolo in questione nel caso di un rapporto gerarchico tra superiore e dipendente, che viene affrontata nell’ultima parte del contributo.

1. L’articolo 615 ter del Codice Penale nel caso di specie

È un principio consolidato quello secondo il quale il diritto si evolve con lo sviluppo dei costumi e della società. Negli ultimi tempi sono molte le evoluzioni della nostra società soprattutto in tema di economia e di informatica e quindi il diritto deve cercare di essere al passo con i tempi. Particolarmente importanti e al tempo stesso problematici sono i crimini informatici.

Il nostro Codice Penale all’articolo 615 ter sanziona l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, prevedendo una reclusione fino a tre anni per chi viola la prescrizione di legge. Intorno al concetto di sistema telematico o informatico molto si è discusso.

Con una recente pronuncia la Suprema Corte si è soffermata sull’accesso abusivo ad una casella di posta elettronica e sull’articolo 615 ter del Codice Penale.

Nel caso di specie, l’imputato (abusando della propria posizione di responsabile dell’ufficio e approfittando della assenza del titolare dell’account era entrato abusivamente nella casella di posta elettronica, visionando alcuni documenti) era stato condannato con la sentenza d’appello a mesi sei di reclusione oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita e aveva deciso di proporre ricorso in Cassazione.

2. Il ragionamento della Suprema Corte in tema di accesso abusivo alla casella di posta elettronica

I giudici di Piazza Cavour affermano che la casella di posta elettronica costituisce senza dubbio un sistema informatico rilevante ai sensi dell’articolo 615 ter del Codice Penale.

Infatti, il legislatore con la disposizione in questione ha voluto accordare forme di tutela della privacy strettamente connesse con lo sviluppo della scienza tecnologica. Secondo la Corte di Cassazione questo ragionamento è confermato anche dalla previsione della Convenzione di Budapest in tema di reati informatici.

Vi è di più: il fatto che tale spazio di memoria sia protetto da una password implica una protezione di tale casella. Pertanto ogni accesso improprio o abusivo concreta l’elemento materiale del reato di cui all’articolo 615 ter del Codice Penale.

La difesa del ricorrente nel caso di specie ha voluto equiparare la casella di posta elettronica alla classica cassetta della posta: tale equiparazione non viene accolta dalla Suprema Corte in quanto la cassetta della posta non è destinata a custodire informazioni e rappresenta solo un mero contenitore fisico della posta.

Nel caso di specie inoltre si trattava di un sistema informatico pubblico (utilizzato da una Pubblica Amministrazione).

In tal caso, sostiene la Corte di Cassazione: “Allorché in un sistema informatico pubblico siano attivate caselle di posta elettronica – protette da password personalizzate – a nome di uno specifico dipendente, quelle caselle rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente, sicché l’accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all’articolo 615/ter del Codice Penale”.

Con questo passaggio pertanto la Cassazione chiarisce la prevalenza del diritto alla riservatezza del dipendente anche rispetto al superiore gerarchico.

3. L’applicabilità dell’articolo 615 ter del codice penale nel rapporto gerarchico tra superiore e dipendente

La sentenza di appello tiene conto anche dell’aggravante dell’abuso di poteri.

Infatti: “L’aggravante di aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio non presuppone necessariamente che il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, né l’attualità dell’esercizio della funzione o del servizio, ma è configurabile anche quando il pubblico ufficiale abbia agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni, essendo sufficiente che la sua qualità abbia reso possibile o comunque facilitato la commissione del reato.”.

Nel caso di specie il superiore gerarchico aveva utilizzato una password generale e in virtù del proprio ruolo di sovraordinazione aveva allontanato il dipendente per poter accedere alla casella. Tali fatti, secondo la Cassazione, non sono presupposti del fatto ma elementi che hanno reso possibile la condotta prevista e punita dall’articolo 615 ter del Codice Penale.

La Suprema Corte inoltre ritiene che il motivo di ricorso sul difetto di motivazione sia fondato su motivi generici e quindi non specifici e pertanto dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 31 marzo 2016, n. 13057)

La Cassazione conferma che l’accesso abusivo a casella di posta elettronica può configurare la fattispecie prevista e punita dall’articolo 615 del codice penale. Di rilievo nella pronuncia, la questione dell’applicabilità dell’articolo in questione nel caso di un rapporto gerarchico tra superiore e dipendente, che viene affrontata nell’ultima parte del contributo.

1. L’articolo 615 ter del Codice Penale nel caso di specie

È un principio consolidato quello secondo il quale il diritto si evolve con lo sviluppo dei costumi e della società. Negli ultimi tempi sono molte le evoluzioni della nostra società soprattutto in tema di economia e di informatica e quindi il diritto deve cercare di essere al passo con i tempi. Particolarmente importanti e al tempo stesso problematici sono i crimini informatici.

Il nostro Codice Penale all’articolo 615 ter sanziona l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, prevedendo una reclusione fino a tre anni per chi viola la prescrizione di legge. Intorno al concetto di sistema telematico o informatico molto si è discusso.

Con una recente pronuncia la Suprema Corte si è soffermata sull’accesso abusivo ad una casella di posta elettronica e sull’articolo 615 ter del Codice Penale.

Nel caso di specie, l’imputato (abusando della propria posizione di responsabile dell’ufficio e approfittando della assenza del titolare dell’account era entrato abusivamente nella casella di posta elettronica, visionando alcuni documenti) era stato condannato con la sentenza d’appello a mesi sei di reclusione oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita e aveva deciso di proporre ricorso in Cassazione.

2. Il ragionamento della Suprema Corte in tema di accesso abusivo alla casella di posta elettronica

I giudici di Piazza Cavour affermano che la casella di posta elettronica costituisce senza dubbio un sistema informatico rilevante ai sensi dell’articolo 615 ter del Codice Penale.

Infatti, il legislatore con la disposizione in questione ha voluto accordare forme di tutela della privacy strettamente connesse con lo sviluppo della scienza tecnologica. Secondo la Corte di Cassazione questo ragionamento è confermato anche dalla previsione della Convenzione di Budapest in tema di reati informatici.

Vi è di più: il fatto che tale spazio di memoria sia protetto da una password implica una protezione di tale casella. Pertanto ogni accesso improprio o abusivo concreta l’elemento materiale del reato di cui all’articolo 615 ter del Codice Penale.

La difesa del ricorrente nel caso di specie ha voluto equiparare la casella di posta elettronica alla classica cassetta della posta: tale equiparazione non viene accolta dalla Suprema Corte in quanto la cassetta della posta non è destinata a custodire informazioni e rappresenta solo un mero contenitore fisico della posta.

Nel caso di specie inoltre si trattava di un sistema informatico pubblico (utilizzato da una Pubblica Amministrazione).

In tal caso, sostiene la Corte di Cassazione: “Allorché in un sistema informatico pubblico siano attivate caselle di posta elettronica – protette da password personalizzate – a nome di uno specifico dipendente, quelle caselle rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente, sicché l’accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all’articolo 615/ter del Codice Penale”.

Con questo passaggio pertanto la Cassazione chiarisce la prevalenza del diritto alla riservatezza del dipendente anche rispetto al superiore gerarchico.

3. L’applicabilità dell’articolo 615 ter del codice penale nel rapporto gerarchico tra superiore e dipendente

La sentenza di appello tiene conto anche dell’aggravante dell’abuso di poteri.

Infatti: “L’aggravante di aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio non presuppone necessariamente che il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, né l’attualità dell’esercizio della funzione o del servizio, ma è configurabile anche quando il pubblico ufficiale abbia agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni, essendo sufficiente che la sua qualità abbia reso possibile o comunque facilitato la commissione del reato.”.

Nel caso di specie il superiore gerarchico aveva utilizzato una password generale e in virtù del proprio ruolo di sovraordinazione aveva allontanato il dipendente per poter accedere alla casella. Tali fatti, secondo la Cassazione, non sono presupposti del fatto ma elementi che hanno reso possibile la condotta prevista e punita dall’articolo 615 ter del Codice Penale.

La Suprema Corte inoltre ritiene che il motivo di ricorso sul difetto di motivazione sia fondato su motivi generici e quindi non specifici e pertanto dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 31 marzo 2016, n. 13057)