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Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a dodici mesi nella Legge Alfano

L’art. 1 della Legge Alfano (approvata definitivamente il 17.11.2010) introduce l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a dodici mesi.

Partendo dalla disamina del tassativo elenco di cui al comma 2 relativo alle condizioni ostative alla concessione del beneficio di cui al comma 1, si rileva che tale beneficio non è applicabile:

a) agli autori di delitti di particolare allarme sociale di cui all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975, n. 354);

b) ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza (ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale);

c) ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere, ai sensi dell’art. 14-bis dell’ordinamento penitenziario (salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter). Tale articolo prevede che possano essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare i condannati, gli internati e gli imputati: che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti; che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti. In tal caso il regime di sorveglianza particolare è disposto con provvedimento motivato dell’amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due esperti, sentita anche l’autorità giudiziaria che procede.

d) quando vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti;

e) quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

Al fine di verificare la eventuale sussistenza di tali cause ostative, occorrerà quindi accertare necessariamente :

- per quanto attiene alla lettera c), gli Istituti di detenzione dovranno fornire notizie relative al regime di sorveglianza applicato;

- in tutti i casi, andranno esaminati i certificato del casellario giudiziario e il certificato dei carichi pendenti, quest’ultimo senz’altro necessario, ad esempio, in vista delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato (si pensi, ad esempio, ai casi dei maltrattamenti in famiglia), nonché per le ragioni esplicitate alla lett. d).

I commi 3 e 4 dell’articolo in esame disciplinano nei dettagli la procedura per l’applicazione del beneficio dell’esecuzione domiciliare della pena detentiva.

In particolare, ai sensi del comma 3, se il condannato non è ancora detenuto (si versa, quindi, nell’ipotesi contemplata dal comma 1 dell’articolo 656 del codice di procedura penale) il pubblico ministero – ricorrendo il presupposto di una pena detentiva da eseguire non superiore a 12 mesi – deve sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmettere senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza – individuato, in questo caso, ai sensi dell’art. 656 c. VI- affinché quest’ultimo disponga che la pena sia eseguita presso il domicilio.

Occorre notare come il legislatore faccia riferimento alla pena detentiva da eseguire e non alla condanna.

Pertanto, ai sensi dell’art. 657 cpp, si dovrà necessariamente avere riguardo all’eventuale presofferto (per lo stesso o per altro reato) computabile in detrazione della pena comminata; allo stesso modo, andrà tenuta in conto la possibile ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge 241/2006 per l’applicazione dell’indulto e, quindi, secondo quanto stabilito dall’art. 672 cpp, dalla pena stabilita in condanna andrà preliminarmente decurtato il quantum oggetto di indulto.

La disposizione legislativa in commento non si applica se ricorrono le condizioni per la sospensione dell’esecuzione della pena ai sensi del comma 5 dell’articolo 656 del codice di procedura penale. Evidentemente, infatti, il detenuto conserva la facoltà di richiedere la concessione di una misura alternativa diversa, quale ad esempio l’affidamento in prova ai servizi sociali, molto meno limitativa della libertà personale rispetto alla detenzione domiciliare; ma, alla luce della nuova normativa, se il condannato non presentasse, nei termini e con le modalità contemplate dall’art. 656 cpp, l’istanza di applicazione di misure alternative, allora il Pubblico Ministero, se ricorrono i presupposti normativi, dovrà, d’ufficio, comunque trasmettere gli atti al Magistrato di Sorveglianza per la concessione della detenzione domiciliare.

Vengono mantenute le cause ostative alla sospensione previste dal comma 9, lettera a), dell’art. 656 cpp; ma, altro elemento di novità, alla luce della normativa de qua, andrà ora sospesa l’esecuzione della pena anche nei confronti di condannati ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata di cui al comma IV dell’art. 99 c.p., se la pena detentiva da eseguire non supera i dodici mesi.

La richiesta del pubblico ministero dovrà sempre essere corredata dal verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio e, se il condannato è sottoposto ad un programma di recupero dalla tossicodipendenza o intende sottoporvisi, anche dalla documentazione prevista per l’affidamento in prova dall’articolo 94, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, consistente nella certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o privata accreditata, attestante lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l’andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato.

Attribuire all’Ufficio del Pubblico Ministero il compito di accertare e verbalizzare l’idoneità del domicilio comporterà necessariamente un coinvolgimento della Polizia Giudiziaria, ma sarebbe opportuna ed auspicabile anche una sinergia con l’UEPE e con le strutture abilitate all’accoglienza di soggetti privi di domicilio idoneo.

Il comma 4 merita anch’esso una breve riflessione.

Nel caso previsto dall’articolo 656, comma 9, lett. b), del codice di procedura penale, vale a dire nel caso di soggetti che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva, continua a non essere consentita la sospensione dell’esecuzione della pena, ma le parti o il pubblico ministero inviano la richiesta di concessione della detenzione domiciliare al magistrato di sorveglianza.

Dalla lettura del c. IV si evince che, in questo caso, sarà la direzione dell’Istituto penitenziario a dover trasmettere all’organo giudicante non solo la relazione sulla condotta tenuta dal detenuto, ma anche il verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio.

Se, invece, il condannato è già detenuto per condanna definitiva ed il residuo pena non è superiore ai dodici mesi, la norma prevede che la direzione dell’istituto penitenziario, anche a seguito di richiesta del detenuto o del difensore, trasmetta al magistrato di sorveglianza, individuato ai sensi dell’art. 677 cpp, una relazione sulla condotta tenuta dal detenuto, unitamente, anche in questo caso, al verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio ed, eventualmente, dalla documentazione prevista per l’affidamento in prova dall’articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.

Nonostante non sia previsto espressamente, è da ritenere che, anche in tale ultima ipotesi, sussista un potere/dovere dell’Ufficio del Pubblico Ministero, quale organo deputato ope legis alla esecuzione delle pene, ad assumere d’ufficio l’iniziativa presso il Magistrato di Sorveglianza, richiedendo eventualmente, come previsto dall’art. 29 lett. e) norme regolamentari c.p.p., al direttore dell’istituto di pena i successivi adempimenti previsti dalla legge; tale interpretazione è, infatti, confortata da una interpretazione logica e sistematica in materia di esecuzione, oltre che testuale ai sensi dell’art. 655 c.p.p.

Nel merito, la decisione sull’esecuzione domiciliare della pena detentiva breve è attribuita alla competenza del magistrato di sorveglianza , con un procedimento particolarmente snello previsto dalla legge attraverso il rinvio al procedimento in materia di liberazione anticipata di cui all’articolo 69-bis dell’ordinamento penitenziario insieme con la riduzione del termine per decidere da 15 a 5 giorni.

Come da previsione testuale, in ultimo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dagli articoli 47-ter, commi 4, 4-bis, 5, 6, 8, 9 e 9-bis, 51-bis, 58 e 58-quater, ad eccezione del comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché le relative norme di esecuzione contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Nei casi previsti dagli articoli 47-ter, commi 4 e 4-bis, e 51-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, tuttavia, il provvedimento è adottato dal magistrato di sorveglianza.

L’art. 1 della Legge Alfano (approvata definitivamente il 17.11.2010) introduce l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a dodici mesi.

Partendo dalla disamina del tassativo elenco di cui al comma 2 relativo alle condizioni ostative alla concessione del beneficio di cui al comma 1, si rileva che tale beneficio non è applicabile:

a) agli autori di delitti di particolare allarme sociale di cui all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975, n. 354);

b) ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza (ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale);

c) ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere, ai sensi dell’art. 14-bis dell’ordinamento penitenziario (salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter). Tale articolo prevede che possano essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare i condannati, gli internati e gli imputati: che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti; che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti. In tal caso il regime di sorveglianza particolare è disposto con provvedimento motivato dell’amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due esperti, sentita anche l’autorità giudiziaria che procede.

d) quando vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti;

e) quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

Al fine di verificare la eventuale sussistenza di tali cause ostative, occorrerà quindi accertare necessariamente :

- per quanto attiene alla lettera c), gli Istituti di detenzione dovranno fornire notizie relative al regime di sorveglianza applicato;

- in tutti i casi, andranno esaminati i certificato del casellario giudiziario e il certificato dei carichi pendenti, quest’ultimo senz’altro necessario, ad esempio, in vista delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato (si pensi, ad esempio, ai casi dei maltrattamenti in famiglia), nonché per le ragioni esplicitate alla lett. d).

I commi 3 e 4 dell’articolo in esame disciplinano nei dettagli la procedura per l’applicazione del beneficio dell’esecuzione domiciliare della pena detentiva.

In particolare, ai sensi del comma 3, se il condannato non è ancora detenuto (si versa, quindi, nell’ipotesi contemplata dal comma 1 dell’articolo 656 del codice di procedura penale) il pubblico ministero – ricorrendo il presupposto di una pena detentiva da eseguire non superiore a 12 mesi – deve sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmettere senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza – individuato, in questo caso, ai sensi dell’art. 656 c. VI- affinché quest’ultimo disponga che la pena sia eseguita presso il domicilio.

Occorre notare come il legislatore faccia riferimento alla pena detentiva da eseguire e non alla condanna.

Pertanto, ai sensi dell’art. 657 cpp, si dovrà necessariamente avere riguardo all’eventuale presofferto (per lo stesso o per altro reato) computabile in detrazione della pena comminata; allo stesso modo, andrà tenuta in conto la possibile ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge 241/2006 per l’applicazione dell’indulto e, quindi, secondo quanto stabilito dall’art. 672 cpp, dalla pena stabilita in condanna andrà preliminarmente decurtato il quantum oggetto di indulto.

La disposizione legislativa in commento non si applica se ricorrono le condizioni per la sospensione dell’esecuzione della pena ai sensi del comma 5 dell’articolo 656 del codice di procedura penale. Evidentemente, infatti, il detenuto conserva la facoltà di richiedere la concessione di una misura alternativa diversa, quale ad esempio l’affidamento in prova ai servizi sociali, molto meno limitativa della libertà personale rispetto alla detenzione domiciliare; ma, alla luce della nuova normativa, se il condannato non presentasse, nei termini e con le modalità contemplate dall’art. 656 cpp, l’istanza di applicazione di misure alternative, allora il Pubblico Ministero, se ricorrono i presupposti normativi, dovrà, d’ufficio, comunque trasmettere gli atti al Magistrato di Sorveglianza per la concessione della detenzione domiciliare.

Vengono mantenute le cause ostative alla sospensione previste dal comma 9, lettera a), dell’art. 656 cpp; ma, altro elemento di novità, alla luce della normativa de qua, andrà ora sospesa l’esecuzione della pena anche nei confronti di condannati ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata di cui al comma IV dell’art. 99 c.p., se la pena detentiva da eseguire non supera i dodici mesi.

La richiesta del pubblico ministero dovrà sempre essere corredata dal verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio e, se il condannato è sottoposto ad un programma di recupero dalla tossicodipendenza o intende sottoporvisi, anche dalla documentazione prevista per l’affidamento in prova dall’articolo 94, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, consistente nella certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o privata accreditata, attestante lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l’andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato.

Attribuire all’Ufficio del Pubblico Ministero il compito di accertare e verbalizzare l’idoneità del domicilio comporterà necessariamente un coinvolgimento della Polizia Giudiziaria, ma sarebbe opportuna ed auspicabile anche una sinergia con l’UEPE e con le strutture abilitate all’accoglienza di soggetti privi di domicilio idoneo.

Il comma 4 merita anch’esso una breve riflessione.

Nel caso previsto dall’articolo 656, comma 9, lett. b), del codice di procedura penale, vale a dire nel caso di soggetti che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva, continua a non essere consentita la sospensione dell’esecuzione della pena, ma le parti o il pubblico ministero inviano la richiesta di concessione della detenzione domiciliare al magistrato di sorveglianza.

Dalla lettura del c. IV si evince che, in questo caso, sarà la direzione dell’Istituto penitenziario a dover trasmettere all’organo giudicante non solo la relazione sulla condotta tenuta dal detenuto, ma anche il verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio.

Se, invece, il condannato è già detenuto per condanna definitiva ed il residuo pena non è superiore ai dodici mesi, la norma prevede che la direzione dell’istituto penitenziario, anche a seguito di richiesta del detenuto o del difensore, trasmetta al magistrato di sorveglianza, individuato ai sensi dell’art. 677 cpp, una relazione sulla condotta tenuta dal detenuto, unitamente, anche in questo caso, al verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio ed, eventualmente, dalla documentazione prevista per l’affidamento in prova dall’articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.

Nonostante non sia previsto espressamente, è da ritenere che, anche in tale ultima ipotesi, sussista un potere/dovere dell’Ufficio del Pubblico Ministero, quale organo deputato ope legis alla esecuzione delle pene, ad assumere d’ufficio l’iniziativa presso il Magistrato di Sorveglianza, richiedendo eventualmente, come previsto dall’art. 29 lett. e) norme regolamentari c.p.p., al direttore dell’istituto di pena i successivi adempimenti previsti dalla legge; tale interpretazione è, infatti, confortata da una interpretazione logica e sistematica in materia di esecuzione, oltre che testuale ai sensi dell’art. 655 c.p.p.

Nel merito, la decisione sull’esecuzione domiciliare della pena detentiva breve è attribuita alla competenza del magistrato di sorveglianza , con un procedimento particolarmente snello previsto dalla legge attraverso il rinvio al procedimento in materia di liberazione anticipata di cui all’articolo 69-bis dell’ordinamento penitenziario insieme con la riduzione del termine per decidere da 15 a 5 giorni.

Come da previsione testuale, in ultimo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dagli articoli 47-ter, commi 4, 4-bis, 5, 6, 8, 9 e 9-bis, 51-bis, 58 e 58-quater, ad eccezione del comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché le relative norme di esecuzione contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Nei casi previsti dagli articoli 47-ter, commi 4 e 4-bis, e 51-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, tuttavia, il provvedimento è adottato dal magistrato di sorveglianza.