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Famiglia: tra cristallizzazione del significato e contenuto essenziale delle norme costituzionali

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 15 aprile 2010, n.138
Con la sentenza n. 138/2010, la Corte Costituzionale serra le fila attorno all’interpretazione del concetto di famiglia e di matrimonio di cui all’art. 29, 1° comma, della Costituzione, secondo il quale “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia legittima come società naturale fondata sul matrimonio”.

Vorrei, pertanto, pur in presenza di diverse disposizioni costituzionali utilizzate a parametro dai giudici che hanno investito la Consulta della questione di legittimità (il Tribunale Ordinario di Venezia e la Corte d’Appello di Trento), soffermarmi solo sul significato che il giudice delle leggi accorda all’art. 29, 1° comma, Costituzione con conseguente dichiarazione di infondatezza (in relazione al suddetto parametro) della quaestio sollevata.

La Corte Costituzionale, pur riconoscendo espressamente (si veda il punto 9 del cons. in dir.) che i concetti di famiglia e matrimonio non possono essere “cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore” in quanto “dotati della duttilità propria dei principi costituzionali”, ritiene tuttavia che la loro interpretazione non possa spingersi fino al punto di “incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” (punto 9 del cons.in. dir.).

In altri termini, la Corte dà per presupposta l’idea che l’aggettivo qualificativo “naturale” non intenda fornire una definizione dell’istituto familiare quanto piuttosto indicare come questa realtà non sia nella piena disponibilità del legislatore statale, il quale dunque, secondo il pensiero del grande costituzionalista Costantino Mortati (1891-1985), sarebbe vincolato a “conservare l’assetto familiare qual è apprezzato tradizionalmente dalla coscienza comune del popolo italiano” (Cfr., C. MORTATI, Istituzioni di Diritto Pubblico, Vol. II, Padova, 1969, pp. 1055-1057) con il divieto, almeno così mi pare, di conformare la normativa in materia all’evoluzione sociale e al mutamento di sensibilità.

Questo non significa la negazione del riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso.

La Consulta, infatti, in ragione della innegabile inclusione delle coppie omosessuali nelle formazioni sociali ex art. 2 Costituzione, riconosce la necessità di forme di tutela e garanzia che solo il legislatore statale sarebbe in grado di assicurare (si veda il punto 8 del cons. in dir della sentenza) ma, nello stesso momento, ritiene che, essendo il matrimonio il presupposto in via esclusiva dei diritti propri della famiglia legittima, una sua estensione anche alle realtà diverse dalla comunità familiare tradizionalmente intesa finirebbe per far perdere alla stessa quella “dignità superiore” che il giudice delle leggi, già nella sentenza n. 310/1989, le aveva riconosciuto.

Con la sentenza n. 138/2010, la Corte Costituzionale serra le fila attorno all’interpretazione del concetto di famiglia e di matrimonio di cui all’art. 29, 1° comma, della Costituzione, secondo il quale “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia legittima come società naturale fondata sul matrimonio”.

Vorrei, pertanto, pur in presenza di diverse disposizioni costituzionali utilizzate a parametro dai giudici che hanno investito la Consulta della questione di legittimità (il Tribunale Ordinario di Venezia e la Corte d’Appello di Trento), soffermarmi solo sul significato che il giudice delle leggi accorda all’art. 29, 1° comma, Costituzione con conseguente dichiarazione di infondatezza (in relazione al suddetto parametro) della quaestio sollevata.

La Corte Costituzionale, pur riconoscendo espressamente (si veda il punto 9 del cons. in dir.) che i concetti di famiglia e matrimonio non possono essere “cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore” in quanto “dotati della duttilità propria dei principi costituzionali”, ritiene tuttavia che la loro interpretazione non possa spingersi fino al punto di “incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” (punto 9 del cons.in. dir.).

In altri termini, la Corte dà per presupposta l’idea che l’aggettivo qualificativo “naturale” non intenda fornire una definizione dell’istituto familiare quanto piuttosto indicare come questa realtà non sia nella piena disponibilità del legislatore statale, il quale dunque, secondo il pensiero del grande costituzionalista Costantino Mortati (1891-1985), sarebbe vincolato a “conservare l’assetto familiare qual è apprezzato tradizionalmente dalla coscienza comune del popolo italiano” (Cfr., C. MORTATI, Istituzioni di Diritto Pubblico, Vol. II, Padova, 1969, pp. 1055-1057) con il divieto, almeno così mi pare, di conformare la normativa in materia all’evoluzione sociale e al mutamento di sensibilità.

Questo non significa la negazione del riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso.

La Consulta, infatti, in ragione della innegabile inclusione delle coppie omosessuali nelle formazioni sociali ex art. 2 Costituzione, riconosce la necessità di forme di tutela e garanzia che solo il legislatore statale sarebbe in grado di assicurare (si veda il punto 8 del cons. in dir della sentenza) ma, nello stesso momento, ritiene che, essendo il matrimonio il presupposto in via esclusiva dei diritti propri della famiglia legittima, una sua estensione anche alle realtà diverse dalla comunità familiare tradizionalmente intesa finirebbe per far perdere alla stessa quella “dignità superiore” che il giudice delle leggi, già nella sentenza n. 310/1989, le aveva riconosciuto.