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Genitori: “geni” e “tori”

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Genitori: “geni” e “tori”
 

Abstract: L’ambivalenza del ruolo dei genitori che possono aiutare oppure nuocere alla crescita dei loro figli


Si parla continuamente di genitorialità, evidenziandone le problematiche, e di genitori qualificandoli in ogni modo (da genitori efficaci a genitori anaffettivi). Sarebbe il caso, invece, di soffermarsi sui genitori come persone nel rapporto con i figli, persone altre da loro.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni scrive: “Gli adulti di oggi non hanno più la sicurezza dei genitori di ieri e dell’altro ieri che guardavano al futuro dei figli come a una promessa di miglioramento sociale, economico e culturale. Noi adulti abbiamo beneficiato di genitori sicuri che potevano confidare in un futuro per i figli migliore di quello dei loro padri. Quindi molto meno preoccupati, meno controllanti e ansiosi di quanto lo siano i padri e le madri di oggi, che fanno pressione sulle prestazioni dei figli, soprattutto quelle scolastiche, come opportunità per avere il proprio posto in una società futura che si percepisce come più povera di garanzie. Così, nel passaggio alla scuola superiore l’impegno scolastico diventa prioritario su tutto il resto”. Nell’art. 27 par. 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “I genitori o le altre persone aventi cura del fanciullo hanno primariamente la responsabilità di assicurare, nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo”. I genitori non devono assillarsi né assillare per il futuro dei figli, ma fare e dare il meglio nel presente senza ansie né aspettative personali, perché il futuro (non prevedibile né preventivabile) appartiene ai figli e alla vita che seguirà.

Anche la giornalista Renata Maderna sottolinea: “I bambini sono bravissimi, anche senza volerlo, a far sentire in colpa i genitori per quello che non riescono ad avere, ma fortunatamente quando crescono e li senti ricordare qualcosa del loro “passato” ti trovi a stupirti che molte immagini positive riguardano occasioni “piccole” o apparentemente insignificanti e mancano magari ricordi di regali o esperienze costose. La verità è che quel che conta non è la gara, peraltro diseducativa, tra genitori per dare sempre di più, ma la sincerità delle esperienze, i momenti famigliari che, ben lontani spesso dall’essere idilliaci, costituiscono la certezza della vita”.

“Tutti i giorni della nostra vita ci troviamo di fronte a una scelta: o la sofferenza di amare o quella, ben peggiore, di non amare” (lo scrittore svedese Dag Hammarskjold). In particolare i genitori saranno giudicati per le loro scelte, che generano amore o sofferenza, da giudici inappellabili che sono i figli.

“Un primo presupposto educativo è che i figli, più che di due genitori che “li” amano, hanno bisogno di due genitori che “si” amano” (il giornalista Aurelio Molè). Un primo presupposto di vita per tutti, genitori e non, è amare e amarsi.

Amore per la vita è ristabilire in se stessi e, poi, con gli altri quel primordiale contatto sensoriale che il neonato prova con la madre quando viene alla luce. Questa la biofilia (amore per la vita e tutto ciò che è vivo) che i genitori dovrebbero trasmettere oltre alla vita stessa. Biofilia, ineludibile dovere morale dei genitori, anche e soprattutto nei periodi bui della vita familiare ed extrafamiliare.

Lo studioso gesuita Giovanni Cucci spiega: “[…] l’amore è alla base dell’odio; la ragione della sua sofferenza è di essere un amore disatteso. […] L’affinità tra odio e amore evidenzia la loro caratteristica essenzialmente relazionale, intima e coinvolgente, che è l’aspetto più rilevante di un sentimento. È anche per questo che l’odio non può mai essere oggettivo: esso è sempre il frutto di una rielaborazione personale, legata alla storia vissuta con quel soggetto in quella particolare situazione, ma deformata dalla sofferenza e dal rancore” (2016). Gli adulti, in particolare quando diventano genitori, devono avere la consapevolezza della possibile evoluzione-involuzione relazionale e sentimentale per non incorrere in forme di violenza o dinamiche perverse a danno degli eventuali figli, come la tanto controversa PAS, sindrome di alienazione genitoriale (e il fatto che si discuta sulla sua stessa configurabilità rivela, ancora una volta, la mentalità adultocentrica o adultocentrata nelle questioni riguardanti i bambini).

“La vita di cui dispongo si è formata nelle viscere di colei che adesso muore. Questa stessa persona, nel momento in cui si accomiata dal mondo, mette la sua vita nelle mie mani. Mi dà la sua vita così come, a suo tempo, mi ha dato la mia” (il figlio nel momento del trapasso della madre nel film “Sangue”, 2013). La vita è continuamente dare, dall’inizio sino alla fine: è l’unica spiegazione da dare e da darsi, in qualunque evento, bello o brutto che sia. In special modo la relazione tra genitori e figli è un continuo dare e darsi la vita. È anche questo il senso di alcune disposizioni normative, come quelle sugli alimenti (artt. 433 e ss. cod. civ.).

“Tutto ciò che osserviamo giornalmente condiziona la nostra vita. Mostrare sempre un volto d’amore e di pace trasmette agli altri energia positiva” (citazione tibetana). Sia così la relazione genitori-figli, anche e soprattutto in caso di rottura della coppia del padre e della madre.

“A volte si affonda nelle sabbie mobili del risentimento, della rabbia, dell’odio, della violenza insensata. Più si gesticola e ci si agita, più si affonda. Solo la mano di chi ha bisogno di noi può tirarci fuori” (lo scrittore Bruno Ferrero). I genitori in conflitto tengano conto di questo.

“Non farti mai dire dagli altri chi devi amare e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre” (la nonna nel film “Mine vaganti”). Quello che dovrebbero dire e trasmettere genitori e educatori.

“Mandami tanta vita” (lo scrittore Paolo Di Paolo). I genitori si ricordino di mandare vita in ogni occasione, specialmente nei periodi di crisi in cui, invece, mandano messaggi di non vita. Suggerimenti che si leggono nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori (2018), in particolare nel punto n. 2: “I figli hanno il diritto alla spensieratezza e alla leggerezza, hanno il diritto di non essere travolti dalla sofferenza degli adulti. I figli hanno il diritto di non essere trat­tati come adulti, di non diventare i confidenti o gli amici dei loro genitori, di non doverli sostenere o consolare. I figli hanno il diritto di sentirsi protetti e rassicurati, confortati e sostenuti dai loro genitori nell’affrontare i cambiamenti della separa­zione”.

Dopo la giornata scolastica un bambino, affidato a una casa famiglia, chiede all’assistente: “Ma stasera esco con mamma?”. Non si rendano i bambini orfani di genitori vivi a causa di scelte egoistiche di apparenti adulti o di scelte inadeguate da parte di figure professionali, a volte superficiali, o scelte legislative forzate da alcune lobby.

“L’uomo è responsabile di quello che fa, di quello che ama e di quello che soffre” (lo psichiatra austriaco Viktor Emil Frankl). L’uomo è quello che fa, quello che ama, quello che soffre e innanzitutto quello che offre di sé: così, in primis, i genitori.

Anche don Antonio Mazzi, in qualità di formatore, richiama l’attenzione: “Lo sono stato anch’io un ragazzetto irrequieto e ho preso da mia madre gli schiaffi che mi meritavo. Allora la società usava mezzi semplici ma efficaci, a tempo giusto, e i genitori erano genitori quando te le davano, ma due minuti dopo erano ancora più genitori quando ti spiegavano, con la pazienza dei contadini, che non si rompono i lampioni delle strade, né si rubano le ciliegie nei campi del nonno. Così i genitori ci hanno educati. Adesso invece ci sono di mezzo il Tribunale dei minori, i giornali che te la raccontano come vogliono e il diritto dei bambini di accusare i genitori di violenza, appena parlano di piccoli castighi e fanno un accenno di schiaffo. Perché i genitori, oggi, sbagliano sempre, cioè non hanno mai ragione”. “[…] inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori” (art. 29 lettera c Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Affinché il bambino acquisisca il rispetto di se stesso, della vita e di tutto il resto occorre che faccia proprio il senso del rispetto dei genitori, primi adulti e primo altro da sé con cui il bambino si confronta.

“Ama i tuoi genitori, se sono giusti, altrimenti sopportali” (lo scrittore latino Publilio Siro). Oggi sono più i figli in tenera età che perdonano i genitori e non il contrario, perché si ritrovano a subire di tutto, dalle scelte sentimentali superficiali ed egoistiche all’essere vittime di separazioni aspramente conflittuali.

Varie sono le situazioni negative in cui i figli subiscono una forma di orfanità, non solo in caso di morte di uno dei genitori. A tale proposito l’art. 9 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sancisce il diritto di ogni bambino ad avere una continuità nel rapporto con il proprio genitore. L’eventuale detenzione di un genitore impone una condizione specifica nel mantenimento di tali rapporti, ma è altrettanto vero che i momenti di incontro tra genitori e figli dovrebbero essere aumentati e consolidati in vista dell’interesse superiore del minore (art. 3 Convenzione Internazionale). A consentire le relazioni tra le madri detenute e i figli in tenera età si è provveduto con la legge 21 aprile 2011 n. 62 “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”.

Inoltre, occorre “sviluppare un’ampia strategia per proteggere i bambini di strada e per ridurre il loro numero, inclusa l’identificazione delle cause sottostanti, come la povertà, la violenza nelle famiglie e la mancanza di accesso all’educazione, allo scopo di prevenire e ridurre questo fenomeno e, se possibile, facilitare la riunione di questi bambini con le loro famiglie quando questo corrisponde al loro migliore interesse” (Committee on the rights of the child, Concluding observations on the combined second to fourth periodic reports of Brazil, 2015). Situazione che si può riferire non solo ai “meninos da rua” (bambini della strada) del Brasile, ma a tutti i bambini abbandonati o, in altro modo, lasciati soli lungo la strada della loro vita. I bambini hanno un diritto innato alla vita (art. 6 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), sono la vita stessa, e hanno diritto a conoscere i propri genitori ed essere da essi accuditi (art. 7 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Preparare i figli a essere felici essendo genitori felici di esserlo ed essere: segreto e testamento di vita. Etimologicamente “felicità” significa “fecondità, portare frutti”: l’amore di coppia deve generare un figlio e non il contrario, cioè un figlio cementare un amore di coppia vacillante (come spesso ed erroneamente si pensa e si tende a fare).

“Siamo chiamati a essere fecondi, a dare fiori e frutti: solo così risplende la vita, solo così risorge dalle ceneri dell’insignificanza” (lo psicologo Simone Olianti): questo il senso dell’essere genitori, chiamati alla vita, chiamati dalla vita.