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Giovan Battista Piranesi

Piranesi, Santo Stefano Rotondo
Piranesi, Santo Stefano Rotondo

 «Come potè Roma esercitare un fascino così, diciam pure esotico – e quindi romantico -  su un veneziano educato alla serena scuola del Palladio? Forse perché nel crudo sole di Roma le pietre vivono, per chi sappia vederle, di tale intensità da parer quasi allucinate?» Mario Praz

Giovan Battista Piranesi
Giovan Battista Piranesi

Giovanni Battista Piranesi (Venezia 1720-Roma1778) studiò architettura e si ritrovò acquafortista: non proprio in sintonia con l’architettura del proprio tempo e di quello appena trascorso, anziché del Barocco, s’incantò di un altro fasto, che lui ritenne sorgente di verità e di grandezza, quello della Roma antica – eterna Roma teatro dell’universo – e a questo si volse come all’unica fonte da prendersi in considerazione.

Dell’architetto, salvo i pochi impegni che oggi chiameremmo di restauro o ristrutturazione, restano comunque le tracce nel suo intuito di archeologo precursore dei moderni intendimenti, oltre al senso costruttivo e inventivo e a quello dei grandi spazi e volumi realizzati nelle acquaforti, si pensi alle fascinose “Carceri” in grado di suggerire volumi da antiche terme.

Piranesi, Carceri
Piranesi, Carceri

Aveva una natura dotata di varia sensibilità, non sappiamo se siano vere le parole che si dice a lui rivolte da Giuseppe Masi, suo maestro d’incisione, ma certamente sono giuste: «Siete troppo pittore per essere mai incisore», quando incisore voleva dire esatto riproduttore della realtà, fotografo obiettivo e magari distaccato dalla veduta come documento o souvenir. Attraverso la nuda essenzialità delle rovine di Roma antica, la sua natura di artista riassume quindi anche il ruolo dell’architetto che sente particolarmente la sapienza costruttiva interrotta dallo scempio causato dal tempo e dagli uomini.

«Mosso da quel nobile disio di ammirare ed apprendere da queste auguste reliquie - reliquie parlanti - ned essendo sperabile a un Architetto di questi tempi di poterne effettivamente eseguire alcune, altro partito non veggo restare in me, e a qualsivoglia altro Architetto moderno, che spiegare con disegni le proprie idee, e sottrarre in questo modo alla Scultura e alla Pittura l’avvantaggio, che come dicea il grande Juvara, hanno in questa parte sopra l’Architettura».

Sulla lastra di rame può copiare inventando, o inventare seguendo un modello per edificare unicamente i propri sogni. A costruire i nuovi edifici lascia i colleghi per i quali non può avere molta stima, lui che tratta con gli antichi, che ne visita le testimonianze, ne scopre la grandezza, ne assorbe la pregnante vastità e bellezza.

Le sue rovine sono un campo di battaglia dove il tempo e l’incuria piazzano mine vegetali che corrompono poco a poco esplodendo senza rumore. Volutamente accentua addirittura il dominio della vegetazione sulle rovine o ne denuncia la continua spoliazione illustrando quel “Pianto di Roma” già levato da Raffaello - «...mi tengo obbligato di exponere tutte le mie piccole forze, aciochè più che si può, resti viva qualche poco di immagine e quasi un ombra di questa».

Le rovine hanno in genere il doppio potere di commuovere e d’esaltare, in questo senso quelle della Roma antica sono un prototipo inimitabile.

Ponte Salario
Piranesi, Ponte Salario

«... che di tali immagini mi hanno riempiuto lo spirito queste parlanti ruine, che di simili non arrivai a potermene mai formare sopra i disegni, benché accuratissimi, che di queste stesse ha fatto l’immortale Palladio... ».

Anche quando incide vedute della città a lui contemporanea, il senso della vastità resta predominante e sottomette la realtà modificandola, si pensi a come risolve la “Fontana di Trevi” della quale amplifica a dismisura l’anfiteatro, tanto angusto e avvolgente, nella realtà, da apparire un salotto all’aperto.

Piranesi, Fontana di Trevi
Piranesi, Fontana di Trevi

«... in tutti questi disegni Voi vedrete quanto mi abbia contribuito la Prospettiva... La prospettiva diceva molto giudiziosamente il gran Maestro dell’Architettura Vitruvio, è necessaria all’Architetto...» (Piranesi a Nicola Giobbe suo mecenate-architett

Il modo d’incidere di Piranesi è libero, vivo, pittorico. Il suo segno sfugge spesso alla tirannia delle regole e sempre alla noia della ripetizione, le sue incisioni non sono soltanto documento, veduta, ma opere che conoscono i valori plastici e cromatici anche nella stringatezza del bianco e nero.

Non mancano neppure tavole concepite come pura espressività e di taglio rembrandiano, si pensi a “Santo Stefano Rotondo”; rappresentano il riposo del sognatore allorché pensa a fermare unicamente ciò che vede: un attimo di quiete quando il poeta che è in lui prevale anche sul sogno.

Piranesi, l'arco di Tito
Piranesi, l'arco di Tito

 

4 agosto 2000