Gratuito patrocinio: il teatro dell’assurdo
Nelle aule giudiziarie si consumano piccoli e grandi drammi della vita delle persone, che hanno la sfortuna di calcare il proscenio, ove si dispensa giustizia. Oltre alle tragedie si rappresentano anche delle commedie satiriche.
La similitudine con il teatro e quanto mai azzeccata nella vicenda che seguirà.
La Signora A. F. detenuta a Rebibbia, cittadina italiana, avanza dal carcere una istanza di ammissione al gratuito patrocinio; nell’istanza autocertifica i propri redditi e la sua firma è autenticata dal direttore del carcere. L’istanza viene trasmessa al giudicante ai sensi dell’articolo 123 codice procedura penale.
Arriva in cancelleria e viene sottoposta al giudice che la respinge: “si rigetta, allo stato, mancando documento di riconoscimento dell’istante”.
Il difensore, con una nota aggiuntiva, tentava di far ragionare il giudice, evidenziando che “in caso di stato detentivo l’istanza di ammissione non deve essere corredata dal documento di riconoscimento, in quanto la firma viene autenticata dal Direttore della casa Circondariale, ai sensi degli articoli 78 e 93 comma 3 Dpr 115/2002 e all’articolo 123 codice procedura penale”.
“Errare è umano ma perseverare è diabolico”, così deve aver inteso il Giudice l’insistenza del difensore.
Il pensoso magistrato prende la penna e il calamaio è rigetta di nuovo, ribadendo: “si conferma il provvedimento già adottato, atteso che le norme richiamate non attengono all’identificazione dell’istante e il protocollo adottato da questo Tribunale richiede identificazione a mezzo documento anche in caso di detenzione (Parte 2 – lett.a) punto 3)”.
Dunque, par di capire che il Giudice ha dei dubbi sull’identità della donna detenuta. Se così fosse dovrebbe emettere una sentenza ex articoli 68 e 129 codice procedura penale (errore sull’identità fisica dell’imputato).
Naturalmente nulla di tutto questo: è solo la mancanza del senso del ridicolo.
Queste sono le situazioni surreali che ogni giorno si vivono nel pianeta Giustizia, dove con protocolli, prontuari ed altre amenità del genere si riescono a creare “nonsense giuridici”.
Scriveva Schopenhaur: “L’assurdo fa molto facilmente fortuna nel mondo”.
Mi astengo da ogni considerazione sulle brillanti menti che, al tribunale di Roma, l’11 dicembre del 2015 hanno redatto e sottoscritto il protocollo richiamato dal giudice (Link).
Tuttavia, non posso tacere, la sensazione di ottusità pervicace che traspare dalla lettura di questa piccola storia di giustizia quotidiana.
In barba alla logica, (al buon senso che non ha mai abitato nei luoghi di giustizia) alle norme e ai principi più volte richiamati dalla Cassazione, tra le tante Cass. Pen. Sez. IV n. 34192, udienza 14 marzo 2012 che ha stabilito: “Patrocinio a spese dello Stato non prevede che la sottoscrizione apposta sulla dichiarazione sostitutiva di certificazioni debba essere autenticata, né che debba essere corredata dalla fotocopia del documento d'identità del dichiarante, bensì solo che l'atto sia sottoscritto dall'interessato”.
L’arguto giurista obietterà che il prontuario prevede all’articolo 3: “l’identità del richiedente deve essere verificata tramite documento anche nel caso di detenuto la cui istanza sia stata autenticata ed inoltrata dalla Direzione dell’istituto penitenziario (considerato che l’identificazione del detenuto anche da parte della Direzione, non sempre è basata su documenti ma anche semplicemente su foto segnalazioni)”.
Della serie in carcere puoi stare senza problemi e dubbi sulla tua identità (quali?). Mentre se chiedi di esercitare il tuo sacrosanto diritto Costituzionale, previsto dall’articolo 24: “Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”, allora dobbiamo scomodare Franz Kafka: “I ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata”.
Questa è la giustizia dell’assurdo, dell’insensatezza che avrebbe fatto felice Eugène Ionesco ma che ci lascia attoniti: “Quando penso che un uomo giudica un altro uomo, mi sento i brividi addosso” (Hugues Lamennais).