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Green pass salvato dal Consiglio di Stato

Mare
Ph. Stefania Fiorenza / Mare

Nella settimana in cui ha vista la luce il Decreto “Super” Green pass, che obbligherà i datori di lavoro a prendere delle misure anche sul versante privacy, il Consiglio di Stato si è pronunciato su un appello cautelare con il quale veniva domandata la sospensione dell’efficacia del Green pass.

Anticipando le conclusioni raggiunte dai giudici con l’ordinanza numero 5130 del 17 settembre 2021, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il Green pass sia una misura compatibile con il diritto alla privacy sanitaria degli interessati.

Analizziamo più da vicino i contenuti dell’ordinanza sul Green pass.

I motivi contro l’impiego del Green pass

Partiamo dai motivi di appello cautelare avanzati dagli appellanti.

Le doglianze sollevate da questi ultimi contro il Green pass – nello specifico contro le disposizioni attuative introdotte dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 giugno 2021 (ne avevamo parlato anche in questo articolo con riferimento all’accesso alle mense aziendali) – erano le seguenti:

  1. Lesione del diritto di riservatezza sanitaria, nonché contrasto con la Costituzione e con le norme europee in materia;
  2. Rischio di discriminazione nello svolgimento di attività condizionate al possesso del Green pass;
  3. Pregiudizio economico derivante dalla necessità di sottoporsi ai tamponi.

Insomma, nulla che non si sia già sentito con riferimento al Green pass.

Le considerazioni privacy salva Green pass del Consiglio di Stato

Sono bastate 9 pagine di provvedimento ai giudici di Palazzo Spada per respingere ognuno dei tre motivi sopra esposti, salvando così l’operatività del Green pass.

Il primo punto è quello che più ci interessa.

Il Green pass lede il diritto alla riservatezza sanitaria degli interessati? È incompatibile con la Costituzione e le norme europee (leggasi GDPR)?

Per il Consiglio di Stato la risposta deve ritenersi senz’altro negativa. Il Green pass, in sé e per sé, non lede alcun diritto alla riservatezza sanitaria degli interessati.

Queste le testuali parole del Supremo Giudice amministrativo:

Considerato, inoltre, che gli appellanti, dichiarandosi contrari alla somministrazione del vaccino, nel pieno esercizio dei loro diritti di libera autodeterminazione, non subiscono lesioni del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine alla scelta compiuta, dal momento che l’attuale sistema di verifica del possesso del Green pass non sembra rendere conoscibili ai terzi il concreto presupposto dell’ottenuta certificazione (vaccinazione o attestazione della negatività al virus).

Detto altrimenti: siccome il sistema di verifica del Green pass non permette di conoscere quale delle tre condizioni per il rilascio del Green pass (avvenuta vaccinazione, tampone molecolare negativo o guarigione dal Covid-19) sia quella alla base del Green pass riferito al singolo interessato verificato, il diritto alla riservatezza sanitaria di quest’ultimo non deve ritenersi leso.  

Tornano alla mente le parole pronunciate dal Presidente del Garante Privacy Pasquale Stanzione che, in occasione di un’intervista rilasciata il 25 giugno e pubblicata sul sito del Garante, richiamava l’attenzione sulla necessità che il Green pass dovesse essere “una sorta di semaforo, un semaforo verde, che però non entra nella conoscenza della persona che deve essere controllata, vale a dire se è vaccinato o guarito”.

Ovviamente, il fatto che il Green pass non leda il diritto alla riservatezza sanitaria non equivale ad escludere che sia compiuto un trattamento di dati. Non pensiamo serva specificarlo ma sempre meglio non dare nulla per scontato.

Ciò che dice il Consiglio di Stato sul Green pass, sia condiviso o meno, è quello di cui ormai difficilmente qualcuno potrebbe dubitare: il Green pass, lato privacy e a livello di sistema, è perfettamente legittimo e compatibile con il quadro normativo italiano ed europeo.

Il Green pass rientra in un ambito di misure, concordate e definite a livello europeo e dunque non eludibili, anche per ciò che attiene la loro decorrenza temporale, e che mirano a preservare la salute pubblica in ambito sovrannazionale per consentire la fruizione delle opportunità di spostamenti e viaggi in sicurezza riducendo i controlli”. Questo si legge nell’ordinanza in commento.

Che poi, in singoli casi specifici, potranno eventualmente verificarsi “concrete ed effettive lesioni future del diritto alla riservatezza sanitaria” è cosa che, per l’organo giudicante, non vale a minare la legittimità del sistema Green pass. Se queste ipotesi occorreranno, specificano i giudici, gli interessati potranno ricorrere agli strumenti amministrativi e processuali ordinari a tutela dei loro diritti privacy.

Sugli altri rischi connessi al Green pass

Per quanto riguarda gli altri rischi connessi all’utilizzo del Green pass, il Consiglio di Stato ha sottolineato come gli appellanti abbiamo mancato di allegare un pregiudizio effettivo, grave ed irreparabile a sostegno della loro pretesa.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, il rischio di discriminazione connesso all’utilizzo del Green pass avanzato dagli appellanti era solamente ipotetico e, inoltre, non poteva essere paragonato all’interesse perseguito dall’Amministrazione introducendo il Green pass. La tutela della salute pubblica giustifica gli eventuali pregiudizi subiti da chi non vuole vaccinarsi.

Così parlò il Consiglio di Stato.