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Ho avuto in incubo: l’affermazione per apatia della democrazia indotta circolare

Ho avuto in incubo: l’affermazione per apatia della democrazia indotta circolare
Ho avuto in incubo: l’affermazione per apatia della democrazia indotta circolare

Bologna, 6 marzo 2017

   

 

Non occorre essere particolarmente sensibili e attenti per notare l’acuirsi e l’intensificarsi di due fenomeni, che non devono sfuggire al giurista perché ne è insieme la spalla, la vittima e, in certi casi, il veicolo.

Primo fenomeno: apoteosi della giustizia sommaria.

Alla canea berciante che una volta assisteva ai processi rivoluzionari, fungendo ora da spinta propulsiva, ora da coro amplificatore dell’accusa, ora da grancassa politica, ora da sfondo pittoresco per l’esecuzione, in una liturgia in cui ciascuno, allora in gruppo (oggi singolarmente), si sentiva (si sente), parte e non comparsa, non si chiede oggi neppure di muoversi, bensì di manifestare e condividere il proprio odio comodamente dal divano di casa, dal tablet o dallo smarphone, mentre si guarda la nuova serie, si dormicchia o si amoreggia.

A nutrire gli istinti e a farsi legittimare come portavoce del popolo, in un amplesso perverso con il proprio pubblico belante, lavorano con solerzia, come una volta – davvero nihil sub sole novi, a parte l’unica eccezione che il Qoelet prefigura – giornali, telegiornali e talk show nella versione socializzata – mica i più estremisti, tutti fanno la propria parte – ripieni di voci, sospetti, accuse, inchieste, interviste e soprattutto di fotonotizie, che sono la versione fulminea della sentenza, va da sé, inappellabile, resa, non dico ante processo, ma nel corso stesso delle indagini e ben prima della conclusione.

Questo storytelling mediatico-giudiziario è funzionale, da una parte, a vellicare il brivido vertiginoso del pubblico di accertare che i politici sono mediocri, come li si è ardentemente voluti per coprire la propria mediocrità (del resto, si sostiene, uno vale uno e quindi ciascuno è fungibile), e, dall’altra, ad alimentare gli aneliti verso il grande moralizzatore che, questa volta sì, faccia tabula rasa e consenta finalmente di creare un mondo nuovo votato alla religione dei nuovi diritti, della decrescita, del bene comune, dell’onestà e della trasparenza.

Chi è chiamato allora ad interpretare queste istanze, creare e plasmare l’invocato mondo nuovo, maieuticamente o forzatamente, con le buone o con le cattive?

Non vi è dubbio: la magistratura sacerdotale che sola ha capacità e facoltà per etero-dirigere la democrazia zoppicante. Un’indagine in corso molto più di una motivata critica ha la capacità di azzerare la salivazione al politico di turno, confermando così che il vecchio assioma “nessun nemico a sinistra” va stemperandosi lentamente a favore del nuovo “nessun nemico in procura”.

Social, giornali e magistratura agiscono simbioticamente in un gioco ormai perfettamente oliato senza direttore d’orchestra perché anche quello è diffuso e liquido, e forzano la mano al parlamento.

Secondo fenomeno: leggi indotte.

Leggi marketing sono la conseguenza del drafting emotivo. Non c’è via di scampo, la legge deve essere approvata: ieri sullo stalking, sul femminicidio, sulle vittime della strada, sul bullismo, sulle unioni (matrimonio) omosessuali, oggi sul fine vita, sulle fake news e domani sulla maternità estesa (perché surrogata potrebbe non piacere al politicamente corretto).

In un certo senso cosa contenga la legge è secondario: il popolo dei social chiama, la magistratura impone e il parlamento risponde. Mi domando con quale autonomia e indipendenza il parlamentare assolva il proprio mandato: l’opzione “nessuna legge” non è contemplata, eppure dovrebbe essere la prima questione a porsi.

Io non credo che ci stiamo rendendo conto realmente a quali conseguenze conduca quest’opera incessante di positivizzazione delle emozioni.

Ieri il popolo si placava – momentaneamente – alla vista della testa mozzata del nobile/nemico del popolo di turno, oggi non basta quella, che pure ottiene con estrema facilità, ma occorre anche la legge, il cui processo di sacralizzazione nella democrazia indotta contemporanea alimenta le aspettative per la successiva, perché in fondo il gioco divertente è proprio questo: non c’è fine e non c’è limite, non c’è trucco e non c’è inganno, basta conquistare il potere (anche mediaticamente) e tutto è permesso alla minoranza aggressiva e organizzata.

In questo contesto, riflettere e discernere è sempre più difficile, anzi rischia di diventare operazione insostenibile: molto più semplice lasciarsi cullare dalla corrente ininterrotta o, al più, tacere e chiudersi in se stessi nell’illusoria attesa che l’alta marea passi. Non sarà così.

Il cerchio, per connivenza o vigliaccheria, si chiude.