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I piedi in poesia, nella lirica di Erri de Luca

Erri De Luca
Erri De Luca

Ci abbiamo mai pensato, noi, ai nostri piedi? Alla generosa fatica che compiono ogni giorno? A quello che rappresentano quando sono stanchi e indifesi? Alla leggerezza del loro peso, dopo una notte di riposo?

Noi forse no, ma un grande scrittore e poeta napoletano come Erri de Luca, sì. E l’ha fatto attraverso una poesia che sembra un’iniezione di vita, di coraggio, di pudore.

L’eclettico scrittore, poeta, giornalista e traduttore, classe 1950, ha dedicato alle nostre estremità la poesia “Elogio dei piedi” che fa parte della raccolta “Altre prove di risposta”Edizioni Libreria Dante & Descartes, Napoli, 2008.

Con questi versi attraverso i piedi De Luca racconta tutta un’esistenza, attraverso un testo essenziale e scarnificato, denso e leggero allo stesso tempo, piccolo e immenso, che alla fine ci induce a riguardare le nostre estremità con gratitudine, amore e rispetto.

 

Elogio dei piedi
di Erri de Luca

Perché sono lontani dalla testa.
Perché conoscono il suolo, le spine, i serpenti, l’aspro e lo sdrucciolo.
Perché sono tutto l’equilibrio.
Perché sono la superficie che spetta quando si sta in una folla e si sopporta un gomito altrui in una costola, un braccio sotto al naso, una cartella nell’addome, ma non si permette a nessuno di calpestarceli.
Perché sono il minimo e inviolabile confine.
Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato.
E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché scalzi sono belli.

Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Puskin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip tap, la ruffiana tarantella.

Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere a qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché come le capre amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.