Idee per l’attrazione e l’impiego delle sponsorizzazioni nelle aziende culturali
L’azienda culturale[1] è quella particolare forma d’impresa volta alla produzione ovvero alla somministrazione di servizi nei settori delle arti visuali, delle arti performative e del patrimonio culturale[2].
Non necessariamente, come pure ritenuto da certa dottrina[3], le aziende culturali hanno natura essenzialmente erogativa e nemmeno per tendenza esse risultano non orientate al profitto; quantunque, infatti, anche le aziende culturali che svolgano meramente attività di somministrazione devono perseguire un risultato efficiente “giacché produrre anche senza lo stimolo del lucro non significa di accettare di produrre male e a qualunque costo, ponendo gli oneri di simile condotta a carico della collettività”[4].
È indubbio che tendenzialmente i ricavi delle aziende culturali derivanti dai diritti d’ingresso dei visitatori non riescano a coprire i costi di gestione[5], laddove il prezzo del biglietto non può essere parametrato sui costi[6] né può avere effetti discriminatori esclusivi.
Senza tacere, vieppiù, del fatto che particolari aziende culturali – quali le biblioteche – non possono subordinare l’accesso a fee di sorta[7].
Un ottimo strumento di implementazione degli introiti o riduzione del debito[8] è la sponsorizzazione culturale[9], tipizzata dal Legislatore all’interno del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e con evidenti utili risvolti sul piano fiscale.
La sponsorizzazione non è però autoreferenziale nel senso che lo sponsor deve essere attratto e motivato ad investire i propri capitali.
La gestione della sponsorship dell’azienda culturale deve perciò essere attuata secondo una precisa metodologia operativa, basata sulla creazione di vigorosi appeal per gli operatori economici del contesto territoriale di riferimento.
Il potenziale sponsor deve essere direttamente coinvolto nella gestione dell’azienda culturale. Pertanto il board (o, ancor meglio, il direttore) ha la responsabilità di convocare periodicamente riunioni interlocutorie con le organizzazioni rappresentative degli imprenditori onde illustrare gli stati di avanzamento delle politiche pianificatorie, da basare sui bisogni dei fruitori altresì eventuali[10].
Il sostegno, logistico e mediatico, delle autorità politiche è imprescindibile[11].
Nondimeno, lo sponsor non è un mecenate, indi non dà risorse senza un corrispettivo.
Indi bisognerebbe studiare la controprestazione dell’azienda culturale sponsorizzata.
All’uopo dovrebbe distinguersi tra potenziali sponsor direttamente connessi alle attività dell’azienda culturale e potenziali sponsor ad essa estranei. Si porti un esempio pratico: l’officina per autoveicoli o la rivendita di apparecchi informatici appartengono all’ultimo novero, mentre la libreria o la caffetteria o, ancora, la stireria vanno ascritte al primo insieme. Cosicché l’autofficina o il negozio di computer potrebbero fungere da sponsor “puri” ed elargire somme di denaro a fronte delle quali i relativi loghi verrebbero stampati sulle divise del personale, sui tagliandi dei ticket, sui depliant illustrativi; diversamente, quali sponsor “tecnici”, la libreria potrebbe gestire il book-shop, la caffetteria sarebbe chiamata a gestire il drink and food corner e la stireria si occuperebbe del guardaroba.
Gli sponsor sono ineludibilmente legati al raggiungimento degli equilibri finanziari delle aziende culturali, anche considerando che – al di là della relativa possibilità teorica – l’inserimento del patrimonio culturale nello stato patrimoniale non è concretamente praticabile, atteso che esso, in disparte i vari vincoli di inalienabilità o alienabilità relativa, rappresenta il cuore pulsante di qualsivoglia attività aziendale.
Imprescindibile è infine il controllo costante della non insorgenza di situazioni di conflitto tra sponsor: le aziende culturali non potranno contemporaneamente ricevere prestazioni da operatori economici in diretta concorrenza reciproca; al riguardo, le imprese che manifestino interesse alla sponsorizzazione ma ne siano precluse a cagione della presenza di un competitor saranno collocate in una sorta di lista d’attesa e vanteranno un diritto di prelazione al subentro non appena sarà cessato il rapporto tra l’azienda culturale e il competitor medesimo.
[1] M. ADORNO – T. HORKHEIMER, The Culture Industry: Enlightenment as Mass Deception, Routledge, Londra, 1944.
[2] G. CANDELA – M. CASTELLANI, L’economia e l’arte, in Journal of analytical and institutional economics, 3, 2000; G. MAGNANI, Le aziende culturali. Modelli manageriali, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 18 e 19.
[3] G. MAGNANI, op. cit., pp. 19 e 20.
[4] P. ONIDA, Economia d’azienda, UTET, Torino, 1960, p. 8.
[5] M. NOVA, Il bilancio dell’azienda teatro, Egea, Milano, 2003, p. 125.
[6] C. CHIRIELEISON, La gestione strategica dei musei, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 283-285.
[7] G. SOLIMINE, La biblioteca. Scenari culturali, pratiche di servizio, Laterza, Bari, 2004.
[8] P. DUBINI, L’attrattività del sistema paese. Attrazione di investimenti e la creazione di relazioni, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, pp. 169 e ss.
[9] M. TOCCI, Lineamenti sul contratto di sponsorizzazione dei beni culturali, Filodiritto, Bologna, 2015.
[10] R. RENTSCHELER, Museum marketing: understanding audience, in R. SANDEL – R. R. JANES (edited by), Museum management and marketing, Routledge, Leicester, 2007, pp. 355 e ss.
[11] D. HESMONDHALG – A. C. PRATT, Cultural industries and cultural policies, in International Journal of Cultural Policy, 11 (1), pp. 1-44.