Il collegio sindacale dopo la riforma del diritto societario
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n. 231, così rubricato "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300" ha introdotto, come ormai noto, per la prima volta nel nostro ordinamento, la responsabilità in sede penale degli enti, che si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito.
Oltre alle persone fisiche la responsabilità si applica anche alle persone giuridiche, e mira a coinvolgere nell’applicazione della pena per taluni illeciti penali non solo il patrimonio degli enti, ma anche gli interessi economici dei soci i quali, fino all’entrata in vigore della legge de qua non venivano affatto coinvolti dalle conseguenze della realizzazione dei reati eventualmente commessi, a vantaggio della società, dagli amministratori e/o dipendenti. Il principio della personalità della responsabilità penale infatti lasciava queste figure indenni da qualsiasi conseguenza sanzionatoria, con esclusione dell’eventuale azione per risarcimento danno, se applicabile.
Sul piano penale poi la nuova normativa produce effetti a dir poco dirompenti in quanto né l’ente, né i soci possono dirsi estranei al procedimento penale per reati commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Tutto questo determina un interesse di quei soggetti che partecipano alle vicende patrimoniali dell’ente, al controllo della regolarità e della legalità dell’operato sociale.
E’ appena il caso di ricordare che questa nuova tipologia di responsabilità sorge solo in occasione della realizzazione di determinati tipi di reati posti in essere da soggetti legati a vario titolo all’ente, e solo in ipotesi che la condotta illecita sia stata realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.
Passando nello specifico della nostra analisi si rileva che il Legislatore, con le ultime norme di riforma, ha operato un ampliamento soggettivo attraverso il quale ha previsto che i membri del Collegio Sindacale, individuati dal 2° comma dell’art. 2397 c.c., possano essere anche scelti fra gli iscritti negli albi professionali tenuti dai rispettivi ordini e collegi, vigilati dal Ministero di Grazia e Giustizia, quali professori universitari, avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, ragionieri. Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio, coloro che si trovano nelle condizioni di cui all’art. 2382 e 2359 c.c.. Il tipo di responsabilità cui sono tenuti i sindaci è quello di adempiere alla proprie funzioni e ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, secondo il dettato dell’art. 2407 c.c.. L’azione di responsabilità contro i sindaci è regolata dalle disposizioni di cui gli artt. 2393 e 2394 c.c.. I sindaci devono adempiere ai loro doveri con la diligenza del mandatario prevista dall’art. 1710 c.c., sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio, così come prescrive l’art. 2622 c.c. in combinato con l’art. 622 c.p..
Le esperienze, non tanto remote, dei gravi scandali finanziari, in primis Parmalat, ma anche Giacomelli Sport, Ciro ed altri, ci devono sollecitare qualche riflessione sulla totale assenza della catena di controlli interni ed esterni ai rispettivi gruppi sopraccitati, nonché sulla presenza degli Organi di Controllo, primo fra tutti il Collegio Sindacale, sia in presenza del c.d. regime ordinario, in alternativa al regime dualistico e/o monastico secondo le scelte statutarie.
La funzione del Collegio Sindacale è, ex art 2400 c.c., quella di vigilare sull’osservanza della legge e dei principi contenuti nello Statuto; sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società ovvero sul concreto funzionamento; sul controllo contabile, se previsto ex art. 2409 3° comma c.c., quale controllo di legittimità, adeguatezza contabile e pure sull’adozione di particolari criteri di valutazione di poste di bilancio con relative osservazioni e proposte.
Indipendentemente dai requisiti soggettivi, di cui ho parlato poc’anzi, è necessario soffermarci sull’analisi delle molteplici responsabilità che conseguono agli eventuali episodi di commistione di interessi, non sempre chiari, soprattutto nelle società quotate. Il Collegio Sindacale infatti rappresenta il baluardo della legalità all’interno della società, deve essere inteso quindi quale organo di controllo "vero e fattivo" e non come un mero controllore di facciata delle operazioni aziendali. Alla responsabilità civile, che si addebita in solido con gli amministratori ex art. 2407 2° comma c.c., la c.d. "culpa in vigilando", deve seguire sempre quella penale, atteso che le responsabilità indicate nel già citato art. 2407, non debbano intendersi come un generico dovere di vigilanza, bensì un obbligo di impedire atti lesivi degli interessi sociali, avuto riguardo alla veridicità delle loro attestazioni.
Un Collegio Sindacale che è inerte nella sua funzione, pur conoscendo l’esistenza di situazioni, a dir poco anomale, quali annotazioni in contabilità di fatture di operazioni inesistenti, con lo scopo di ridurre l’imponibile ai fini fiscali in danno dell’Erario, ovvero consentire l’alimentazione di conti extracontabili a favore degli stessi amministratori e/o prestanomi di questi; emissioni di fatture per operazioni inesistenti allo scopo di consentire ad altri di alleggerire il carico fiscale ovvero di documentare ricavi anche solo cartolari al fine di chiudere il bilancio d’esercizio in attivo, onde ottenere maggiore credibilità e fiducia nel mercato; costituzione di riserve occulte, allocate in paesi considerati Off Shore e alimentate tramite strutture import-export estero su estero; consentire la falsificazione sistematica di poste patrimoniali di bilancio al fine di alterare il risultato di gestione in danno dei creditori e della fede pubblica in generale. Un comportamento omissivo reiterato e consapevole non può e non deve essere considerato solo negligente, ma anche complice in coscienza e volontà di perseguire un fine illecito, alla stessa stregua dell’azione posta in essere dagli amministratori, non potendo escludere, addirittura, anche l’ipotesi di associazione a delinquere ex art. 416 bis del codice penale.
La riforma del diritto societario, del processo e del recente ampliamento delle categorie ammesse a ricoprire il ruolo di sindaco hanno riformulato le ipotesi di responsabilità, sia interna che esterna, di questa figura che, oltre a vedere consolidato lo storico ruolo del sindaco nella compagine societaria, inteso quale figura di garanzia per i soci e i terzi creditori, assume in sé l’idea di stabilità, efficienza e certezza dei dati proposti dal Consiglio di Amministrazione. Il tipo di responsabilità, come già detto, cui sono tenuti i sindaci è quello di adempiere alle proprie funzioni e ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico loro conferito, secondo quanto previsto dall’art. 2407 c.c.. La diligenza richiesta in tale caso non è quella dell’uomo medio, bensì quella specifica che ci si attende nell’espletamento del mandato affidato al sindaco. Viene anche posta in essere una responsabilità solidale tra i componenti il Collegio, uguale ed indistinta, in ragione della quale ciascuno potrà essere chiamato a rispondere del comportamento tenuto, come pure della gravità dello stesso.
Naturalmente in capo al sindaco rimangono i requisiti di indipendenza, richiesti dal combinato disposto dell’art. 2399 c.c. e D.P.R. 99/1998, in particolare, intrattenere con la società controllata rapporti continuativi o rilevanti di consulenza o collaborazione durante l’incarico e nei due anni antecedenti all’assunzione della carica; essere legato alla società controllata da rapporti di lavoro subordinato o autonomo, né esserlo stato nei tre anni precedenti; ricoprire la carica di amministratore nella società che conferisce l’incarico o nella società che controlla, né averla ricoperta nei tre anni antecedenti; trovarsi in una situazione dalla quale possa desumersi che, nel caso concreto, è compromessa gravemente l’idoneità al corretto svolgimento della funzione di controllo dei conti. Il controllo poi richiesto al Collegio Sindacale è lo stesso di cui all’art. 2403 2° comma c.c., finalizzato alla “verifica dell’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, non potendosi certamente estendere anche alla valutazione dell’opportunità delle scelte decisionali ovvero alla loro convenienza, il cui apprezzamento è riservato alla competenza esclusiva del Consiglio di Amministrazione e dei soci”. Diversa la situazione nel caso di progettazione di operazioni particolari non direttamente ricollegabili alla normale vita della società quali potrebbero essere lo scorporo del ramo d’azienda, fusioni o trasformazioni, dovendosi tuttavia fare riferimento alla disciplina specifica prevista per questo tipo di operazioni.
Circa il regime di responsabilità esistono tre elementi tipici: violazioni addebitate; danno patito e nesso di causalità fra le une e l’altro. I sindaci hanno l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso e di fornire la prova positiva, con riferimento a quanto viene loro addebitato, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Il regime di responsabilità registra l’innegabile nesso di causalità tra le violazioni loro addebitate, o presunte tali, e il danno accertato. I sindaci quindi possono essere chiamati a rispondere delle perdite patrimoniali della società solo nel caso e nella misura in cui quest’ultime siano ad essi direttamente imputabili.
Consolidata dottrina vuole attribuire quindi un ruolo di garante a tale Collegio, ma non gravarlo di responsabilità che, eccedendo i normali limiti, vizierebbe lo stesso ruolo assegnato, costringendo i sindaci ad una probatio diabolica. Il nesso di causalità vincola la dimostrabilità dell’asserito danno, non potendosi colpevolizzare il sindaco, unicamente per inerzia o per causa naturale. In previsione di ciò, nulla cambia in relazione alle nuove figure professionali che possono ricoprire l’incarico.
Nuova potenzialità non implica necessariamente più responsabilità ed efficienza. A riguardo cito la recente sentenza del Tribunale di Milano (n. 6721 del 26/5/2004), con la quale il Tribunale stesso afferma che: “… per il riconoscimento delle pretese malefatte dell’organo gestorio e la silente presenza dell’organo di controllo, essendo invece indispensabile l’identificazione dell’azione cui era concretamente tenuto il sindaco, nonché della specifica incidenza dannosa di tale omissione”, laddove è evidente che debba essere necessaria una prova concreta ed ineccepibile, oggettivamente documentata ed accertabile, in mancanza della quale “manca la stessa configurazione del danno che l’attivazione del convenuto avrebbe scongiurato”.
Gli articoli dal 2397 al 2409 del c.c. in materia societaria si occupano del controllo sindacale, mentre i successivi, dall’art. 2409 bis al 2409 septies, dispongono in merito al controllo contabile. Il Legislatore predispone un vero e proprio pacchetto di intervento su determinate fattispecie. L’art. 2409 bis dispone che la nomina del collegio sindacale è obbligatoria per le spa e per le srl di maggiori dimensioni, in base all’art. 2477 c.c..
Circa i controlli da effettuare cui sono chiamati i sindaci si rileva che, in base all’art. 2403 c.c. devono essere improntati su criteri di controllo di legalità, sul sistema amministrativo ed organizzativo e sul controllo della gestione. In base a quanto sopra esposto, dopo aver svolto le attività di cui all’art. 2409 bis, il Collegio Sindacale, nei casi in cui la sua presenza è obbligatoria, è tenuto ad agire nei seguenti campi in base all’art. 2403 c.c.. Il controllo di legalità riferisce in merito alla ottemperanza alle norme di legge e allo statuto; il controllo organizzativo riferisce in merito all’organigramma aziendale interno, relativamente alle singole mansioni svolte nell’impresa da controllare; il controllo sulla gestione riferisce sulle competenze, sulle professionalità, sugli eventuali conflitti di interessi che possono sorgere, o già essere in atto, nell’interno della società. In materia di controllo contabile, fermo restando la possibilità di scegliere fra il revisore dei conti o il collegio sindacale, a norma dell’art. 2409 bis 3° comma, ci si riferisce alle incombenze enunciate dall’art. 2409 ter.
Dovrà essere infatti espressa una “opinion” in merito all’attività societaria, che potrà essere un giudizio di conformità in merito di bilancio, senza riserve, con riserve su poste individuate, ovvero non conformità del bilancio alle norme di legge, impossibilità di esercitare i controllo necessari stabiliti dalla legge. Il citato comma 3° dell’art. 2409 bis c.c. è certamente rilevante per quelle società che hanno scelto di dotarsi del Collegio Sindacale, potendo in esso includere anche professionisti esterni e persone legate al mondo accademico.
E’ opinione indiscussa ed indiscutibile che l’apporto di queste personalità, su materie strettamente legate alla loro attività professionale, possa sconfinare nella discrezionalità di singole scelte inerenti più le mansioni degli amministratori, tuttavia la presenza di particolari professionalità sono da ritenersi comunque una risorsa positiva anche, e soprattutto nell’interesse dei soci.
Tutt’altra questione è verificare se, come e in che modo questo procedimento debba qualificarsi in tema di consulenza e cioè se la stessa possa o meno essere resa dallo stesso soggetto in costanza di un rapporto di consulenza di una società con business analogo o magari in diretta competizione tra loro. In tale situazione, mentre alcuni ritengono che il libero professionista debba essere sempre comunque libero di prestare la propria opera professionale, sia consulenza sia attività in seno al collegio, ad ogni singola azienda, proprio perché l’attività che viene da lui posta in essere è frutto della sua conoscenza e della sua alta professionalità, altri ritengono che comunque, chi presti la propria opera in seno ad un organo societario così importante, debba esimersi da ogni situazione, anche potenziale, di conflitto di interessi. Un’annotazione doverosa riguarda le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio. Il controllo contabile è esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili che, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell’attività di revisione prevista per le società emittenti con azioni quotata in mercati regolamentati ed alla vigilanza della Consob.
Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale del rischio, e che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato, può prevedere che il controllo contabile venga esercitato dal collegio sindacale. In tale caso il collegio in questione è costituito da revisori dei conti iscritti nell’apposito registro istituito presso il ministero di Grazia e Giustizia.
Il revisore o la società incaricata del controllo contabile, verifica nel corso dell’esercizio, con periodicità almeno trimestrale, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione delle scritture contabili dei fatti di gestione; verifica se il bilancio d’esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato, corrispondono alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti, e se sono conformi alle norme che li disciplinano; esprime con apposita relazione, un giudizio sul bilancio d’esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto. La relazione sul bilancio è depositata presso la sede della società a norma dell’art. 2429 c.c.. Il revisore o la società incaricata del controllo contabile può chiedere agli amministratori documenti e notizie utili al controllo e può procedere ad ispezioni. Documenta l’attività svolta in apposito libro, tenuto presso la sede della società, ovvero in luogo diverso, stabilito dallo statuto, secondo l’art. 2421 3° comma c.c.. In capo ai sindaci dunque è espressamente riconosciuto il dovere di vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, in particolare, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento. In tale ottica spetterebbe ai sindaci, in caso di omissione degli amministratori, suggerire l’adozione da parte del consiglio di misure idonee a prevenire il reato presupposto.
Se dunque la società individua nell’adozione di misure organizzative idonee a prevenire il rischio di reati, l’esatto adempimento del dovere di curare un adeguato assetto organizzativo, appartiene allora ai sindaci il dovere di vigilare affinché un tale dovere sia adempiuto da parte degli amministratori. In più, ai sindaci non spetta solo il compito di valutare in astratto il disegno organizzativo dell’impresa in termini di funzioni, procedure e processi, bensì anche in concreto che lo stesso disegno “giri” in modo adeguato in relazione alle dimensioni, alla natura ed alla attività dell’impresa.
Da ciò sembra quindi che, dal punto di vista della vigilanza, spetti anche ai sindaci la valutazione della bontà delle misure organizzative in discussione. Di qui i possibili presupposti della responsabilità di natura civilistica per omessa vigilanza e i problemi di coordinamento tra sindaci ed organismo di vigilanza. La nuova disciplina societaria ha peraltro affidato la funzione di vigilanza al collegio sindacale, la cui disciplina in termini di procedimento di nomina, requisiti di professionalità e di indipendenza e specificità di poteri e doveri, si attaglia meglio alla nuova figura, in considerazione che, così come prevista dall’art. 2403 c.c. nella versione contenuta nello schema di decreto legislativo di riforma prevede che gli stessi debbano valutare e vigilare "sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento".
Al di là dei mutamenti, anche in termini di requisiti di professionalità, che la nuova disciplina richiede, si finirebbe per snaturare tali istituti nella loro conformazione legislativa e fattuale, questo come per qualsiasi altra soluzione che ambisca ad attribuire la funzione di vigilanza sul modello organizzativo ad altri organi di controllo interni alla società. La peculiarità della funzione di vigilanza sul modello organizzativo impone poi un alto grado di specializzazione ed un’attività dedicata interamente alla valutazione di tale parte del sistema di controllo interno. Il contenuto di tale attività, nonché le modalità di esercizio, rendono difficile l’imputazione in capo ad organi societari senza interventi sia sul piano strettamente strutturale (numero, qualifica, retribuzione dei componenti), sia sul piano funzionale (possibilità di avvalersi di dipendi dell’impresa).
Da ciò ne consegue che uno statuto dell’organo di controllo interno, con strutture sempre più conformate a quelle dell’organo gestorio, soprattutto laddove, come nelle società quotate, non vi siano limiti dimensionali al collegio sindacale, si pensi all’individuazione di fatto di sindaci esecutivi e di sindaci non esecutivi, e i cui risvolti sul piano della disciplina civilistica e penalistica dovrebbero essere vagliati ogni volta con estrema attenzione. Diverso è il caso in cui ad essere nominato quale componente dell’organismo di vigilanza sia un sindaco. Poichè i poteri e i doveri del sindaco hanno fonte legislativa e statutaria, non sembra legittima una ricostruzione della loro designazione dell’organismo di vigilanza come delega interna da parte degli amministratori. Si potrebbe trattare di incarico professionale esterno. In tale ultimo caso tuttavia il rischioo che potrebbe ventilarsi è la perdita del requisito di indipendenza ai sensi dell’art. 2399 c.c..
Tali considerazioni lasciano presupporre che la soluzione migliore in ordine alla nomina del sindaco come componente dell’organismo di vigilanza e la relativa determinazione del compenso debba avvenire a carico dell’assemblea. La prassi in merito è eterogenea, e non sempre coerente con i principi societari, muovendosi, tuttavia, tra soluzioni non illegittime comunque , almeno in linea di principio.
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n. 231, così rubricato "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300" ha introdotto, come ormai noto, per la prima volta nel nostro ordinamento, la responsabilità in sede penale degli enti, che si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito.
Oltre alle persone fisiche la responsabilità si applica anche alle persone giuridiche, e mira a coinvolgere nell’applicazione della pena per taluni illeciti penali non solo il patrimonio degli enti, ma anche gli interessi economici dei soci i quali, fino all’entrata in vigore della legge de qua non venivano affatto coinvolti dalle conseguenze della realizzazione dei reati eventualmente commessi, a vantaggio della società, dagli amministratori e/o dipendenti. Il principio della personalità della responsabilità penale infatti lasciava queste figure indenni da qualsiasi conseguenza sanzionatoria, con esclusione dell’eventuale azione per risarcimento danno, se applicabile.
Sul piano penale poi la nuova normativa produce effetti a dir poco dirompenti in quanto né l’ente, né i soci possono dirsi estranei al procedimento penale per reati commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Tutto questo determina un interesse di quei soggetti che partecipano alle vicende patrimoniali dell’ente, al controllo della regolarità e della legalità dell’operato sociale.
E’ appena il caso di ricordare che questa nuova tipologia di responsabilità sorge solo in occasione della realizzazione di determinati tipi di reati posti in essere da soggetti legati a vario titolo all’ente, e solo in ipotesi che la condotta illecita sia stata realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.
Passando nello specifico della nostra analisi si rileva che il Legislatore, con le ultime norme di riforma, ha operato un ampliamento soggettivo attraverso il quale ha previsto che i membri del Collegio Sindacale, individuati dal 2° comma dell’art. 2397 c.c., possano essere anche scelti fra gli iscritti negli albi professionali tenuti dai rispettivi ordini e collegi, vigilati dal Ministero di Grazia e Giustizia, quali professori universitari, avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, ragionieri. Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio, coloro che si trovano nelle condizioni di cui all’art. 2382 e 2359 c.c.. Il tipo di responsabilità cui sono tenuti i sindaci è quello di adempiere alla proprie funzioni e ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, secondo il dettato dell’art. 2407 c.c.. L’azione di responsabilità contro i sindaci è regolata dalle disposizioni di cui gli artt. 2393 e 2394 c.c.. I sindaci devono adempiere ai loro doveri con la diligenza del mandatario prevista dall’art. 1710 c.c., sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio, così come prescrive l’art. 2622 c.c. in combinato con l’art. 622 c.p..
Le esperienze, non tanto remote, dei gravi scandali finanziari, in primis Parmalat, ma anche Giacomelli Sport, Ciro ed altri, ci devono sollecitare qualche riflessione sulla totale assenza della catena di controlli interni ed esterni ai rispettivi gruppi sopraccitati, nonché sulla presenza degli Organi di Controllo, primo fra tutti il Collegio Sindacale, sia in presenza del c.d. regime ordinario, in alternativa al regime dualistico e/o monastico secondo le scelte statutarie.
La funzione del Collegio Sindacale è, ex art 2400 c.c., quella di vigilare sull’osservanza della legge e dei principi contenuti nello Statuto; sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società ovvero sul concreto funzionamento; sul controllo contabile, se previsto ex art. 2409 3° comma c.c., quale controllo di legittimità, adeguatezza contabile e pure sull’adozione di particolari criteri di valutazione di poste di bilancio con relative osservazioni e proposte.
Indipendentemente dai requisiti soggettivi, di cui ho parlato poc’anzi, è necessario soffermarci sull’analisi delle molteplici responsabilità che conseguono agli eventuali episodi di commistione di interessi, non sempre chiari, soprattutto nelle società quotate. Il Collegio Sindacale infatti rappresenta il baluardo della legalità all’interno della società, deve essere inteso quindi quale organo di controllo "vero e fattivo" e non come un mero controllore di facciata delle operazioni aziendali. Alla responsabilità civile, che si addebita in solido con gli amministratori ex art. 2407 2° comma c.c., la c.d. "culpa in vigilando", deve seguire sempre quella penale, atteso che le responsabilità indicate nel già citato art. 2407, non debbano intendersi come un generico dovere di vigilanza, bensì un obbligo di impedire atti lesivi degli interessi sociali, avuto riguardo alla veridicità delle loro attestazioni.
Un Collegio Sindacale che è inerte nella sua funzione, pur conoscendo l’esistenza di situazioni, a dir poco anomale, quali annotazioni in contabilità di fatture di operazioni inesistenti, con lo scopo di ridurre l’imponibile ai fini fiscali in danno dell’Erario, ovvero consentire l’alimentazione di conti extracontabili a favore degli stessi amministratori e/o prestanomi di questi; emissioni di fatture per operazioni inesistenti allo scopo di consentire ad altri di alleggerire il carico fiscale ovvero di documentare ricavi anche solo cartolari al fine di chiudere il bilancio d’esercizio in attivo, onde ottenere maggiore credibilità e fiducia nel mercato; costituzione di riserve occulte, allocate in paesi considerati Off Shore e alimentate tramite strutture import-export estero su estero; consentire la falsificazione sistematica di poste patrimoniali di bilancio al fine di alterare il risultato di gestione in danno dei creditori e della fede pubblica in generale. Un comportamento omissivo reiterato e consapevole non può e non deve essere considerato solo negligente, ma anche complice in coscienza e volontà di perseguire un fine illecito, alla stessa stregua dell’azione posta in essere dagli amministratori, non potendo escludere, addirittura, anche l’ipotesi di associazione a delinquere ex art. 416 bis del codice penale.
La riforma del diritto societario, del processo e del recente ampliamento delle categorie ammesse a ricoprire il ruolo di sindaco hanno riformulato le ipotesi di responsabilità, sia interna che esterna, di questa figura che, oltre a vedere consolidato lo storico ruolo del sindaco nella compagine societaria, inteso quale figura di garanzia per i soci e i terzi creditori, assume in sé l’idea di stabilità, efficienza e certezza dei dati proposti dal Consiglio di Amministrazione. Il tipo di responsabilità, come già detto, cui sono tenuti i sindaci è quello di adempiere alle proprie funzioni e ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico loro conferito, secondo quanto previsto dall’art. 2407 c.c.. La diligenza richiesta in tale caso non è quella dell’uomo medio, bensì quella specifica che ci si attende nell’espletamento del mandato affidato al sindaco. Viene anche posta in essere una responsabilità solidale tra i componenti il Collegio, uguale ed indistinta, in ragione della quale ciascuno potrà essere chiamato a rispondere del comportamento tenuto, come pure della gravità dello stesso.
Naturalmente in capo al sindaco rimangono i requisiti di indipendenza, richiesti dal combinato disposto dell’art. 2399 c.c. e D.P.R. 99/1998, in particolare, intrattenere con la società controllata rapporti continuativi o rilevanti di consulenza o collaborazione durante l’incarico e nei due anni antecedenti all’assunzione della carica; essere legato alla società controllata da rapporti di lavoro subordinato o autonomo, né esserlo stato nei tre anni precedenti; ricoprire la carica di amministratore nella società che conferisce l’incarico o nella società che controlla, né averla ricoperta nei tre anni antecedenti; trovarsi in una situazione dalla quale possa desumersi che, nel caso concreto, è compromessa gravemente l’idoneità al corretto svolgimento della funzione di controllo dei conti. Il controllo poi richiesto al Collegio Sindacale è lo stesso di cui all’art. 2403 2° comma c.c., finalizzato alla “verifica dell’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, non potendosi certamente estendere anche alla valutazione dell’opportunità delle scelte decisionali ovvero alla loro convenienza, il cui apprezzamento è riservato alla competenza esclusiva del Consiglio di Amministrazione e dei soci”. Diversa la situazione nel caso di progettazione di operazioni particolari non direttamente ricollegabili alla normale vita della società quali potrebbero essere lo scorporo del ramo d’azienda, fusioni o trasformazioni, dovendosi tuttavia fare riferimento alla disciplina specifica prevista per questo tipo di operazioni.
Circa il regime di responsabilità esistono tre elementi tipici: violazioni addebitate; danno patito e nesso di causalità fra le une e l’altro. I sindaci hanno l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso e di fornire la prova positiva, con riferimento a quanto viene loro addebitato, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Il regime di responsabilità registra l’innegabile nesso di causalità tra le violazioni loro addebitate, o presunte tali, e il danno accertato. I sindaci quindi possono essere chiamati a rispondere delle perdite patrimoniali della società solo nel caso e nella misura in cui quest’ultime siano ad essi direttamente imputabili.
Consolidata dottrina vuole attribuire quindi un ruolo di garante a tale Collegio, ma non gravarlo di responsabilità che, eccedendo i normali limiti, vizierebbe lo stesso ruolo assegnato, costringendo i sindaci ad una probatio diabolica. Il nesso di causalità vincola la dimostrabilità dell’asserito danno, non potendosi colpevolizzare il sindaco, unicamente per inerzia o per causa naturale. In previsione di ciò, nulla cambia in relazione alle nuove figure professionali che possono ricoprire l’incarico.
Nuova potenzialità non implica necessariamente più responsabilità ed efficienza. A riguardo cito la recente sentenza del Tribunale di Milano (n. 6721 del 26/5/2004), con la quale il Tribunale stesso afferma che: “… per il riconoscimento delle pretese malefatte dell’organo gestorio e la silente presenza dell’organo di controllo, essendo invece indispensabile l’identificazione dell’azione cui era concretamente tenuto il sindaco, nonché della specifica incidenza dannosa di tale omissione”, laddove è evidente che debba essere necessaria una prova concreta ed ineccepibile, oggettivamente documentata ed accertabile, in mancanza della quale “manca la stessa configurazione del danno che l’attivazione del convenuto avrebbe scongiurato”.
Gli articoli dal 2397 al 2409 del c.c. in materia societaria si occupano del controllo sindacale, mentre i successivi, dall’art. 2409 bis al 2409 septies, dispongono in merito al controllo contabile. Il Legislatore predispone un vero e proprio pacchetto di intervento su determinate fattispecie. L’art. 2409 bis dispone che la nomina del collegio sindacale è obbligatoria per le spa e per le srl di maggiori dimensioni, in base all’art. 2477 c.c..
Circa i controlli da effettuare cui sono chiamati i sindaci si rileva che, in base all’art. 2403 c.c. devono essere improntati su criteri di controllo di legalità, sul sistema amministrativo ed organizzativo e sul controllo della gestione. In base a quanto sopra esposto, dopo aver svolto le attività di cui all’art. 2409 bis, il Collegio Sindacale, nei casi in cui la sua presenza è obbligatoria, è tenuto ad agire nei seguenti campi in base all’art. 2403 c.c.. Il controllo di legalità riferisce in merito alla ottemperanza alle norme di legge e allo statuto; il controllo organizzativo riferisce in merito all’organigramma aziendale interno, relativamente alle singole mansioni svolte nell’impresa da controllare; il controllo sulla gestione riferisce sulle competenze, sulle professionalità, sugli eventuali conflitti di interessi che possono sorgere, o già essere in atto, nell’interno della società. In materia di controllo contabile, fermo restando la possibilità di scegliere fra il revisore dei conti o il collegio sindacale, a norma dell’art. 2409 bis 3° comma, ci si riferisce alle incombenze enunciate dall’art. 2409 ter.
Dovrà essere infatti espressa una “opinion” in merito all’attività societaria, che potrà essere un giudizio di conformità in merito di bilancio, senza riserve, con riserve su poste individuate, ovvero non conformità del bilancio alle norme di legge, impossibilità di esercitare i controllo necessari stabiliti dalla legge. Il citato comma 3° dell’art. 2409 bis c.c. è certamente rilevante per quelle società che hanno scelto di dotarsi del Collegio Sindacale, potendo in esso includere anche professionisti esterni e persone legate al mondo accademico.
E’ opinione indiscussa ed indiscutibile che l’apporto di queste personalità, su materie strettamente legate alla loro attività professionale, possa sconfinare nella discrezionalità di singole scelte inerenti più le mansioni degli amministratori, tuttavia la presenza di particolari professionalità sono da ritenersi comunque una risorsa positiva anche, e soprattutto nell’interesse dei soci.
Tutt’altra questione è verificare se, come e in che modo questo procedimento debba qualificarsi in tema di consulenza e cioè se la stessa possa o meno essere resa dallo stesso soggetto in costanza di un rapporto di consulenza di una società con business analogo o magari in diretta competizione tra loro. In tale situazione, mentre alcuni ritengono che il libero professionista debba essere sempre comunque libero di prestare la propria opera professionale, sia consulenza sia attività in seno al collegio, ad ogni singola azienda, proprio perché l’attività che viene da lui posta in essere è frutto della sua conoscenza e della sua alta professionalità, altri ritengono che comunque, chi presti la propria opera in seno ad un organo societario così importante, debba esimersi da ogni situazione, anche potenziale, di conflitto di interessi. Un’annotazione doverosa riguarda le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio. Il controllo contabile è esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili che, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell’attività di revisione prevista per le società emittenti con azioni quotata in mercati regolamentati ed alla vigilanza della Consob.
Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale del rischio, e che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato, può prevedere che il controllo contabile venga esercitato dal collegio sindacale. In tale caso il collegio in questione è costituito da revisori dei conti iscritti nell’apposito registro istituito presso il ministero di Grazia e Giustizia.
Il revisore o la società incaricata del controllo contabile, verifica nel corso dell’esercizio, con periodicità almeno trimestrale, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione delle scritture contabili dei fatti di gestione; verifica se il bilancio d’esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato, corrispondono alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti, e se sono conformi alle norme che li disciplinano; esprime con apposita relazione, un giudizio sul bilancio d’esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto. La relazione sul bilancio è depositata presso la sede della società a norma dell’art. 2429 c.c.. Il revisore o la società incaricata del controllo contabile può chiedere agli amministratori documenti e notizie utili al controllo e può procedere ad ispezioni. Documenta l’attività svolta in apposito libro, tenuto presso la sede della società, ovvero in luogo diverso, stabilito dallo statuto, secondo l’art. 2421 3° comma c.c.. In capo ai sindaci dunque è espressamente riconosciuto il dovere di vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, in particolare, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento. In tale ottica spetterebbe ai sindaci, in caso di omissione degli amministratori, suggerire l’adozione da parte del consiglio di misure idonee a prevenire il reato presupposto.
Se dunque la società individua nell’adozione di misure organizzative idonee a prevenire il rischio di reati, l’esatto adempimento del dovere di curare un adeguato assetto organizzativo, appartiene allora ai sindaci il dovere di vigilare affinché un tale dovere sia adempiuto da parte degli amministratori. In più, ai sindaci non spetta solo il compito di valutare in astratto il disegno organizzativo dell’impresa in termini di funzioni, procedure e processi, bensì anche in concreto che lo stesso disegno “giri” in modo adeguato in relazione alle dimensioni, alla natura ed alla attività dell’impresa.
Da ciò sembra quindi che, dal punto di vista della vigilanza, spetti anche ai sindaci la valutazione della bontà delle misure organizzative in discussione. Di qui i possibili presupposti della responsabilità di natura civilistica per omessa vigilanza e i problemi di coordinamento tra sindaci ed organismo di vigilanza. La nuova disciplina societaria ha peraltro affidato la funzione di vigilanza al collegio sindacale, la cui disciplina in termini di procedimento di nomina, requisiti di professionalità e di indipendenza e specificità di poteri e doveri, si attaglia meglio alla nuova figura, in considerazione che, così come prevista dall’art. 2403 c.c. nella versione contenuta nello schema di decreto legislativo di riforma prevede che gli stessi debbano valutare e vigilare "sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento".
Al di là dei mutamenti, anche in termini di requisiti di professionalità, che la nuova disciplina richiede, si finirebbe per snaturare tali istituti nella loro conformazione legislativa e fattuale, questo come per qualsiasi altra soluzione che ambisca ad attribuire la funzione di vigilanza sul modello organizzativo ad altri organi di controllo interni alla società. La peculiarità della funzione di vigilanza sul modello organizzativo impone poi un alto grado di specializzazione ed un’attività dedicata interamente alla valutazione di tale parte del sistema di controllo interno. Il contenuto di tale attività, nonché le modalità di esercizio, rendono difficile l’imputazione in capo ad organi societari senza interventi sia sul piano strettamente strutturale (numero, qualifica, retribuzione dei componenti), sia sul piano funzionale (possibilità di avvalersi di dipendi dell’impresa).
Da ciò ne consegue che uno statuto dell’organo di controllo interno, con strutture sempre più conformate a quelle dell’organo gestorio, soprattutto laddove, come nelle società quotate, non vi siano limiti dimensionali al collegio sindacale, si pensi all’individuazione di fatto di sindaci esecutivi e di sindaci non esecutivi, e i cui risvolti sul piano della disciplina civilistica e penalistica dovrebbero essere vagliati ogni volta con estrema attenzione. Diverso è il caso in cui ad essere nominato quale componente dell’organismo di vigilanza sia un sindaco. Poichè i poteri e i doveri del sindaco hanno fonte legislativa e statutaria, non sembra legittima una ricostruzione della loro designazione dell’organismo di vigilanza come delega interna da parte degli amministratori. Si potrebbe trattare di incarico professionale esterno. In tale ultimo caso tuttavia il rischioo che potrebbe ventilarsi è la perdita del requisito di indipendenza ai sensi dell’art. 2399 c.c..
Tali considerazioni lasciano presupporre che la soluzione migliore in ordine alla nomina del sindaco come componente dell’organismo di vigilanza e la relativa determinazione del compenso debba avvenire a carico dell’assemblea. La prassi in merito è eterogenea, e non sempre coerente con i principi societari, muovendosi, tuttavia, tra soluzioni non illegittime comunque , almeno in linea di principio.