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Il diritto davanti alle sfide della globalizzazione

I giuristi, attori di primo piano nel panorama dell’era globale.
Abstract: La globalizzazione è un processo che ha riflessi anche sul mondo del diritto e degli operatori giuridici. Di fronte ai repentini mutamenti cui è sottoposta la realtà sociale, spetta ai giuristi guidare il diritto in questa epoca di grandi cambiamenti, di modo che esso possa divenire, pientamente, uno strumento capace di trovare risposte ai nuovi bisogni emergenti da una società in continua trasformazione.

 

Abstract in English: Globalization is a phenomenon that affects juridical sphere and jurists too. Jurists should be able to handle this new situation, facing a society that is continuosly changing; following this path, right would be a way to find answers to several questions that are emerging nowdays.

 

 

 

La globalizzazione è, al giorno d’oggi, un tema assai attuale che anima molti dibattiti scientifici; basti notare la sconfinata bibliografia esistente in materia. L’intento di questo articolo è mettere in luce come tale fenomeno possa avere riflessi anche sul piano del diritto e, più specificatamente, sull’opera dei giuristi.

 

La globalizzazione si presenta come un un processo intersettoriale. Ralf Dahrendorf ha sostenuto che «le forze della globalizzazione sono potenti dovunque» (Quadrare il cerchio, benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Laterza, Roma – Bari, 2001): ecco perché, più che parlare di globalizzazione al singolare, è opportuno parlare di ‘globalizzazioni’ al plurale (O. Roselli, Avvocati d’affari e giuristi di impresa. Formazione e aggiornamento, in G. Morbidelli, P. F. Lotito, O. Roselli, Avvocati d’affari e giuristi d’impresa – formazione ed aggiornamento, ESI, Napoli, 2007), in quanto questo fenomeno presenta più profili (si può parlare, ad esempio, di globalizzazione del mercato, della cultura, della criminalità, dei flussi migratori e così via). Vi è, insomma, è un superamento dei confini che interessa più settori della vita sociale e ciò produce, inevitabilmente, degli effetti anche sul piano giuridico.

 

Il diritto è, infatti, un elemento fondamentale del vivere sociale; se la società è in trasformazione, non si può concepire un diritto statico e immutabile, incurante delle nuove necessità della società globale. D’altra parte, nello spazio globale i soggetti hanno la possibilità di entrare in contatto con sistemi normativi diversi: il multilocalismo comporta una de-assolutizzazione e una “de-sacralizzazione” dei riferimenti normativi consueti al proprio luogo di origine (M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2000), così che i modelli giuridici d’appartenenza non appaiono più fissi e immutabili. Si coglie l’occasione per incrementare lo studio degli istituti giuridici esterni attraverso la comparazione; in tal modo è possibile formare una cultura giuridica non limitata alla sfera nazionale, ma tendente verso una «universalità del diritto» (S. Cassese, Universalità del diritto, ESI, Napoli, 2005).

 

Non va dimenticato che la globalizzazione è figlia della cultura americana (prima di tutto) e anglosassone; ciò vuol dire che, a livello giuridico, vi è una forte immissione di valori propri della cultura di common law nel nostro mondo di civil law. Tradizionalmente queste due famiglie giuridiche vengono presentate per contrapposizione allo scopo di evidenziarne le diversità, nonostante gli incontri che nel tempo, inevitabilmente, si possono rintracciare; ma è proprio adesso, nell’epoca della mondializzazione, che questa trama di intrecci è ancora più evidente. I due sistemi muovono verso soluzioni simili, dettate dalle esigenze del mercato e della società globale e sono accomunate dalla cultura occidentale, alla quale entrambe appartengono. Si assiste, in tal modo, alla diffusione di una cultura giuridica a livello mondiale, che giunge agli ordinamenti europei di civil law, nei quali si può cogliere lo stimolo per un ripensamento di alcuni tratti di questa tradizione.

 

Solitamente, alla dicotomia common law/civil law se ne accompagna un’altra: quella fra oralità e scrittura. Mentre la tradizione di common law è sempre stata più vicina al modello dell’oralità, la tradizione di civil law si è sostanzialmente identificata con la scrittura. Tenendo ben presente il substrato culturale al quale oralità e scrittura sono riferite, è opportuno notare come, nel corso del tempo, si siano avuti comunque degli incontri tra questi due diversi modi per raccontare il diritto. La contaminazione è ben individuabile anche nell’era della globalizzazione, che però sembra colpire più profondamente il sistema della scrittura, ricavando uno spazio maggiore per l’oralità. Questo non significa la fine del modello basato sulla scrittura; semmai, si moltiplicano gli intrecci fra questa e il modello basato sull’oralità. L’espansione crescente del mercato ha bisogno, in particolar modo, di un diritto funzionale alla rapidità degli scambi economici, un diritto capace di adattarsi continuamente alle circostanze che si presentano. Il diritto globale è immerso nella vita sociale; è un diritto a dimensione «longitudinale» (M. R: Ferrarese, op. cit.), proprio perché inseparabile dalla realtà sociale, nella quale sorgono nuove esigenze giuridiche che necessitano di soluzioni innovative dal mondo del diritto.

 

Più che andare del tutto verso l’oralità o la scrittura, il diritto globale punta quindi all’efficienza, in virtù delle situazioni che deve regolare. Il diritto della globalizzazione si pone, dunque, a metà strada tra oralità e scrittura, per l’economicità che deriva dall’incrocio tra esse. Avvalersi di una doppia tecnologia della parola significa per il diritto, come ha scritto Maria Rosaria Ferrarese (ibidem), “vincere più facilmente la sfida di funzionare a dispetto della diversità dei contesti”. Questa tensione verso il maggior grado di efficienza possibile è irrinunciabile per il diritto proprio adesso che la globalizzazione pone le attuali culture giuridiche davanti a nuovi e sconfinati orizzonti.

 

Numerosi spunti giungono, poi, dalle nuove tecnologie delle comunicazioni, che sono certamente più vicine all’oralità che alla scrittura, col risultato che quest’ultima viene, spesso, superata in velocità. L’oralità presenta una maggiore capacità di diffusione (la conoscenza della lingua inglese è ormai fondamentale, anche tra gli operatori giuridici): tuttavia, non può prescindere del tutto dalla scrittura. Questa, allo stesso tempo, si adatta alle nuove tecnologie, guadagnandone in immediatezza e mutuando alcune caratteristiche dall’oralità (basti pensare al tono abbastanza informale con cui spesso vengono scritte le e-mail).

 

Questi continui incroci fra common law e civil law e tra oralità e scrittura, accentuati nella globalizzazione, sono da mettere in collegamento anche col binomio globale/locale. La scrittura si presta bene a costituire la piattaforma del diritto a livello globale, funzionando come una sorta di ‘cornice’; l’oralità, invece, si riporta al contesto locale, perché si tratta di adattare quanto è stato ‘scritto’ a livello globale. Nel riportare al paesaggio giuridico locale le regole elaborate a livello globale, l’oralità permette una maggiore duttilità, anche se non può fare a meno del tutto della scrittura.

 

Il diritto dell’era globale svolge, così, la funzione di “lingua parlata” permettendo a diverse nazionalità di comunicare fra di loro. Il risultato di queste continue compenetrazioni è un diritto «glocale» (ibidem), che coniuga insieme oralità e scrittura, piuttosto che scegliere l’una o l’altra, sempre nell’ottica del maggior grado di efficienza possibile.

 

Certamente, la globalizzazione ha effetti più marcati nel panorama di civil law, che si trova davanti ad un fenomeno destrutturante; ma anche la tradizione di common law, da parte sua, non manca di risentire gli effetti delle spinte fra globale e locale. Le reazioni sono quindi differenziate, anche se più marcate nel modello di civil law; come ha osservato l’attuale Giudice della Corte Costituzionale Paolo Grossi, «la globalizzazione serve da incrinatura in un monolito altrimenti assai restio a farsi logorare dal tempo, serve da potente scossone per il giurista europeo inducendolo almeno a riflettere criticamente sui nodi della civiltà giuridica occidentale» (Globalizzazione e pluralismo giuridico, in Quaderni fiorentini, 2000, fasc. 29).

 

La globalizzazione ha messo le proprie radici prima negli interessi economici, poi le ha allungate fino al diritto; adesso spetta al giurista avventurarsi in questa nuova realtà, in quanto egli si trova davanti a cambiamenti epocali che investono la sfera giuridica ed è suo compito analizzare come affrontarli.

 

Gli strumenti che egli ha a disposizione sono quelli propri della cultura giuridica alla quale appartiene, il che costituisce un’ottima occasione per ampliare la sua mentalità giuridica, venendo a confrontarsi con nuove culture, nuove esigenze, nuovi strumenti, in un’ottica di apertura e maturazione scientifica.

 

Questa opportunità di svolta non è, però, priva di rischi: abbandonare i porti sicuri della scienza giuridica, così faticosamente raggiunti, può sembrare anche incosciente, da un certo punto di vista. Altro pericolo è quello paventato da Grossi (ibidem), per cui il diritto e il ruolo degli operatori giuridici rischierebbero di essere asserviti a mere logiche di mercato, da parte dei detentori del potere economico, per raggiungere a tutti i costi il profitto. In ciò, il giurista deve fuggire da facili entusiasmi e, per così dire, ‘rimboccarsi le maniche’ per il nuovo lavoro che lo attende. La riflessione sul diritto deve partire dalla constatazione della pluralità di piani presenti nella società globale (a partire dal più volte ricordato binomio fra globale e locale), nonchè della pluralità degli interessi che si ivi si fronteggiano.

 

E’ un compito importante, quello dello specialista giuridico, poiché il diritto, nella storia dell’umanità, ha sempre rappresentato una forza di conciliazione fra interessi contrapposti: a maggior ragione questo ruolo è fondamentale nell’epoca della globalizzazione, dove si intersecano innumerevoli interessi, provenienti dai soggetti più disparati. A questo fine il diritto non deve essere un prodotto per pochi, ma uno strumento per molti (se ’tutti’ appare troppo utopistico, stante le contraddizioni ancora esistenti nella società globale) e il peso di questo cambiamento è sulle spalle del giurista. L’intera comunità giuridica è chiamata a questo compito, ognuno dal proprio diverso modo di operare: accademici, avvocati, notai, giudici, consulenti legali e via dicendo. Il contributo di questi soggetti è parimenti importante, se si vogliono cogliere le opportunità che la globalizzazione, agendo sul diritto, può offrire.

 

Recupero della dimensione sociale del diritto e protagonismo dei giuristi sono due punti chiave per comprendere l’impatto della globalizzazione sul mondo del diritto; quest’ultimo torna ad essere una «cosa da giuristi» (P. Grossi, La formazione del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento epistemologico, in V. Cerulli Irelli, O. Roselli (a cura di), La riforma degli studi giuridici, ESI, Napoli, 2005), in risposta ad una precisa esigenza di questo tempo storico.

 

E’ per questo che è necessaria anche una revisione dell’identità del giurista. Egli non può pensare di restare barricato in aule o biblioteche; adesso è chiamato a svolgere un ruolo attivo, poiché il diritto dell’epoca mondiale è intriso di fattualità, si nutre della realtà sociale. E’ un diritto ricondotto all’impatto e al confronto con la vita e per questo necessita di scienziati capaci di coglierne questa nuova dimensione, di recuperare la giuridicità e riportarla alla realtà globale.

 

A questo scopo sarà necessario incrementare il dialogo fra i giuristi, nonché con specialisti di altre discipline (economiche, sociologiche, antropologiche e così via), per trovare soluzioni il più possibile condivise. In questo e nella dimensione sociale del diritto si afferma, quindi, il «primato della prassi» (P. Grossi, Il ruolo del giurista nell’attuale società italiana, in Rassegna forense, 2002, fasc. 3), che si trasmette così pienamente anche alla cultura di civil law.

 

Queste sono le sfide che il diritto ed i giuristi si trovano oggi ad affrontare; sono sfide che vanno raccolte, se non si vuole essere estromessi dal gioco globale. Il giurista assume, ora più che mai, un ruolo di primissimo piano, anche se il compito è arduo, per quel quid di incertezza che contorna, pur sempre, la sua azione.

 

Per affrontare le future sfide della globalizzazione vedi anche l'Executive Master in Giurista d'Impresa - Meliusform, concepito sui modelli degli LL.M (Master of Laws) di derivazione anglosassone.

Abstract: La globalizzazione è un processo che ha riflessi anche sul mondo del diritto e degli operatori giuridici. Di fronte ai repentini mutamenti cui è sottoposta la realtà sociale, spetta ai giuristi guidare il diritto in questa epoca di grandi cambiamenti, di modo che esso possa divenire, pientamente, uno strumento capace di trovare risposte ai nuovi bisogni emergenti da una società in continua trasformazione.

 

Abstract in English: Globalization is a phenomenon that affects juridical sphere and jurists too. Jurists should be able to handle this new situation, facing a society that is continuosly changing; following this path, right would be a way to find answers to several questions that are emerging nowdays.

 

 

 

La globalizzazione è, al giorno d’oggi, un tema assai attuale che anima molti dibattiti scientifici; basti notare la sconfinata bibliografia esistente in materia. L’intento di questo articolo è mettere in luce come tale fenomeno possa avere riflessi anche sul piano del diritto e, più specificatamente, sull’opera dei giuristi.

 

La globalizzazione si presenta come un un processo intersettoriale. Ralf Dahrendorf ha sostenuto che «le forze della globalizzazione sono potenti dovunque» (Quadrare il cerchio, benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Laterza, Roma – Bari, 2001): ecco perché, più che parlare di globalizzazione al singolare, è opportuno parlare di ‘globalizzazioni’ al plurale (O. Roselli, Avvocati d’affari e giuristi di impresa. Formazione e aggiornamento, in G. Morbidelli, P. F. Lotito, O. Roselli, Avvocati d’affari e giuristi d’impresa – formazione ed aggiornamento, ESI, Napoli, 2007), in quanto questo fenomeno presenta più profili (si può parlare, ad esempio, di globalizzazione del mercato, della cultura, della criminalità, dei flussi migratori e così via). Vi è, insomma, è un superamento dei confini che interessa più settori della vita sociale e ciò produce, inevitabilmente, degli effetti anche sul piano giuridico.

 

Il diritto è, infatti, un elemento fondamentale del vivere sociale; se la società è in trasformazione, non si può concepire un diritto statico e immutabile, incurante delle nuove necessità della società globale. D’altra parte, nello spazio globale i soggetti hanno la possibilità di entrare in contatto con sistemi normativi diversi: il multilocalismo comporta una de-assolutizzazione e una “de-sacralizzazione” dei riferimenti normativi consueti al proprio luogo di origine (M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2000), così che i modelli giuridici d’appartenenza non appaiono più fissi e immutabili. Si coglie l’occasione per incrementare lo studio degli istituti giuridici esterni attraverso la comparazione; in tal modo è possibile formare una cultura giuridica non limitata alla sfera nazionale, ma tendente verso una «universalità del diritto» (S. Cassese, Universalità del diritto, ESI, Napoli, 2005).

 

Non va dimenticato che la globalizzazione è figlia della cultura americana (prima di tutto) e anglosassone; ciò vuol dire che, a livello giuridico, vi è una forte immissione di valori propri della cultura di common law nel nostro mondo di civil law. Tradizionalmente queste due famiglie giuridiche vengono presentate per contrapposizione allo scopo di evidenziarne le diversità, nonostante gli incontri che nel tempo, inevitabilmente, si possono rintracciare; ma è proprio adesso, nell’epoca della mondializzazione, che questa trama di intrecci è ancora più evidente. I due sistemi muovono verso soluzioni simili, dettate dalle esigenze del mercato e della società globale e sono accomunate dalla cultura occidentale, alla quale entrambe appartengono. Si assiste, in tal modo, alla diffusione di una cultura giuridica a livello mondiale, che giunge agli ordinamenti europei di civil law, nei quali si può cogliere lo stimolo per un ripensamento di alcuni tratti di questa tradizione.

 

Solitamente, alla dicotomia common law/civil law se ne accompagna un’altra: quella fra oralità e scrittura. Mentre la tradizione di common law è sempre stata più vicina al modello dell’oralità, la tradizione di civil law si è sostanzialmente identificata con la scrittura. Tenendo ben presente il substrato culturale al quale oralità e scrittura sono riferite, è opportuno notare come, nel corso del tempo, si siano avuti comunque degli incontri tra questi due diversi modi per raccontare il diritto. La contaminazione è ben individuabile anche nell’era della globalizzazione, che però sembra colpire più profondamente il sistema della scrittura, ricavando uno spazio maggiore per l’oralità. Questo non significa la fine del modello basato sulla scrittura; semmai, si moltiplicano gli intrecci fra questa e il modello basato sull’oralità. L’espansione crescente del mercato ha bisogno, in particolar modo, di un diritto funzionale alla rapidità degli scambi economici, un diritto capace di adattarsi continuamente alle circostanze che si presentano. Il diritto globale è immerso nella vita sociale; è un diritto a dimensione «longitudinale» (M. R: Ferrarese, op. cit.), proprio perché inseparabile dalla realtà sociale, nella quale sorgono nuove esigenze giuridiche che necessitano di soluzioni innovative dal mondo del diritto.

 

Più che andare del tutto verso l’oralità o la scrittura, il diritto globale punta quindi all’efficienza, in virtù delle situazioni che deve regolare. Il diritto della globalizzazione si pone, dunque, a metà strada tra oralità e scrittura, per l’economicità che deriva dall’incrocio tra esse. Avvalersi di una doppia tecnologia della parola significa per il diritto, come ha scritto Maria Rosaria Ferrarese (ibidem), “vincere più facilmente la sfida di funzionare a dispetto della diversità dei contesti”. Questa tensione verso il maggior grado di efficienza possibile è irrinunciabile per il diritto proprio adesso che la globalizzazione pone le attuali culture giuridiche davanti a nuovi e sconfinati orizzonti.

 

Numerosi spunti giungono, poi, dalle nuove tecnologie delle comunicazioni, che sono certamente più vicine all’oralità che alla scrittura, col risultato che quest’ultima viene, spesso, superata in velocità. L’oralità presenta una maggiore capacità di diffusione (la conoscenza della lingua inglese è ormai fondamentale, anche tra gli operatori giuridici): tuttavia, non può prescindere del tutto dalla scrittura. Questa, allo stesso tempo, si adatta alle nuove tecnologie, guadagnandone in immediatezza e mutuando alcune caratteristiche dall’oralità (basti pensare al tono abbastanza informale con cui spesso vengono scritte le e-mail).

 

Questi continui incroci fra common law e civil law e tra oralità e scrittura, accentuati nella globalizzazione, sono da mettere in collegamento anche col binomio globale/locale. La scrittura si presta bene a costituire la piattaforma del diritto a livello globale, funzionando come una sorta di ‘cornice’; l’oralità, invece, si riporta al contesto locale, perché si tratta di adattare quanto è stato ‘scritto’ a livello globale. Nel riportare al paesaggio giuridico locale le regole elaborate a livello globale, l’oralità permette una maggiore duttilità, anche se non può fare a meno del tutto della scrittura.

 

Il diritto dell’era globale svolge, così, la funzione di “lingua parlata” permettendo a diverse nazionalità di comunicare fra di loro. Il risultato di queste continue compenetrazioni è un diritto «glocale» (ibidem), che coniuga insieme oralità e scrittura, piuttosto che scegliere l’una o l’altra, sempre nell’ottica del maggior grado di efficienza possibile.

 

Certamente, la globalizzazione ha effetti più marcati nel panorama di civil law, che si trova davanti ad un fenomeno destrutturante; ma anche la tradizione di common law, da parte sua, non manca di risentire gli effetti delle spinte fra globale e locale. Le reazioni sono quindi differenziate, anche se più marcate nel modello di civil law; come ha osservato l’attuale Giudice della Corte Costituzionale Paolo Grossi, «la globalizzazione serve da incrinatura in un monolito altrimenti assai restio a farsi logorare dal tempo, serve da potente scossone per il giurista europeo inducendolo almeno a riflettere criticamente sui nodi della civiltà giuridica occidentale» (Globalizzazione e pluralismo giuridico, in Quaderni fiorentini, 2000, fasc. 29).

 

La globalizzazione ha messo le proprie radici prima negli interessi economici, poi le ha allungate fino al diritto; adesso spetta al giurista avventurarsi in questa nuova realtà, in quanto egli si trova davanti a cambiamenti epocali che investono la sfera giuridica ed è suo compito analizzare come affrontarli.

 

Gli strumenti che egli ha a disposizione sono quelli propri della cultura giuridica alla quale appartiene, il che costituisce un’ottima occasione per ampliare la sua mentalità giuridica, venendo a confrontarsi con nuove culture, nuove esigenze, nuovi strumenti, in un’ottica di apertura e maturazione scientifica.

 

Questa opportunità di svolta non è, però, priva di rischi: abbandonare i porti sicuri della scienza giuridica, così faticosamente raggiunti, può sembrare anche incosciente, da un certo punto di vista. Altro pericolo è quello paventato da Grossi (ibidem), per cui il diritto e il ruolo degli operatori giuridici rischierebbero di essere asserviti a mere logiche di mercato, da parte dei detentori del potere economico, per raggiungere a tutti i costi il profitto. In ciò, il giurista deve fuggire da facili entusiasmi e, per così dire, ‘rimboccarsi le maniche’ per il nuovo lavoro che lo attende. La riflessione sul diritto deve partire dalla constatazione della pluralità di piani presenti nella società globale (a partire dal più volte ricordato binomio fra globale e locale), nonchè della pluralità degli interessi che si ivi si fronteggiano.

 

E’ un compito importante, quello dello specialista giuridico, poiché il diritto, nella storia dell’umanità, ha sempre rappresentato una forza di conciliazione fra interessi contrapposti: a maggior ragione questo ruolo è fondamentale nell’epoca della globalizzazione, dove si intersecano innumerevoli interessi, provenienti dai soggetti più disparati. A questo fine il diritto non deve essere un prodotto per pochi, ma uno strumento per molti (se ’tutti’ appare troppo utopistico, stante le contraddizioni ancora esistenti nella società globale) e il peso di questo cambiamento è sulle spalle del giurista. L’intera comunità giuridica è chiamata a questo compito, ognuno dal proprio diverso modo di operare: accademici, avvocati, notai, giudici, consulenti legali e via dicendo. Il contributo di questi soggetti è parimenti importante, se si vogliono cogliere le opportunità che la globalizzazione, agendo sul diritto, può offrire.

 

Recupero della dimensione sociale del diritto e protagonismo dei giuristi sono due punti chiave per comprendere l’impatto della globalizzazione sul mondo del diritto; quest’ultimo torna ad essere una «cosa da giuristi» (P. Grossi, La formazione del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento epistemologico, in V. Cerulli Irelli, O. Roselli (a cura di), La riforma degli studi giuridici, ESI, Napoli, 2005), in risposta ad una precisa esigenza di questo tempo storico.

 

E’ per questo che è necessaria anche una revisione dell’identità del giurista. Egli non può pensare di restare barricato in aule o biblioteche; adesso è chiamato a svolgere un ruolo attivo, poiché il diritto dell’epoca mondiale è intriso di fattualità, si nutre della realtà sociale. E’ un diritto ricondotto all’impatto e al confronto con la vita e per questo necessita di scienziati capaci di coglierne questa nuova dimensione, di recuperare la giuridicità e riportarla alla realtà globale.

 

A questo scopo sarà necessario incrementare il dialogo fra i giuristi, nonché con specialisti di altre discipline (economiche, sociologiche, antropologiche e così via), per trovare soluzioni il più possibile condivise. In questo e nella dimensione sociale del diritto si afferma, quindi, il «primato della prassi» (P. Grossi, Il ruolo del giurista nell’attuale società italiana, in Rassegna forense, 2002, fasc. 3), che si trasmette così pienamente anche alla cultura di civil law.

 

Queste sono le sfide che il diritto ed i giuristi si trovano oggi ad affrontare; sono sfide che vanno raccolte, se non si vuole essere estromessi dal gioco globale. Il giurista assume, ora più che mai, un ruolo di primissimo piano, anche se il compito è arduo, per quel quid di incertezza che contorna, pur sempre, la sua azione.

 

Per affrontare le future sfide della globalizzazione vedi anche l'Executive Master in Giurista d'Impresa - Meliusform, concepito sui modelli degli LL.M (Master of Laws) di derivazione anglosassone.