x

x

Il divieto di convalida del contratto rescindibile

Notte
Ph. Anuar Arebi / Notte

Il divieto di convalida del contratto rescindibile


Il divieto di convalida del negozio rescindibile, previsto dall’art. 1451 c.c., si basa su un presunto “principio di parità delle parti”, il quale tuttavia non può essere considerato quale principio generale, alla luce degli artt. 1449 comma 2, 1450, 1341, 1456, 1246 c.c.

The prohibition of validation of the rescindable shop, foreseen by the art. 1451 of the Civil Code, is based on an alleged "principle of equality of the parties", which however cannot be considered as a general principle, in the light of articles 1449 paragraph 2, 1450, 1341, 1456, 1246 of the civil code

 

La rescissione per lesione è disciplinata dagli artt. 1448 e ss. c.c. ed è quello strumento mediante cui la parte, la cui prestazione sia diventata notevolmente sproporzionata rispetto a quella che deve essere adempiuta dalla controparte e la quale pertanto si sia venuta a trovare in uno stato di svantaggio causato dal dover dare più di quanto essa riceverà, può domandare il riequilibrio del contratto.

L’art. 1451 c.c. stabilisce che “il contratto rescindibile non può essere convalidato”.

Una volta che, in corso di contratto, si sia verificata la sproporzione di cui sopra, la parte, che in tale situazione di svantaggio si sia venuta a trovare, non può convalidare il contratto, accettando di eseguirlo a tali condizioni.

Il divieto di convalida del contratto rescindibile è diverso dal divieto di convalida di un contratto nullo.

La nullità si genera perchè il contratto contrasta con una norma imperativa, e quindi il divieto si giustifica in quanto un’eventuale convalida finirebbe con rendere lecito un qualcosa che la legge prevede inderogabilmente come illecito.

La rescissione, invece, si genera in quanto si è verificata una sproporzione notevole tra le prestazioni, ma in riferimento ad un contratto che è comunque lecito in quanto non contrasta con un precetto imperativo posto dal legislatore. In questo secondo caso, quindi, il divieto di convalida previsto dall’art. 1451 c.c. si fonda non sulla contrarietà del contratto alla legge, ma sul principio in base al quale la parte, che abbia subìto gli effetti negativi di tale sproporzione, non può accettare di eseguire il contratto a condizioni per essa inique. Quindi il suddetto divieto si fonda su un “principio di parità tra le parti”, per effetto del quale la parte non può rinunciare, mediante la convalida, ad esercitare gli stessi diritti che vengono esercitati dalla controparte.

Ebbene, si tratta di vedere se il divieto di rinunciare ad esercitare gli stessi diritti che vengono esercitati dalla controparte, trovi un effettivo riscontro anche in altre norme del codice civile, in quanto è solo in tal caso che esso potrà essere considerato quale “principio generale”.

L’art. 1341 c.c. prevede che, quando la controparte abbia predisposto unilateralmente una clausola che limiti i diritti della parte (inopponibilità delle eccezioni, facoltà di recesso, sospensione dell’esecuzione, etc.), la parte stessa possa approvare specificamente per iscritto tale clausola, conferendole pertanto efficacia e quindi accettandone gli effetti, che sono certamente quelli di una sproporzione tra prestazioni, in quanto, per l’appunto, la clausola è stata predisposta dalla controparte a proprio esclusivo vantaggio.

L’art. 1456 c.c. stabilisce che la parte, anche nel caso in cui abbia preteso l’inserimento di una clausola in base alla quale, in caso di inadempimento della controparte, il contratto sarebbe stato automaticamente risolto, può comunque decidere, ad inadempimento avvenuto, di non far valere tale clausola, una decisione questa che comporta la rinuncia della parte stessa a chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento e pertanto la rinuncia ad uno strumento di tutela dei diritti contrattuali che l’ordinamento le mette a disposizione.

L’art. 1246 c.c. prevede la possibilità che il debitore rinunci preventivamente ad opporre al creditore la compensazione, e quindi rinunci a far valere nei confronti di quest’ultimo alcuni diritti derivanti da un altro contratto sottoscritto tra i due.

Tizio, debitore verso Caio per il pagamento del prezzo di una compravendita, potrebbe rifiutare il pagamento affermando che Caio gli è sua volta debitore per il pagamento di un canone di locazione.

Ebbene, Tizio può legittimamente rinunciare ad usufruire di tale possibilità, e quindi può decidere di pagare comunque il prezzo della compravendita anche se Caio gli deve ancora pagare il canone di locazione.

Tizio, rinunciando a far valere la compensazione, accetta perciò stesso di eseguire il contratto di compravendita a condizione inique, in quanto egli in realtà paga a chi gli è debitore.

Le norme sopra citate sarebbero già sufficienti ad evidenziare l’illegittimità del divieto di convalida del negozio rescindibile previsto dall’art. 1451 c.c. .

Ma, ad ulteriore riprova di ciò, vale la pena soffermare l’attenzione sugli artt. 1449 comma 2 e 1450 c.c. .

L’art. 1449 comma 2 c.c., il quale prevede che “la rescindibilità del contratto non può essere opposta in via di eccezione quando l'azione è prescritta”.

Tizio, ai cui danni si era verificata la “sproporzione notevole tra le prestazioni” e cioè il vizio di rescindibilità, avrebbe potuto agire giudizialmente per ottenere una sentenza che accertasse tale vizio e che quindi attribuisse a Tizio stesso determinati diritti nei confronti della controparte Caio.

Tizio, però, ha rinunciato ad esercitare tale azione entro i termini previsti, e quindi l’azione è caduta in prescrizione.

Caio chiede adesso a Tizio di eseguire le prestazioni previste dal contratto.

A quel punto, Tizio non può opporre a Caio il vizio di rescindibilità, in quanto tale vizio lo avrebbe dovuto far valere in via di azione, ossia proponendo apposita domanda giudiziale, per la quale però ormai i termini sono scaduti.

Cosa si deduce da questo? Che Tizio, non avendo esercitato l’azione giudiziale volta a far accertare la rescissione del contratto, ha, sostanzialmente, convalidato quest’ultimo, e quindi non può far valere tale vizio adesso che Caio gli ha chiesto di adempiere.

In tal caso, quindi, si tratta di una convalida tacita, che nasce dalla mancata proposizione dell’azione e quindi dal mancato esercizio del diritto di difesa giudiziale.

Se veramente il negozio rescindibile non fosse convalidabile, come prevede l’art. 1451 c.c., allora dovrebbe essere previsto che la rescindibilità possa essere opposta in via di eccezione anche quando è prescritta l’azione per farla valere, ed invece l’art. 1449 comma 2 c.c. stabilisce l’esatto opposto, ossia prevede che, una volta decorsi i termini per l’azione giudiziale, la rescissione non possa più essere fatta valere neanche in via di eccezione, il che sancisce la definitiva convalida del vizio. Se un vizio di invalidità è grave, l’impossibilità di convalidare il contratto non dovrebbe dipendere dal fatto che entro i termini sia stata o meno proposta apposita domanda giudiziale; se di gravità si tratta, il vizio dovrebbe poter essere fatto valere sempre, anche in via di eccezione. E la rescindibilità è certamente un vizio grave, in quanto, determinando una notevole sproporzione della prestazione del debitore rispetto a quella del creditore, comporta, in capo al debitore stesso, la perdita dell’interesse a proseguire nel rapporto, quello stesso interesse per il quale il debitore aveva accettato di stipulare il contratto.

L’art. 1450 c.c. stabilisce quanto segue: “il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità”.

Se la controparte offre una modifica equa del rapporto, la parte potrebbe anche accettare tale modifica, ed in tal caso l’equilibrio originario del contratto viene ad essere ripristinato.

Tecnicamente tale accettazione non costituisce una “convalida”, in quanto quest’ultima si ha solo quando la parte avente diritto a chiedere la rescissione decide di voler comunque eseguire il contratto a condizioni inique. Invece l’offerta della controparte costituisce un atto con cui, proprio eliminando le condizioni inique, si ripristina l’equilibrio contrattuale.

Il punto però è un altro.

Un’offerta di modifica equa ad opera della controparte è prevista anche per i negozi annullabili. In tal caso, infatti, l’art. 1432 c.c. prevede che “la parte in errore non può domandare l'annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l'altra offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che quella intendeva concludere”.

Ebbene, mentre per il negozio annullabile l’offerta di modifica equa del contratto deve essere fatta prima che alla parte sia derivato un danno (“pregiudizio”), per il negozio rescindibile tale condizione non è espressamente stabilita, tant’è che, mentre nel primo caso l’annullamento deve essere ancora domandato (“la parte in errore non può domandare l'annullamento…”), nel secondo caso la rescissione è già stata richiesta (“il contraente contro il quale è domandata la rescissione …”).

Quindi, nel negozio rescindibile l’offerta di modifica equa del contratto viene fatta quando la parte ha già subìto il danno.

Ed allora, già il fatto di aver subìto un danno sta a significare il non essersi preventivamente tutelati da tale danno, ossia il non aver capito tempestivamente che, eseguendo la prestazione a condizioni inique, si sarebbe avuta una lesione dei propri diritti contrattuali, e quindi testimonia l’aver accettato tale rischio, il che nella sostanza vuol dire l’aver “convalidato” il vizio della rescissione.

Di conseguenza, l’offerta di modifica equa fatta dalla controparte ex art.  1450 c.c. rappresenta solo uno strumento riparatorio successivo ad un danno già verificatosi, e quindi ad una già avvenuta convalida del vizio.

Pertanto, il divieto di convalida del negozio rescindibile, previsto dall’art. 1451 c.c., si basa su un presunto “principio di parità delle parti”, il quale tuttavia non può essere considerato quale principio generale, alla luce degli artt. 1449 comma 2, 1450, 1341, 1456, 1246 c.c. .