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Il doppio binario sanzionatorio secondo la Consulta: analisi della sentenza 222/2019

doppio binario sanzionatorio
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Indice:

1. La questione di legittimità costituzionale

2. Le argomentazioni dell'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri

3. La decisione della Corte costituzionale

4. Qualche riflessione finale

 

1. La questione di legittimità costituzionale

Il tribunale di Bergamo, con un'ordinanza del giugno dello scorso anno, ha sollevato varie questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 649 del codice di procedura penale (di seguito codice procedura penale), per contrasto con gli articoli 3 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 4 del Protocollo aggiuntivo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito CEDU), "nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli".

Nel giudizio sottostante il giudice a quo deve pronunciarsi sulla responsabilità di un imputato accusato del reato di cui all'articolo 10-ter del decreto legislativo 74/2000 per non avere versato, nella sua qualità di titolare di un'impresa individuale, l'imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) per un importo di quasi 300.000 €.

La stessa omissione, aggiunge il rimettente, configura anche l'illecito tributario disciplinato dall'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 471/1997 e questo ha comportato che all'imputato sia già stata notificata una cartella esattoriale che gli ha ingiunto il pagamento dell'IVA non versata e di un'ulteriore sanzione amministrativa pari al 30% del relativo importo.

Il tribunale di Bergamo rammenta inoltre di avere inoltrato alla Corte di giustizia dell'Unione europea (di seguito CGUE) nel settembre del 2015, nell'ambito del medesimo giudizio, una questione interpretativa pregiudiziale, chiedendo se la previsione dell'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (di seguito CDFUE), interpretata alla luce dell'articolo 4 del protocollo 7 alla CEDU, sia di ostacolo alla possibilità di celebrare nei confronti di taluno un procedimento penale per lo stesso fatto (omissione del versamento dell'IVA) per il quale il medesimo individuo sia già stato sanzionato amministrativamente in modo definitivo.

La CGUE, rispondendo al quesito postole con la sentenza del 20 marzo 2018, causa C-524/15, ha chiarito che: "1) L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa – sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari, – contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e – preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti. 2) Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso".

Fatta questa descrizione preliminare, il giudice a quo assume  che la pronuncia della CGUE abbia sancito l'identità del fatto perseguito in sede penale e amministrativa, riconosciuto la "natura punitiva" della sanzione amministrativa in base ai criteri Engel – cioè i tre parametri che, secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU identificano l'appartenenza di un istituto alla "materia penale" – e demandato al giudice nazionale la valutazione sull'eventuale eccessiva onerosità del cumulo di procedimenti e sanzioni.

Il rimettente compie tale valutazione e giunge alla conclusione che quel cumulo sia effettivamente troppo oneroso e comporti un'ingiustificata disparità di trattamento a danno dell'imputato oltre che un problema di irragionevolezza intrinseca dell'ordinamento.

Le rilevate criticità non possono, nell'opinione del giudice a quo, essere risolte ricorrendo all'articolo 649 codice procedura penale poiché il ne bis in idem opera solo dopo l'esito irrevocabile del processo penale ed è su questa impossibilità che il tribunale di Bergamo fonda la questione posta alla Consulta, chiedendole di estendere lo sbarramento del giudicato anche al caso in cui penda un giudizio penale per un fatto che sia già stato sanzionato in via definitiva con un istituto amministrativo di carattere "punitivo".

Il rimettente sottolinea poi ulteriori caratteristiche del "doppio binario" applicabile al caso di specie.

L'importo dell'IVA non versata supera la soglia di punibilità (250.000 €) prevista dall'articolo 10-ter del Decreto Legislativo 74/2000 e l'imputato non ha rispettato integralmente il piano di restituzione rateale del suo debito tributario sicché non è applicabile la causa di non punibilità prevista dall'articolo 13 del medesimo Decreto.

Gli articoli 19, 20 e 21 dello stesso Decreto, che servono a prevenire la duplicazione delle sanzioni per gli illeciti tributari, non impediscono tuttavia l'avvio dei due procedimenti né la loro conclusione.

Infine, l'identità del fatto preso in considerazione dalla fattispecie penale e dall'illecito amministrativo esclude che al loro cumulo possano essere riferiti i parametri indicati dalla sentenza della CGUE che invece presuppongono condotte e scopi legislativi almeno in parte differenti.

 

2. Le argomentazioni dell'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri

L'Avvocatura generale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.

Ha anzitutto osservato che esse sono volte a sollecitare impropriamente una pronuncia manipolativa in un caso in cui sono possibili più soluzioni normative rispettose del dettato costituzionale, ove si tenga conto che il ne bis in idem eurounitario ha ormai abbandonato la sua connotazione esclusivamente processuale e si è configurato come principio cardine che attiene all'entità della sanzione complessivamente irrogata. Sulla base di questa premessa, ha stigmatizzato l'assenza nell'ordinanza di rimessione di un'adeguata valutazione della proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogabile all'imputato.

Ha poi contestato anche lo scopo che il giudice rimettente si è prefisso di raggiungere poiché, se l'articolo 649 codice procedura penale assumesse la più estesa latitudine prefigurata nell'ordinanza, risulterebbe compromessa la certezza della risposta sanzionatoria per le condotte di evasione dell'IVA e sarebbero violati gli articoli 11 e 117 Costituzione poiché il nostro ordinamento non salvaguarderebbe più con la dovuta efficacia gli interessi finanziari dell'Unione europea.

Senza peraltro trascurare – ha aggiunto l'Avvocatura – che l'applicazione delle sanzioni diverrebbe incerta e casuale e sarebbero così violati i principi di determinatezza e legalità della sanzione penale (articoli 3 e 25 Costituzione) e che sarebbe ugualmente messo a rischio il principio di obbligatorietà dell'azione penale (articolo 112 Costituzione) poiché basterebbe una sanzione amministrativa definitiva per paralizzarne l'esercizio.

 

3. La decisione della Corte costituzionale

Le parole della Corte suonano piuttosto severe nei confronti della qualità argomentativa dell'ordinanza di rimessione.

È ritenuta inammissibile la questione essenziale, cioè il supposto contrasto dell'articolo 649 codice procedura penale con l'articolo 117, comma 1, Costituzione in relazione all'articolo 4 del Protocollo 7 alla CEDU.

La Consulta addebita infatti al rimettente di non avere chiarito perché nel caso in esame difetterebbero i requisiti di ammissibilità del doppio binario sanzionatorio e ricorda che la concorde giurisprudenza della Corte EDU e della CGUE esclude "la violazione del diritto sancito dall’articolo 4 Prot. n. 7 CEDU allorché tra i due procedimenti – amministrativo e penale – che sanzionano il medesimo fatto sussista un legame materiale e temporale sufficientemente stretto; legame che deve essere ravvisato, in particolare: quando le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l’interessato; quando esista una coordinazione, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; e quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito".

Del resto – sottolinea la Consulta – proprio la CGUE, nella pronuncia interpretativa sollecitata dal tribunale di Bergamo nel giudizio a quo, ha riconosciuto che la disciplina italiana in materia di omesso versamento IVA è ragionevole, non eccede quanto necessario per raggiungere il suo scopo e non è in contrasto con l'articolo 50 della CDFUE e il divieto di bis in idem ivi sancito.

La Corte rileva ancora che nessuna delle proposizioni di dettaglio dell'ordinanza di rimessione è motivata o fondata.

Il tribunale di Bergamo non spiega perché il cumulo sanzionatorio dovrebbe essere considerato inefficace ed eccessivo e non attribuisce alcun valore alla chiara prevedibilità del cumulo stesso per chi ometta di versare l'IVA per importi oltre soglia.

Non si sofferma neanche sull'altrettanto chiara ricorrenza del requisito della stretta connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti attivabili verso l'autore dell'illecito tributario.

In altri termini, il giudice a quo avrebbe dovuto chiarire in modo convincente, ma non lo ha fatto, perché la previsione complessiva di una causa di non punibilità per chi estingua volontariamente il debito tributario e la connessa sanzione amministrativa (articolo 13, comma 1, Decreto Legislativo 74/2000), la concessione di un termine per adempiere al pagamento del residuo debito rateizzato (articolo 13, comma 3, stesso Decreto), lo sbarramento della confisca per la parte di debito che il contribuente si impegna a versare all'erario (articolo 12-bis, comma 2, stesso Decreto) non dovrebbero essere idonei ad assicurare un efficace raccordo tra il procedimento penale e quello amministrativo e ad evitare una sproporzione sanzionatoria.

Il giudice rimettente, a giudizio della Consulta, ha ugualmente mancato l'appuntamento con le ulteriori disposizioni normative esterne al Decreto Legislativo 74/2000 che obbligano la Guardia di Finanza e l'Autorità giudiziaria a darsi reciproca comunicazione degli illeciti tributari di cui sono venute a conoscenza allo scopo di consentire il contestuale avvio dell'accertamento tributario e del procedimento penale e che permettono al giudice tributario di utilizzare gli elementi probatori penali e al giudice penale di fare altrettanto con gli elementi raccolti in sede tributaria.

Non si è neanche soffermato sulla mitezza della sanzione penale né ha riflettuto sulla possibile appartenenza della repressione penale dell'evasione IVA al "nocciolo duro" del diritto penale, rispetto al quale la valutazione della compatibilità del doppio binario con lo statuto garantistico del ne bis in idem convenzionale deve essere condotta secondo uno standard più rigoroso di quello ordinario (come affermato dalla Corte EDU nella sentenza A. e B. c. Norvegia del 15 novembre 2016).

La motivazione dell'ordinanza risulta pertanto inidonea a dimostrare sia la non manifesta infondatezza che la rilevanza della questione posta al giudice delle leggi.

L'epilogo è scontato: sono inammissibili tutte le questioni poste dal giudice a quo.

 

4. Qualche riflessione finale

La sentenza 222/2019 prosegue un percorso interpretativo ben consolidato nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni, soprattutto dopo la decisa inversione di rotta in tema di ne bis in idem convenzionale operata dalla Corte EDU con la citata sentenza A. e B. c. Norvegia.

Spicca in questo pregresso contesto la sentenza 43/2018, non a caso richiamata più volte nella decisione che qui si commenta.

La questione sollevata in quel caso dal tribunale di Monza era sostanzialmente identica (doppio binario sanzionatorio per l'omessa presentazione della dichiarazione relativa all'imposta sui redditi e sull'IVA allo scopo di evadere l'imposta dovuta).

La Consulta osservò che "la rigidità del divieto convenzionale di bis in idem, nella parte in cui trova applicazione anche per sanzioni che gli ordinamenti nazionali qualificano come amministrative, aveva ingenerato gravi difficoltà presso gli Stati che hanno ratificato il Protocollo n. 7 alla CEDU, perché la discrezionalità del legislatore nazionale di punire lo stesso fatto a duplice titolo, pur non negata dalla Corte di Strasburgo, finiva per essere frustrata di fatto dal divieto di bis in idem" e che "per alleviare tale inconveniente la Corte EDU ha enunciato il principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto («sufficiently closely [close] connected in substance and in time»), attribuendo a questo requisito tratti del tutto nuovi rispetto a quelli che emergevano dalla precedente giurisprudenza. In particolare la Corte di Strasburgo ha precisato (paragrafo 132 della sentenza A e B contro Norvegia) che legame temporale e materiale sono requisiti congiunti; che il legame temporale non esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne consente la consecutività, a condizione che essa sia tanto più stringente, quanto più si protrae la durata dell’accertamento; che il legame materiale dipende dal perseguimento di finalità complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere conto della prima, al fine di evitare l’imposizione di un eccessivo fardello per lo stesso fatto illecito. Al contempo, si dovrà valutare anche se le sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo duro del diritto penale, perché in caso affermativo si sarà più severi nello scrutinare la sussistenza del legame e più riluttanti a riconoscerlo in concreto".

La sentenza 222 si muove dunque in perfetta sintonia con questo significativo precedente e con la posizione assunta di recente anche dalle massime istanze giudiziarie europee: la Corte EDU con la predetta sentenza A. e B. e la CGUE con la decisione interpretativa emessa proprio su impulso del tribunale di Bergamo nel corso del giudizio da cui è scaturita l'ordinanza di rimessione.

A ciò si aggiunga che l'evidente deficit motivazionale dell'ordinanza stessa ha reso agevole e finanche scontata la risposta della Consulta.

Resta tuttavia sullo sfondo una questione di portata più generale ed è quella dello statuto garantistico da riconoscere a chi si trovi esposto al doppio binario, allorché entrambe le sanzioni che gli sono astrattamente applicabili appartengano, sulla base dei criteri Engel, alla "materia penale".

Si ricordi infatti che la più volte citata sentenza della CGUE (paragrafi 32 e 33) attribuisce senza esitazioni natura sostanzialmente penale alla sanzione amministrativa prevista dall'articolo 13, comma 1, Decreto Legislativo 471/1997. Questo è il passaggio rilevante: "32. Nella fattispecie in esame, l’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97 prevede, in caso di omesso versamento dell’IVA dovuta, una sanzione amministrativa che si aggiunge agli importi dell’IVA che il soggetto passivo deve pagare. Benché detta sanzione, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, sia ridotta allorché l’imposta viene effettivamente pagata entro un certo termine decorrente dall’omesso pagamento, va nondimeno considerato che il versamento tardivo dell’IVA dovuta è punito dalla sanzione in parola. Appare quindi, ed è circostanza che spetta peraltro al giudice del rinvio valutare, che detta medesima sanzione persegue una finalità repressiva, caratteristica che è propria di una sanzione di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta. 33. Per quanto riguarda il terzo criterio, è necessario rilevare che la sanzione amministrativa in discussione nel procedimento principale assume, in conformità all’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, la forma di un’ammenda del 30% dell’IVA dovuta che si aggiunge al versamento della suddetta imposta e mostra, senza che ciò sia oggetto di contestazione fra le parti del procedimento principale, un grado di rigore elevato tale da corroborare l’analisi in base alla quale detta sanzione è dotata di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, circostanza che tuttavia spetta al giudice del rinvio verificare".

Preso atto di questo, va sottolineato il conflitto tuttora esistente tra i giudici europei dei diritti umani per i quali all'appartenenza di un istituto alla materia penale deve seguire l'applicazione di tutte le garanzie convenzionali, sia sostanziali che processuali, e i giudici nazionali, compresa la Consulta, secondo i quali alle sanzioni sostanzialmente ma non formalmente penali si possono associare solo limitate garanzie ma non quelle proprie dell'articolo 27 Costituzione.

Un conflitto, questo, che rende scarsamente credibile l'opinione, pure largamente in voga, della coesistenza del sistema garantistico nazionale e di quello europeo all'insegna della massimizzazione delle tutele.